#JunioValerioBorghese

Angleton si fece consegnare dai partigiani che l’avevano catturato il comandante della X MAS Junio Valerio Borghese

Mi sono soffermato molto sull’aspetto internazionale e sul legame con gli ambienti della NATO che ha avuto la strategia della tensione; adesso voglio invece approfondire il fronte interno, parlando delle responsabilità degli attori dello stato e ripercorrendo brevemente la storia post-bellica dei servizi segreti, per analizzare il ruolo che hanno avuto nella strategia della tensione. Nel primo capitolo ci sono molti riferimenti a ciò che è stato il depistaggio praticato dai servizi segreti italiani, benché spesso manipolati da quelli anglo-americani. L’azione di depistaggio ha avuto la finalità di distogliere l’attenzione dalle forze eversive di destra (quelle effettivamente colpevoli degli attentati), cercando di far ricadere la colpa delle stragi sui gruppi extraparlamentari di sinistra. L’atto di nascondere le trame eversive rappresenta di per sé un reato e una colpa molto gravi, ancor più grave è coadiuvare la strategia e operare per il proseguo di essa. Ciò nonostante essa, non ha preso forma in seno a gruppi eversivi nascosti e segreti, ma questi sono stati un mezzo con il quale attori di tutt’altro contesto hanno ricercato un fine. Un fine che riguardava la stabilità di una forma di governo, la quale garantisse ai partiti di centro (la Dc su tutti) la continuità sulla determinazione dell’indirizzo politico dell’Italia.
L’implicazione delle istituzioni dello Stato rimanda a un argomento molto importante e delicato che ho già accennato nel primo capitolo: la continuità tra Stato fascista e Repubblica democratica. D’altronde, ciò ha significato l’assegnazione di esecutori materiali del regime a posizioni di vertice nel nuovo Stato. Pochissimi vennero condannati a morte; le detenzioni, anche di chi si era macchiato di crimini contro il popolo italiano stesso, furono molto brevi. Cito nuovamente il libro dello storico Davide Conti, Gli uomini di Mussolini (2017), che fa una panoramica precisa della situazione: «”Se c’era un’istituzione che l’8 settembre si era dissolta in modo sfacciato e insieme tragico di fronte agli occhi di tutti gli italiani, questa era l’esercito”. La rotta del regio esercito e lo sbando totale delle truppe in Africa, nei Balcani, in Russia fino all’abbandono simbolico della capitale, lasciata in balia dei tedeschi dopo la fuga del re e dei massimi vertici militari, avrebbero dovuto costituire la premessa storica, politica e istituzionale per una cesura irriducibile tra l’eredità dello Stato sabaudo e la nascita della Repubblica democratica. Al contrario, proprio in questa leva nevralgica della ricostruzione istituzionale si verificò un visibile fenomeno di convergenza: degli apparati del regno del Sud a conduzione monarchica; delle gerarchie militari che avevano guidato tutte le guerre fasciste del Ventennio; di elementi dell’esercito della Repubblica sociale. La composizione, dapprima relativa e poi progressivamente sempre più organica, di questo blocco continuista determinò un assetto interno alle istituzioni in grado di indirizzare scelte, linee politiche, procedure legislative e amministrative ostili all’avvio di un processo di sostanziale rinnovamento dello Stato» <101. Effettivamente un auspicabile rinnovamento non c’è stato. Nonostante il notevole ampliamento della libertà, come sottolinea l’articolo 13 della Costituzione italiana, e altri vari elementi di discontinuità, il fatto di essere governato da una classe dirigente organica rispetto al Ventennio ha in parte reciso questa libertà del popolo italiano. Come la libertà di quelle persone di andare in una banca, prendere un treno, o trovarsi in piazza per una manifestazione senza rischiare la propria vita.
Manlio Milani, sopravvissuto alla strage di piazza della Loggia, nella quale perse la moglie, scrive nella sua testimonianza che la condanna all’ergastolo di Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, gli ordinovisti veneti autori della strage, ha in qualche modo riconciliato i familiari delle vittime con le regole democratiche. La volontà e l’obiettivo di chi studia e chi scrive a riguardo del periodo stragista è una riconciliazione dell’intero paese. «Ma è doveroso domandarsi: a quali condizioni e con quali modalità l’attuale frattura tra verità giudiziaria, verità storica e coscienza collettiva può essere ricomposta? Non di certo attraverso le annuali “commemorazioni” di rito delle tragedie del terrorismo. In realtà una “memoria” degna di questo nome, fondativa di un’autentica operazione di giustizia verso le vittime, i loro familiari e il Paese intero, non può andare disgiunta dal sommo valore della verità, o almeno, più umilmente, da quei frammenti di verità che la ricostruzione storica elaborata dai saggi ospitati in questo volume ci pare sia in grado di offrire oggi alla consapevolezza e alla sensibilità degli studiosi, dei rappresentanti delle istituzioni e della collettività. La ricordata sentenza di condanna di Maggi e Tramonte è per molti versi un documento di eccezionale valore, su cui è necessario meditare perché stabilisce con esemplare chiarezza che “lo studio dello sterminato numero di atti che compongono il fascicolo dibattimentale porta ad affermare che anche questo processo, come altri in materia di stragi, è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da quel coacervo di forze […] individuabili ormai con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza dello Stato, nelle centrali occulte di potere, che hanno, prima, incoraggiato e supportato lo sviluppo di progetti eversivi della destra estrema, ed hanno sviato, poi, l’intervento della magistratura, di fatto rendendo impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità. Il risultato è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche» <102.
Del ruolo dei servizi segreti italiani ho parlato spesso, l’implicazione è evidente; si può dire che non depone a loro vantaggio il fatto che gli archivi dei centri territoriali del SID, in particolare di quello di Padova, una città chiave per le ragioni che conosciamo, siano stati distrutti a metà degli anni Ottanta. Stando a quanto ha dichiarato il maggiore Giuseppe Bottallo, ciò è dipeso da un ordine dell’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del SISMI (ex SID) <103. Questo tipo di decisione alimenta la tesi del totale coinvolgimento nelle trame dei decenni precedenti, inoltre lascia spazio a supposizioni di vario genere. Per esempio, che cosa si sarebbe ulteriormente scoperto se gli archivi del SID fossero rimasti intatti? E ancora, c’è chi a livello politico ha fatto pressioni affinché gli archivi venissero distrutti? Sicuramente le informazioni contenute negli archivi avrebbero danneggiato ulteriormente l’immagine di determinati personaggi; forse sarebbero uscite nuove verità. Quello che sappiamo però è già parecchio e ci permette di tracciare un breve quadro storico dei Servizi segreti, ma occorre procedere passo per passo.
Per ripercorrere le tappe del Servizio segreto italiano, occorre tornare ai primi anni successivi alla caduta del fascismo. Ho parlato in precedenza di James Angleton, membro della CIA, il quale trascorse molti anni a Roma. Un’operazione effettuata da James Angleton fu, come vedremo, il recupero del poderoso archivio della polizia segreta fascista grazie all’aiuto del commissario di polizia Federico Umberto D’Amato. Ma tra le prime vi fu, molto importante da sottolineare, l’operazione effettuata il 30 aprile 1945 a Milano, dove Angleton si fece consegnare dai partigiani che l’avevano catturato il comandante della X MAS Junio Valerio Borghese. Poi lo accompagnò a Roma sotto la sua personale protezione, assicurandogli un destino sicuramente più benevolo di quello che gli sarebbe stato riservato a Milano dal Comitato di Liberazione Nazionale e anche un futuro di avventure reazionarie. A fargli da assistente fu proprio D’Amato, il quale venne da subito ben visto da Angleton che lo giudicava un volenteroso apprendista. L’agente CIA chiarì, in parole semplici, che dopo la sconfitta del fascismo il nuovo nemico era il comunismo. Per combatterlo è sicuramente utile allearsi con i fascisti, il nemico di prima, che non chiede altro <104. Angleton e i suoi agenti, fecero un colpo sensazionale visti gli effetti che esso provocò nei decenni successivi nel nostro paese: «tra la fine del 1944 e l’inizio del 1946, riciclarono nei propri apparati la rete dell’OVRA fascista <105, impossessandosi del poderoso archivio allestito durante il Ventennio». Questo avrebbe portato a un lungo gioco di ricatti e intossicazione della vita pubblica, rivelandosi decisivo per le vicende interne del nostro paese. «Insieme a spezzoni del vecchio Battaglione 808 dei carabinieri, infatti, quel colpo avrebbe anche partorito una sorta di cabina di regìa della strategia della tensione, tra la fine degli anni Sessanta e buona parte dei Settanta del Novecento; il famigerato Ufficio affari riservati del ministero degli Interni, diretto per lungo tempo da Federico Umberto D’Amato. E fu proprio lui, D’Amato, all’epoca già alle dirette dipendenze di James Jesus, a condurre in porto quella che passò agli annali come l’”Operazione Leto”, Guido Leto, il potentissimo capo dell’OVRA» <106. D’Amato ebbe il compito, affidatogli da Angleton, di prendere contatti con alcuni elementi della polizia politica della Repubblica sociale italiana. Tra questi c’era Guido Leto, che dopo gli incontri segreti con D’Amato, si consegnò al CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia). Leto entrò successivamente in contatto con alcuni rappresentanti del Governo Militare Alleato (GMA) al Nord, ovvero due militari dei servizi britannici, il maggiore Harris e il capitano Baker, indicando loro l’ubicazione degli archivi dell’OVRA. «Mentre tutti credevano che i capi della polizia fascista fossero agli arresti e in attesa di un processo, a sorpresa i due ufficiali inglesi decisero di collocare Leto in “libertà condizionata”, affidandogli “per conto del GMA” addirittura la “custodia degli archivi integrali”, con tutti i documenti raccolti durante il Ventennio e nel breve periodo della Rsi» <107. Quando da Roma ci si accorse che qualcosa non andava, venne emesso un mandato di cattura nei confronti di Leto da parte di Pietro Nenni, vicepresidente del Consiglio e nuovo alto commissario per le sanzioni contro il fascismo. Questa decisione provocò forti malumori nell’intelligence americana, la consegna del capo dell’OVRA alle autorità italiane portò a reazioni molto dure da parte della sede romana dell’OSS. «E non è azzardato ipotizzare che dietro ci fosse proprio lo zampino di Angleton. Il Servizio segreto Usa temeva un eventuale processo ai vertici della polizia fascista. […] l’OSS temeva che da un eventuale processo pubblico emergessero i legami che americani e inglesi avevano coltivato durante il Ventennio con gerarchi fascisti e l’alta burocrazia dello Stato; e che fossero scoperte le reti spionistiche angloamericane all’interno del regime» <108. Questo passaggio riassume bene due aspetti fondamentali legati alla strategia della tensione: l’ingerenza dei Servizi segreti americani e britannici, già ben nota e approfondita; e la responsabilità dello Stato italiano in quanto non riuscì a prendere una netta distanza dal periodo fascista, anzi ne incarnò vari aspetti.
[NOTE]
101 D. Conti, Gli uomini di Mussolini, op cit., p. 189.
102 C. Fumian, A. Ventrone (a cura di), Il terrorismo di destra e di sinistra in Italia e in Europa, op cit., p. 9.
103 A. Ventrone, La strategia della paura, op cit., p. 253.
104 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere, Roma, Newton Compton editori s.r.l., 2012
105 Polizia segreta dell’Italia fascista. Compito dell’OVRA era la vigilanza e la repressione di organizzazioni sovversive, che tramassero contro lo Stato.
106 M. J. Cereghino, G. Fasanella, Le menti del doppio stato, op cit., pp. 57-58.
107 Ivi, p. 59
108 Ivi, p. 59-60.
Pietro Menichetti, L’Italia del terrore: stragi, colpi di Stato ed eversione di destra, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2019-2020

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Se si intende sottovalutare il golpe Borghese

Quando si vuole a tutti i costi sminuire i rischi corsi dalla democrazia italiana con il progetto di golpe di Junio Valerio Borghese ci si arrampica sugli specchi come fa in questa parte della sua tesi Filippo Augusto Albarin, del resto in buona compagnia con Pansa, il quale sembrava proprio anticipare nell’intervista con il Principe Nero, dallo studente ampiamente menzionata, lo spregiudicato e qualunquistico revisionismo storico, che caratterizzò i suoi ultimi anni.
Sul tentativo di colpo di stato di Borghese è sufficiente una elementare considerazione per denunciarne la pericolosità: l’indubbio coinvolgimento di Licio Gelli, che nell’occasione fece quantomeno una prova generale dei suoi ben noti piani eversivi.
Nota del redattore

Il periodo degli “anni di piombo” in Italia è stato caratterizzato da una crescente tensione politica e sociale, con conflitti tra gruppi estremisti di destra e sinistra, oltre a interferenze da parte di servizi segreti e organizzazioni criminali. Questo contesto ha generato una diffusa paura nella popolazione, inclusa quella di poter trovare carri armati per strada al risveglio.
Durante questo periodo, si assistette a un confronto violento tra estremisti di destra, che miravano a instaurare un regime autoritario ispirato a modelli sudamericani come quelli del Cile e dell’Argentina, e forze di sinistra, che lottavano per una trasformazione sociale e politica radicale, inclusa la presa del potere attraverso una rivoluzione operaia.
Le attività di gruppi estremisti, organizzazioni criminali e interferenze dei servizi segreti crearono un clima di instabilità e diffidenza all’interno della società italiana, con la minaccia costante di violenza politica e azioni terroristiche. Questo periodo oscuro della storia italiana è stato caratterizzato da una serie di attacchi, omicidi politici e violenze che hanno avuto un impatto duraturo sul tessuto sociale e politico del paese.
E nella cronaca che seguiva questi eventi abbiamo visto che il modus operandi era sempre lo stesso: compiere un atto e accusare la parte opposta; ed è per questo che è fortemente credibile che anche l’evento in analisi, il presunto tentativo di golpe [Borghese], possa essere frutto di un invenzione, o meglio di una retorica di voluta esagerazione, messa in atto dalle forze di sinistra.
Per dovere di cronaca, ma anche per un’oggettiva convinzione che la storia che abbiamo raccontato fino ad adesso sia influenzata da una retorica fortemente complottista e di parte, presenteremo i punti in favore della teoria che vede questa storia come una grossa montatura.
Un primo esempio di quanto appena detto risiede in un’intervista che il Principe ha rilasciato il 5 dicembre [1970], quindi poco più di 24h prima del presunto golpe, a Gianluca Pansa; se riletta, questa intervista, conoscendo le accuse che sono state successivamente rivolte a Borghese, queste dichiarazioni hanno del paradossale. Vengono trattati temi che, se effettivamente fosse accaduto tutto quello raccontato da lì a poche ore, non avrebbe avuto senso trattare in un’intervista; in particolare, ritengo opportuno riportare uno stralcio dell’intervista, la parte in cui Pansa chiede al Principe la sua visione su un eventuale colpo di Stato:
P: Come vi comportereste di fronte ad un colpo di Stato? Cioè il vostro giudizio su un eventuale colpo di Stato?
B: Se il colpo di Stato dovesse partire da della gente che noi riteniamo nociva alle sorti del paese, il nostro atteggiamento sarebbe del tutto negativo. Se il colpo di Stato partisse da qualche organizzazione politica e noi lo ritenessimo soddisfacente per le finalità che ci proponiamo, potremmo anche considerarlo come un avvenimento positivo.
Poi l’intervento del fedelissimo Carlo Guadagni: “E sarebbe sempre, però, l’attuazione di quel secondo articolo del nostro Statuto che parla del ripristino dei massimi valori della civiltà italica.
B: sì, non ci interessa il colpo di Stato come colpo di Stato: non ci fermiamo di fronte alla drammaticità del fenomeno, che del resto non vedo come potrebbe svolgersi perché la nostra finalità non è quella del colpo di Stato: la nostra finalità è quella della creazione di uno Stato, cioè il nostro deve essere un apporto positivo e non negativo alla nazione.
P: Ma che giudizio da di un colpo di Stato tipo quello greco?
B: In Italia un colpo di Stato come quello greco mi sembra molto difficile.
[…]
P: Ma se oggi, per esempio, un gruppo di militari facesse in Italia un colpo di Stato e mettesse al governo, non per forza un generale, ma un governo “tecnico”?
B: Se questo dovesse essere un fenomeno a breve termine e inteso per il ristabilimento dell’ordine, che oggi manca totalmente in Italia, o per impedire l’avvento dei comunisti al governo, poteremmo giustificarlo. Non lo giustificheremmo in linea politica perché un governo siffatto si presenta fin d’ora con le caratteristiche di un governo conservatore e noi non siamo conservatori, siamo dei progressisti.
<54
Sarebbe una mossa sensata pronunciare queste parole a poche ore da un tentativo di colpo di Stato? Bisogna effettuare anche altre considerazioni su questa ipotesi; è di fondamentale importanza il contesto nazionale, che appariva molto deteriorato, almeno agli occhi della parte conservatrice del paese: scioperi, violenza, senso di insicurezza, insoddisfazione con il sistema politico (i governi in quel periodo spesso non duravano più di pochi mesi). Si aveva inoltre l’impressione che le sinistre, guidate dal PCI controllato da Mosca, volessero sovvertire con le loro manifestazioni l’ordine democratico.
L’idea che “qualcuno facesse qualcosa” non era quindi lontana da molti cuori. Quanto allo specifico del Golpe Borghese – che indubbiamente fu pianificato, con vari contatti cercati nei militari e in altri soggetti – vi sono diverse osservazioni sull’efficacia della sua pianificazione, per tacere della “realizzazione”. In particolare: – Numero limitato dei partecipanti; livello dei vertici (Borghese a parte) non particolarmente significativo; esiguità delle forze in campo (200 guardie forestali…); – Localizzazione geografica delle azioni molto limitata (Roma, qualcosa in Centro Italia, quasi niente al Nord, alleanze con la Mafia solo presunte al Sud: non proprio un’organizzazione capillare); – Non possibile realizzare il golpe (voleva essere un “golpe bianco”, ossia guidato dalle istituzioni, o no?) senza il coinvolgimento effettivo di almeno un corpo militare diffuso in tutto lo Stato: di fatto, si legge che “reparti” dell’esercito o dei Carabinieri avrebbero partecipato; di fatto, il referente dei Carabinieri sparì al momento dell’azione, segno evidente che l’Arma non era disponibile; – Colpisce l’improvvisazione del piano, in particolare per il “dopo”: anche ammettendo che i leader di sinistra e sindacali fossero catturati e deportati (li avrebbero trovati tutti? Il PCI sapeva…), cosa sarebbe successo in caso di manifestazioni di piazza? Spari sulla folla? Borghese disse
chiaramente che non voleva spargimenti di sangue… – Come si poteva pensare che PCI, PSI e sindacati, in grado in quegli anni di mobilitare grandi folle, non avrebbero reagito? – L’impressione è che gli USA (che in quegli anni non disdegnavano di rovesciare governi a loro nemici, ma non era il caso dell’Italia, anche aperta a sinistra) giocassero attraverso la CIA ad un gioco di “wait and see”, ma non fossero convinti della fattibilità del piano, e avessero comunque informato il Governo italiano; – Andreotti, il cui nome incontrava comunque l’ostilità di Israele, e quindi all’atto pratico probabilmente anche degli USA, probabilmente sapeva, e ha “dato corda” ai congiurati, per vedere
fin dove sarebbero arrivati. Non appare credibile l’ipotesi del rapimento del Capo dello Stato, a meno che i corazzieri non fossero parte del piano; – Non va poi dimenticato che fu proprio Andreotti (insieme a Moro) il fautore dell’apertura a sinistra, con il coinvolgimento sempre maggiore del PCI nei governi locali (per un coinvolgimento diretto dei comunisti a livello di appoggio al Governo, bisognerà aspettare ancora qualche anno); senza dimenticare la posizione assolutamente apicale ricoperta da Andreotti stessi in quegli anni nella politica Italia, quindi perché avrebbe dovuto cambiare una situazione in una difficilmente più vantaggiosa? – Appaiono poi totalmente trascurati gli aspetti economico-finanziari del Golpe: chi avrebbe remunerato i partecipanti? Soprattutto, se fossero emerse rivolte successive, con una evidente divisione e lotta tra diversi poteri dello Stato, con quali mezzi sarebbe stata finanziata la continuazione dell’esperienza golpista? Non si sa. Anche questo aspetto fa parte della pianificazione un po’ improvvisata, basata più sui “contatti” con i potenziali partecipanti che sugli aspetti pratici; – Da ultimo, non si può dimenticare che la Corte di Cassazione stabilì nel 1986 che un vero e proprio golpe non fu in effetti realizzato.
Insomma, per concludere, ci sono diversi punti interrogativi su questa vicenda, a cui difficilmente riusciremo a rispondere in questa sede; quella che ripetiamo essere solo la nostra opinione è semplice: qualcosa c’è stato, ma non nei termini quasi fantascientifici di molti degli autori che hanno trattato il tema.
[NOTA]
54 G. Pansa, op. cit., pp. 114-115
Filippo Augusto Albarin, Il Golpe Borghese, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2023-2024

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I always find it funny when non-Italians get shocked by the images of #AccaLarenzia or any other #fascist demonstration. They're shocked by seeing the truth of this country versus the narration of a "historically leftist country" or "the people who rose against fascism".

First of all, we invented fascism. It's a 100% Italian product, just like Mafia is a 100% a Sicilian product. It's the worst expression, true, but still an expression of italian-ness. Fascism has other names outside of Italy for a reason, its characteristics change in favor of the local expressions.

Second, we never really intended to dismantle it, otherwise we wouldn't have #Mussoliniscrypt (Pic 1), where #cockroaches still hold their manifestations (Pic 2), or we wouldn't have had #JunioValerioBorghese in the post WWII political life of this failed country, who commanded the infamous #DecimaMAS and attempted a coup. Fascism has truly been the only thing to bring us to almost a national unity, the only political point of view to make Italians after #Italy was made, if you get the quote. Italian fascism, as explained by Umberto Eco, was a continuous contradiction - just like Italy and its different peoples allegedly united under a single flag are.

Third, we don't have a left. Maybe in the past we had one but I wasn't there. For sure now, and especially since when Berlusconi decided to join the political life in 1994, it's been more than clear that the #left doesn't exist or if it does exist it's irrelevant and stuck into performative acts thinking they're worth mentioning, or using a series of long and difficult words that no one understands or cares to understand because they're too focused on surviving and probably masturbating in front of the mirror thinking how intelligent they are being leftists and that they are better than them. Funny enough, while the superintelligent leftist was thinking how intelligent they are, Berlusconi was creating governments with fascists and bragging about it - and now they are at the top of the state.

Italy is a fascist country at its core and fascism is a totally Italian phenomenon. As long as we don't have the courage to look at the demon in the mirror into the eyes, there's really nothing we can do, except for thinking to be on the right side of history as per the Italian leftist tradition.

Mussolini's crypt in PredappioA cockroach in front of the tomb of the bigger cockroach (Mussolini's crypt in Predappio with a living fascist fuck doing the Roman salute)

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