Luigi Fontanella, Lo Sperdimento e altro (2019-2024), Passigli, 2025. Nota di lettura di Giorgio Linguaglossa. La poesia di Fontanella è un tassello significativo del nostro tempo di crisi. «La poesia è magia liberata dalla necessità di essere verità» (Adorno). Di Marie Laure Colasson, présence, 30×30 acrilico, 2024
(Marie Laure Colasson, présence, acrilico, 30×30, 2024. L’homo sapiens è in viaggio nel mondo con una cartella 24 ore alla ricerca di un senso e di un significato che ha irrimediabilmente perduto)
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«La poesia è magia liberata dalla necessità di essere verità»
(Adorno)
Luigi Fontanella dichiara esplicitamente di «perdersi nella folla» e nelle peripezie del viaggio. È uno «sperduto» poeta capitato, con uno spintone della storia, nell’Apocalisse dei nostri giorni che tenta di raccapezzarsi tra uno «sperdimento» e il deragliamento dei ricordi, delle cose incontrate, delle esperienze vissute, una sorta di reportage della memoria. Fontanella tira fuori i significati da fatti minuscoli, trascurabili, casuali, da persone incontrate che la memoria inconsapevole gli consegna. Ma è che la ricerca del senso e del significato oggi è sbarrato alla poesia se non si procede per esitazioni, per intrusioni, per spostamenti, per smottamenti della memoria.
Fontanella è intento in una scherma con i suoi mitologemi, con le sue divinità come un veggente daltonico immerso nello «sperdimento» dei giorni e delle cose alla ricerca del vello d’oro del segreto che d’improvviso può scintillare in qualche angolo buio dell’esistenza, nella ricerca di una nuova ontologia estetica. Fontanella fa una poesia asistematica, vertiginosamente dismetrica, erratica, irta di pinnacoli e di circonvoluzioni del pensiero; procede per via di mitologemi mediante categorie allotrie. I pensieri altro non sono che mitologemi che i poeti si appuntano al petto come un generale le sue medaglie. Si potrebbe anche affermare che Fontanella sa di essere affetto da una forma particolarissima di cecità che è al tempo stesso una capacità di ipervisione, una qualità che, paradossalmente, consente all’occhio di vedere con esattezza le cose per la seconda volta.
La ricchezza fenomenica della poesia fontanelliana è il risultato di un equilibrio, instabile, tra il verosimile, il vero e i non detti; certi accorgimenti retorici come la peritropè (il capovolgimento), il deragliamento (controllato) delle sue perifrasi; le deviazioni, l’entanglement tra personaggi diversi sono gli elementi base sui quali si fonda la sua poesia, che ha il privilegio di godere dei vantaggi di una libertà espressiva controllata da una precisa idea di poesia.
E allora che cos’è la costruzione della realtà?, per il Nostro la realtà è perdita che si traduce in «sperdimento», parente non lontanissimo della entropia che involge il nostro universo.
Forse il mondo oggi ha cessato di essere significativo. Forse al poeta di oggi non è concesso l’accesso alle esperienze significative, ma è emblematico che alla poesia di oggi tocchi in sorte di dover stendere in versi l’epicedio esistenziale forse più lucido e disincantato della poesia di matrice novecentesca, quando, come in questo libro, si parla dell’indebolimento della soggettività con la tranquilla consapevolezza che ciò che possono dare le parole della poesia forse non è granché ma è pur sempre qualcosa di non trascurabile.
Il fatto è che non si può uscire dal «sortilegio», o dall’«immaginario» direbbe Lacan. Non possiamo sortire né entrare in un luogo linguistico se non mediante un trucco, un dispositivo, un cavallo di Troia, perché la città del «senso» la puoi prendere soltanto con un trucco, con un sortilegio, un atto di raggiro, di illusione, perché il poeta «sperduto» è ragguagliabile ad un illusionista che si illude e illude con le sue stesse parole.
«Il fatto è che non si può davvero uscire dal trucco, o dall’immaginario, come direbbe nel suo linguaggio Lacan».1
Il senso residuo dopo la combustione dell’esistenza è una favola bella buona per gli imbonitori e i falsari; il «senso» e il «significato» sono il prodotto dell’indebolimento della soggettività che dura ormai da tanto tempo che ne abbiamo perfino dimenticato la scaturigine storica.
La poesia di Fontanella è un tassello significativo del nostro tempo di crisi: non certo la ricerca di un approdo felice sulla spiaggia della poesia elegiaca, Fontanella è un poeta troppo consapevole per fare questo errore. Forse la sua è una navigazione verso l’isola incantata chiamata Utopia da Raffaele Itlodeo. Fontanella procede per lampi e sprazzi, per intermittenze della memoria, per intrusioni, per evasioni dall’ordine simbolico, per zoom paesaggistici, il suo non è il canto del cigno della soggettoalgia della lirica privatistica ed elegiaca che va di moda in Italia da molto tempo, quanto piuttosto la percezione della «cattiva coscienza» che necessariamente e storicamente ci accompagna nelle nostre peregrinazioni esistenziali. Così, intervengono nel testo cose varie: i ricordi del padre e della giovanissima madre, per poi subito dopo divagare sul «cappotto di Montale» che la Gina donò al poeta Elio Fiore in un anno lontano della memoria.
Scrive Luigi Fontanella in una nota in calce a Lo scialle rosso (2017):
«Nella mia ricerca poetica ho sempre alternato momenti per così dire epifanici, nei quali la scrittura si coagula in brevi momenti circoscritti – veri e propri cortocircuiti mentali, accensioni improvvise o pure trascrizioni di lacerti onirici (sulla lunghezza d’onda di un mio antico amore per il surrealismo) -, ad altri che hanno bisogno di una distensione riflessiva di più largo respiro. Da qui, il carattere anche “narrativo” o “diaristico” di questi poemetti, beninteso una narrazione in versi assolutamente non lineare, con iati e sbalzi improvvisi o accentuazioni di carattere metalinguistico (per esempio il mio periodico interrogarmi sul senso dello scrivere, del fare poesia, dello stesso vivere)».
Ecco una citazione di poetica alla quale Fontanella tiene molto:
Ognuno di noi continua a parlare un linguaggio
che lui stesso non intende,
ma che ogni tanto, viene inteso.
Il che ci permette di esistere e di essere perciò quanto meno fraintesi.
Se esistesse un linguaggio in grado di essere inteso, disse Saurau,
non ci sarebbe bisogno di nient’altro.
(Thomas Bernhard – Perturbamento)
(Giorgio Linguaglossa)
1 citato in Pier Aldo Rovatti, Abitare la distanza, Raffaello Cortina Editore, 2007 p. 87.
Luigi Fontanella divide il suo tempo tra Firenze e Long Island, New York. Un’ampia scelta delle poesie composte fra il 1970 e il 2005 è stata raccolta nel volume riassuntivo L’azzurra memoria, a cura di Giancarlo Pontiggia (Moretti & Vitali, 2007, Premio Laurentum, Premio Città di Marineo), a cui hanno fatto seguito Oblivion (Archinto, 2008); L’angelo della neve. Poesie di viaggio (Mondadori, Almanacco dello Specchio, 2009); Bertgang (Moretti & Vitali, 2012); Disunita ombra (Archinto, 2013); L’adolescenza e la notte (Passigli, 2015); La morte rosa (Stampa, 2015), Lo scialle rosso (2017) e Lo sperdimento e altro (2017-2024). È autore di parecchi volumi di critica letteraria e di romanzi: Hot Dog (Bulzoni, 1986) e Controfigura (Marsilio, 2009). Dirige per Olschki la rivista internazionale “Gradiva”, ed è responsabile della redazione americana della rivista “Poesia”. luigifontanella02@gmail.com
Ecco l’incipit del poemetto:
Nel mio corto viaggio sentimentale
tra Mountain Ridge e JFK
ancora qualche residuo
baluginante di ieri sera
nello sguardo indolente di Lester Burnham
bramante, nel sogno, Angela Hayes
lolita viziosetta
con tutto il conseguente… ma poi
ogni immagine rimescolata con la lettura
di quella storia sbrindellata di Gabriella
… letta post-mortem (pour cause)
in uno scenario assai rassomigliante
a un vecchio racconto di Vasco
sullo sgombero di nonna e nipote
da via dei Magazzini a via del Corno
sfratto forzato in un freddo inverno
verso un altrove incerto
eppure… lì, a pochi passi da loro…
sempre più ‒ il tutto ‒
intrecciato all’ennesimo trasbordo
al Kennedy: un altro in più
in quarant’anni del mio americano
sperdimento.
*
In questo corto viaggio
a folate
bagliori intermittenti
di quanto appena lasciato
e di quanto, rimuginando,
mi aspetta fra i due continenti.
Fa freddo. Mi avvolgo nel mio cappotto.
Che fine avrà fatto quello di Montale
che la Gina regalò a Elio Fiore?
*
Anch’io ne regalai uno a Maurizio Cucchi:
un mio vecchio giaccone di renna
che gli stava a pennello.
Faceva già freddo a Port Jefferson
quel 24 ottobre 2014,
e lui doveva fare scalo a Oslo
prima di rientrare a Milano.
*
Mi guida Cristopher
l’affabile fàtico autista…
lo sbircio ogni tanto ad occhi socchiusi.
Cristopher subito diventato
un fantasmatico fabulatore
del mio labirintico andare.
*
Nitido, a tratti, mi appare
solo il volto di Emma
l’unico, forse, senza penombre
o striature interferenti… mentre
la limo procede in
un affastellarsi pulviscoloso
di passato-presente
ogni personaggio ogni imago
ogni persona o cosa
tutto
ben incastonato in un muto teatro a me di fronte
un po’ simile a quello
del vecchio Aghios in partenza per …
pieno di gioia febbrile e di speranze
viaggio nel quale – benché vegliardi entrambi –
non bisogna escludere
qualche gaia creatura femminile.
*
La donna ideale…. mancante magari di gambe e di bocca, non poteva essere assente. Giaceva nell’ombra confusa con molti altri fantasmi, parte importante degli stessi. Ma la donna non è sempre la stessa nel desiderio… necessaria prima di tutto all’amore, ma talvolta desiderata per proteggerla. Una creatura forte e debole, che se si può si accarezza, e se non si può si accarezza ancora.
*
Se solo la salvazione bastasse
a proiettarci felici da qualche parte…
se solo bastasse
a guarirci di ogni accidiosa indolenza
di ogni scontentezza
di ogni nostra insufficienza.
*
Ieri sera me ne stavo a letto buono buono vicino a te… ma
poi il pensiero se ne andava subito altrove in quel
regno di Claus Patera… ero dentro un caseggiato dove
gente buona e generosa mi aveva ospitato. Insegnavo l’abc
a qualcuno di loro ma sapevo che sarei presto ripartito.
Prima di andarmene avevo acquistato da questa famiglia un
fiasco di vino, del pane e del formaggio.
*
Forse bisognerebbe
davvero denudarsi
di ogni inutile orpello
di ogni oggetto d’affetto
e volgere questi a chi ne ha bisogno
o ne è privo
per connaturata incapacità
di darlo o riceverlo.
*
Il fàtico Cristopher parlandosi
mi racconta di una filippina, mentre passiamo
di fronte allo Stony Brook Hospital
l’altra mattina lì forzatamente piovuto
dopo un intrico di strade e traverse spaziali
per un MRI ordinatomi da John Fitzgerald MD
pacioso e pensoso, forse premuroso
che mi aveva visitato un po’ superficialmente.
Un mastodontico edificio
alveolare
perfetto di sette piani buzzatiani
labirintici corridoi stanze stanzini cubicoli.
Muti e trasparenti gli sporadici addetti sanitari
ingrembiulati spettri di se stessi.
*
Di questa filippina
Cristoph continua a fabularmi
la vorrebbe impalmare, le manda
quattrini e medicine ogni mese
svagato e insonnolito lo ascolto
gemello di Claus Patera: sovrano assoluto
del Reich des Traumes
nonché fornitore di singolari
fenomeni dell’immaginazione…
(trasognato distratto, di colpo
ripenso al mio amico Fabio quando trent’anni fa
partiva periodicamente per Kiev
carico di doni mercanzie e medicamenti
per la sua Oksanuchka ambiziosa e fedifraga)
Come Aghios fingo partecipazione
proiettato soprappensiero a quanto
dovrei invece aspettarmi transoceanicamente,
impaziente d’essere lasciato tranquillo a goderne
e sottraendomi per quanto possibile
a ogni simulazione
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