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Un traditore di partigiani al servizio della banda Carità a Padova

Giungiamo quindi alla vicenda, molto lunga da raccontare, di Mario Santoro che gioca il ruolo di finto partigiano. Il fascicolo si apre con un protocollo dell’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo (Alto commissariato aggiunto per l’epurazione) Delegazione provinciale di Padova che trasferisce cinque testimonianze al procuratore presso la Corte Straordinaria d’Assise, CAS <194. Queste cinque testimonianze sono di estrema importanza perché provengono dai capi della Resistenza padovana e cioè dal Prof. Adolfo Zamboni, l’Ing. Luigi Martignoni, Umberto Avossa, l’Ing. Attilio Casilli e per finire don Giovanni Apollonio. Figura di primaria importanza è però il Prof. Zamboni che spicca per personalità e per la molta influenza esercitata a Padova. Tanto per capire la sua importanza: “Dopo l’Armistizio di Cassibile, partecipa attivamente alla Resistenza, nelle file delle brigate Giustizia e Libertà della Brigata “Silvio Trentin”, inoltre aiuta la rete formata dall’ufficiale dell’aeronautica Armando Romani e padre Placido Cortese di aiuto agli ebrei. Nel novembre del 1944, viene arrestato e trasferito a Villa Giusti a Padova, sede della Banda Carità, comandata da Mario Carità, dove interrogato, torturato per mesi, ritrova in cella molti dei suoi allievi anche loro operanti nella Resistenza; al suo fianco ebbe il suo assistente Giovanni Apollonio sacerdote, insegnante nel seminario maggiore di Padova”.
Le carte ritrovate all’Archivio di Stato di Padova si riferiscono proprio a questo ultimo evento. Vista la lunghezza delle testimonianze in questione cercheremo in questa sede di riassumerle il più possibile. La dichiarazione del Prof. Zamboni, datata 1 agosto 1945, ricorda che alla fine del 1943, in una riunione di tipo militare, svoltasi a casa sua, presenti alcuni capi della resistenza padovana (il Colonnello Marziano, il dott. Busonera, i cugini Todesco e il Trevisan) gli fu presentato Mario Santoro che poco tempo dopo entrò a far parte del comitato militare provinciale. <195 Le altre testimonianze, più sopra ricordate (quelle dell’Ing. Luigi Martignoni <196, di Umberto Avossa <197, dell’Ing. Attilio Casilli <198 e per finire di don Giovanni Apollonio <199), collocano temporalmente la conoscenza con il Santoro in momenti e occasioni differenti del 1944. Lo Zamboni continua raccontando come il loro rapporto si facesse più stretto nei mesi successivi: non dubita mai di lui che gli racconta di essere sfollato e di avere preso residenza in Via San Francesco a Padova, non gli fa mai richieste insolite fino all’ottobre 1944 quando racconta che una banda di comunisti, visitata la sua casa mentre egli era assente, l’aveva depredata di ogni bene per circa duecentomila lire. Alla richiesta di denaro lo Zamboni avvia una istanza al cassiere del CLN che riesce a procuragli una prima tranche di venticinque mila lire che vengono consegnate al Santoro. Ma la somma è troppo esigua e lo Zamboni, su invito del Santoro, chiede all’Ing. Casilli, rappresentante del Partito d’Azione, di procedere tra i compagni alla raccolta di altro denaro fino ad una cifra di centomila lire. Anche le altre testimonianze ricordano questo episodio con alcune discrepanze sul valore dei beni sottratti, che per il Casilli sarebbe stato di trecentomila lire (ma ricorda che in casa del Santoro vennero sequestrate quattrocentomila lire dalla Banda Carità al momento della perquisizione, rilevando probabilmente che il Santoro avrebbe chiesto denaro ad altre persone non essendone quindi sprovvisto come voleva far credere). Evidentemente il Santoro aveva approfittato dell’episodio, reale o inventato che fosse, per arricchirsi. Dopo questo evento Zamboni ricorda il suo arresto avvenuto il 18 novembre 1944 ad opera della Banda Carità, che lo
rinchiude nella caserma delle SS sita in via San Francesco a Padova presso Palazzo Giustiniani.
Qui, le vicende dei testimoni si fanno molto più differenziate seppure si concludano con uno stesso triste esito. Lo Zamboni ricorda cinquanta giorni di vessazioni, poi aggravate nella intensità della violenza in seguito a una testimonianza fatta al maggiore Carità da parte di una signorina collaboratrice del CLN che avrebbe confermato i rapporti tra lo Zamboni, il Prof. Egidio Meneghetti (uno dei capi della resistenza padovana), l’Ing. Pighin e il Castelli (pseudonimo con cui si faceva chiamare all’epoca il Santoro). Dopo un ennesimo interrogatorio, andato a vuoto, condotto dal Maggiore Carità in persona, il Professore venne a sapere che il Castelli era stato arrestato. Pochi giorni dopo un nuovo interrogatorio piuttosto violento e la sorpresa di trovarsi il Castelli/Santoro ad invitarlo a raccontare della sua attività partigiana di fronte ai membri della banda Carità. Dapprima lo Zamboni resta attonito; non sa darsi spiegazione di quel totale voltafaccia. Forse le torture, le minacce o uno sconvolgimento di cervello lo hanno spinto ad un comportamento tanto vile. Poi deve constatare comunque che “le rivelazioni da lui fatte sull’attività militare, che in ultima analisi mettevano capo a me come rappresentante politico finirono per rovinarmi” <200. Infatti, continua a raccontare lo Zamboni, la notte tra il 5 e il 6 dicembre diventa per lui letteralmente infernale. Il Castelli/Santoro viene slegato dalle manette (cosa che fa insospettire lo Zamboni) e viene portato via. La tortura con le scariche elettriche continua per tutta la notte. Passato anche questo interrogatorio, viene a sapere dalla signorina citata più sopra che il Castelli era uomo noto alle Brigate Nere, cosa che gli viene confermata da un altro incontro avvenuto con lo stesso Santoro/Castelli la notte del 6 gennaio. Castelli, poco tempo prima aveva cercato di far catturare il Pighin che, la sera stessa, è colpito a morte dalle stesse Brigate nere dopo un tentativo di fuga.
Uscito dall’interrogatorio vede di persona che molti altri membri della Resistenza, compresi gli autori delle testimonianze richiamate in apertura, sono stati arrestati, cosa che lo fa dubitare ancora di più sul ruolo giocato dal Santoro alias Castelli nella vicenda. I suoi dubbi saranno confermati pochi giorni dopo per bocca dell’Ingegner Martignoni che conferma che il Castelli, a conoscenza di uno dei luoghi segreti dove convenivano gli incontri della Resistenza padovana, ci ha condotto la Banda Carità per catturarlo. Zamboni, in chiusura della sua testimonianza e documento di accusa si pone una serie di domande: “Che bisogno aveva il Castelli di arrivare a simili rivelazioni? Quali mezzi usò il famigerato Carità per indurlo a causare tanta rovina?… Otello Renato Pighin; Egli non doveva finire così tristemente: per tradimento <201”. Questa la testimonianza dello Zamboni.
Restano comunque alcune zone d’ombra che altre versioni degli eventi, raccontate dagli altri testimoni, possono aiutarci a rendere più chiare.
Cominciamo proprio dalla testimonianza del Martignoni <202 che arricchisce la vicenda di alcuni interessanti particolari, confermando innanzitutto di avere condotto il Santoro, nel periodo della loro frequentazione, in maniera avventata in uno dei suoi nascondigli, luogo dove fatalmente sarebbe stato la sera dell’arresto e dove il Santoro avrebbe condotto i membri della banda Carità per arrestarlo. Il Martignoni ricostruisce poi le ragioni che avrebbero portato al tradimento del Santoro: la sera dell’arresto, sarebbe stato caricato di bastonate e non avrebbe retto più di tanto, raccontando della sua attività partigiana a delle persone con cui collaborava. Questo avrebbe portato all’uccisione dell’ingegner Pighin, più sopra ricordata, all’arresto del Prof. Palmieri, partigiano, e del già citato Prof. Meneghetti, del Prof. Ponti e dell’ing. Casilli nonché delle segretarie, una delle quali è stata più sopra nominata e del figlio dodicenne del prof. Ponti (i fatti sono avvenuti il 7 gennaio intorno alle ore 19). Quindi il Santoro conduce la banda Carità a casa del Martignoni che viene sorpreso nel sonno. Già al suo primo interrogatorio, smentendo di essere il comandante Virgilio, viene invitato dal Santoro a raccontare la verità, aggiungendo particolari gravissimi di incontri avuti tra di loro. Ma il ruolo del Santoro si aggrava; il nostro testimone ricorda come lo avesse visto condurre più interrogatori a favore della banda Carità, questo perlomeno fino al mese di gennaio 1945, quando sparisce da Palazzo Giusti. Si scopre poi che, su richiesta dello stesso Santoro, sarebbe stato trasferito in Germania poiché terrorizzato dalla sicura vendetta dei partigiani. Il Martignoni infine ricorda che, comunque, grazie alla propria capacità di resistere alle sevizie, riuscì a salvare molti altri partigiani tacendo i loro nomi agli aguzzini e giocando sul fatto che il Santoro non li conosceva.
La testimonianza di Umberto Avossa <203, pur ripetendo i racconti dei testimoni precedenti, aggiunge delle informazioni che confermano che forse da principio il Santoro non fece parte integrante dell’attività contro i partigiani. Infatti, l’Avossa ricorda che, al momento dell’arresto dello Zamboni, il Santoro si trovava proprio in casa di quest’ultimo e si sarebbe giustificato con i ceffi della banda Carità dicendo di essersi recato lì per pagare un conto pendente alla Signora Zamboni. Comunque sia, anche quest’ultima testimonianza conferma la partecipazione del Santoro agli interrogatori degli arrestati con un ruolo attivo.
C’è poi il resoconto dell’Ing. Attilio Casilli <204, che già nel titolo del rapporto esordisce inquadrando il Santoro come “falso partigiano Castelli”. Dal rapporto di Casilli cogliamo un forte disappunto per i soldi consegnati al Santoro in occasione del furto presso la sua abitazione da lui denunciato ai partigiani e per il fatto che la ragguardevole somma, raccolta da parte del gruppo dirigente padovano dei partigiani, era giunta alla cifra di 400.000 lire (era stata carpita la buona fede dei partigiani per arricchimento personale). Inoltre, anche il Casilli ricorda la partecipazione da parte del Santoro agli interrogatori della banda Carità, come d’altronde era avvenuto anche con lui. Ricorda inoltre di aver saputo che il Santoro stesso avrebbe condotto alcuni componenti della banda Carità presso l’abitazione del Martignoni “… e disgrazia volle che il Martignoni quella sera fosse in casa e così anch’egli venne arrestato per esclusiva opera del Santoro”. Riporta poi il racconto di una delle segretarie arrestate, tale Maria Fiorotto, di cui si è già detto sopra, che riferisce “… che il Santoro il giorno prima del nostro arresto [della segretaria e del Martignoni] si era recato da lei [la segretaria] perché le procurasse un incontro con Pighin…”. Ciò aveva condotto agli esiti mortali di cui si è parlato più sopra. Il Casilli conclude la testimonianza ricordando che “…il Santoro,
arrestato non so in base a quali indizi, nei primi giorni del 1945, sottoposto ad interrogatorio da parte del Maggiore Carità, bastonato dai suoi agenti, spaventato dalle minacce di fucilazione e dal trattamento avuto, si decise a fare ampia confessione e a impegnarsi a passare al servizio delle SS – Reparto Carità”. Pertanto aveva agito senza pentimenti nei confronti dei membri del CLN; ma di lì a poco, si sarebbe fatto trasferire in Germania col grado di ufficiale per essere addetto alla sorveglianza in un campo di internamento o per la propaganda tra gli italiani.
Infine la testimonianza di don Giovanni Apollonio non fa altro che confermare, in maniera ancora più risoluta, il ruolo del Santoro nelle responsabilità della retata. Ricorda infatti che la sera del 5 gennaio del 1945 il Santoro si presentò al collegio dove il sacerdote risiedeva in compagnia di un membro della banda Carità, il Corradeschi, insistendo particolarmente per avere un appuntamento con l’Ing. Pighin (il sacerdote fungeva da collegamento con molti elementi della Resistenza padovana). Ritornò più volte anche il giorno successivo con la medesima richiesta alla quale aggiunge anche il desiderio di un incontro con altri componenti del CLN padovano; subito dopo venne arrestato dal Corradeschi che dapprima lo condusse in macchina alla Curia di Padova dove Santoro cerca don Francesco Frasson con la medesima intenzione di farlo arrestare; e successivamente a Palazzo Giusti dove fu interrogato dallo stesso Santoro ma riuscì a nascondere alcune informazioni importanti. Il resto sono notizie che già conosciamo.
Il fatto che il Santoro si fosse spostato in Germania ci viene confermato da una serie di documenti in coda al fascicolo. In particolare <205 vi è un documento con oggetto “situazione internati politici” presso il campo militare tedesco di Braunschweig nel quale ha operato il Santoro e nel quale egli stesso racconta la sua versione dei fatti di Padova. Prima di tutto si difende <206 riportando di essere stato catturato a Padova, dalla Banda del Maggiore Mario Carità, nelle retata di partigiani il 3 gennaio 1945, con il Prof. Meneghetti, l’ing. Pighin e altri; racconta di aver subito tre giorni di torture ma di non aver rivelato i nomi degli organizzatori confermando solo quanto confessato dagli
altri prigionieri. Veniva poi inviato con altre trentadue persone a Berlino da dove era tradotto al campo per internati di Braunschweig sotto sorveglianza di ufficiali collaborazionisti italiani, tenenti Baldini e Biagini. Rivela poi che in virtù di qualche persona generosa gli era riservato un trattamento particolarmente umano da parte dei tedeschi che lo lasciavano girare in borghese e lavorare dove desiderava all’interno del campo, con il solo obbligo di non rivelare nulla del suo passato ai connazionali e con quello di raccontare di essere un commerciante in cerca di materiali vari. Con enfasi racconta la sua storia da partigiano valoroso che dopo l’otto settembre del 1943 passa armi e bagagli al comando di duecento fedelissimi soldati al servizio della Resistenza. A Padova incontra il Prof. Meneghetti, capo del Partito d’Azione, col quale collabora fattivamente. E’ il destinatario di lanci di armi e munizioni e materiali di sabotaggio effettuati da aerei in volo e grazie ai quali procede ad azioni tra Padova e provincia. Compie atti di sabotaggio in molte zone della provincia padovana sui tronchi ferroviari, sulle strade a colonne di autocarri, contro enti fascisti e tedeschi. Nel complesso vanta di aver comandato fino a tremilacinquecento uomini suddivisi in 5 Brigate partigiane (“Brigata Italia”, “Brigata Silvio Trentin”, “Brigata Luigi Pierobon”, “Brigata Autonoma Italia Libera”, “Brigata Mario Todesco”). Alla fine del racconto dei propri meriti partigiani il Santoro si rivolge al Comando italiano per vedere definita la sua posizione di chi “più ha fatto ed ha lottato per la liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti e per collaborare con la causa Alleata”.
In realtà, possiamo confermare quanto detto dai testimoni richiamati più sopra anche alla luce di una serie di documenti in coda al fascicolo. Già tra i primi documenti rinveniamo un foglio senza data, comunque collocabile nel periodo in cui Santoro fu in Germania, steso a Braunschweig, in cui vengono segnalate alcune persone che svolgono attività di propaganda fascista <207, tra le quali compare il nome di Mario Santoro, di Michele, Classe 1911. Seguono poi ben sette testimonianze, tutte collocabili nel marzo del 1945, che confermerebbero che il Santoro e le due persone che egli cita poco sopra come due suoi controllori, Baldini e Biagini, in realtà sarebbero stati due suoi sodali nell’opera di propaganda a favore del fascismo in Germania nei confronti degli internati italiani ivi residenti. Il fatto poi che forti dubbi sussistessero sulla attività in Germania sono confermati da una dichiarazione resa da Antonio Gabella, dipendente dell’Ufficio Assistenza Italiano in Germania <208, che testimonia come alla costituzione dell’Ufficio Assistenza Italiano presso Braunschweig avvenuto subito dopo la liberazione (12 aprile 1945), Santoro e i suoi due sodali, avrebbero richiesto a più riprese, e anche con metodi aggressivi, di essere ricompresi tra gli “internati civili” per poter usufruire dei benefici della posizione. Il Gabella, avvertito della loro pericolosità da molte persone che li conoscevano, si rifiutò fermamente di esaudire le loro richieste salvo, alla fine, accettarle con riserva, procurandosi delle deposizioni, che abbiamo poco fa citato, da trasferire in fascicolo in Italia. A queste testimonianze possiamo aggiungerne altre due raccolte in occasione del supplemento di denuncia fatta a suo carico dopo la denuncia in sede di Corte d’Assise Straordinaria. Una è quella del Professor Giovanni Ponti, Sindaco di Venezia <209, che riporta che: “il giorno 7 febbraio 1945 fui arrestato a Villa Palmieri in Padova. Il Santoro mi riconobbe e durante l’interrogatorio fattomi dal Carità, intervenne arrogantemente chiedendomi se facevo parte del CLN”. La seconda testimonianza è del Professor Egidio Meneghetti <210, esponente del movimento Giustizia e Libertà del Veneto, che dopo l’Armistizio di Cassibile assieme al comunista Concetto Marchesi, a Mario Saggin democristiano e Silvio Trentin azionista fonda il CLN Veneto. La sua testimonianza è assimilabile dal punto di vista dei contenuti alle testimonianze degli arrestati dalla Banda Carità. Quello che interessa qui mettere in risalto sono due dichiarazioni chiarificatrici sul personaggio Mario Santoro. La prima la offre lo stesso Carità al Meneghetti mentre viaggiano insieme in treno verso Bolzano l’uno come carceriere l’altro come prigioniero. Allora il maggiore Carità rivolto al Meneghetti dice: “Io lotto contro di voi e se posso vi mando in prigione e vi gonfio di cazzotti; però io disprezzo i traditori molto di più. Ne faccio uso perché questo è il mio mestiere, ma poi non do loro un centesimo e quando mi è possibile li mando in Germania. Così ho fatto anche con Santoro, che vi ha tradito. Me lo sono levato dai piedi perché mi faceva schifo”. C’è poi un giudizio complessivo sul Santoro fatto dallo stesso Meneghetti, che a dire il vero non viene dato in maniera particolarmente pesante; colloca comunque il Santoro nella platea dei traditori: “Il mio giudizio complessivo sul Santoro è questo: entrò nell’organizzazione clandestina per sfuggire al servizio militare repubblicano o a quello tedesco. Non fu un traditore fin dal primo giorno; fin dal primo giorno fu uno che cercò di far vedere di avere una attività molto superiore a quella che ebbe e cioè in buona parte vendette fumo, così come mentì quando affermò di essere capitano e di essere laureato in legge. Sperava avidamente di farsi qualche merito senza troppo pericolo, così da ricavarne frutto dopo l’attesa liberazione. Arrestato dalla banda Carità, ai primi maltrattamenti crollò… promise di dire molte cose e di mettere nelle mani della banda Carità Renato Pighin e altri capi della organizzazione. Non v’ha dubbio che così fece… Verso altre figure minori non si comportò come un traditore… La figura del Santoro è quella di un meschino delatore, preoccupato solo di se stesso…”. Con la notizia di trasferimento a Padova del Santoro, per essere processato, si chiude il fascicolo <211. Non vi sono altri documenti che ci testimoniano cosa sia successo dopo.
[NOTE]
194 Protocollo dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo – delegazione provinciale di Padova al Procuratore del Regno, data illeggibile.
195 Esposto dattiloscritto del Prof.Adolfo Zamboni contro Mario Santoro, Padova, 1 agosto 1945.
196 Esposto di Luigi Martignoni alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 20 dicembre 1945.
197 Esposto di Umberto Avossa alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 19 dicembre 1945.
198 Rapporto sull’attività di Mario Santoro (falso partigiano “Castelli”) di Attilio Casilli, 28 dicembre 1945.
199 Esposto alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, s.d.
200 Esposto dattiloscritto del Prof. Adolfo Zamboni contro Mario Santoro, Padova, 1 agosto 1945.
201 Ibidem.
202 Esposto di Luigi Martignoni alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 20 dicembre 1945.
203 Esposto di Umberto Avossa alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 19 dicembre 1945.
204 Rapporto sull’attività di Mario Santoro (falso partigiano “Castelli”) di Attilio Casilli, 28 dicembre 1945.
205 Busta b-1, fascicolo 8, comunicazione di Casilli all’Alt Commissariato per le sanzioni contro il fascismo Delegazione provinciale di Padova, 28 dicembre 1945.
206 Situazione internati politici al Comando militare generale alleato presidio militare di Braunschweig, 2 maggio 1945.
207 Comunicazione all’Ufficio Assistenza Italiano da Braunschweig – Rathaus (municipio), s.d.
208 Dichiarazione di Gabella Antonio all’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo Delegazione provinciale di Padova sul conto di Mario Santoro, Baldini Pietro e Biagini Mario, 26 gennaio 1946.
209 Testimonianza del Professor Giovanni Ponti alla Delegazione Provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il fascismo, 1 febbraio 1946.
210 Testimonianza del Professor Egidio Meneghetti all’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo presso il Tribunale di Padova, 26 gennaio 1946.
211 Comunicazione della Delegazione per l’Epurazione di Padova circa le sorti del Santoro, 31 gennaio 1946.
Fabio Fignani, L’epurazione in Veneto. Alcuni casi di studio, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari – Venezia, Anno Accademico 2015-2016

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2025-06-15

Saggio di fine anno scolastico - scuola di musica della Banda di Montecatini Terme con gli allievi della Banda di Cecina di Larciano #banda #musica #bandamusicale #musicainsieme #musicaperragazzi #propedeuticamusicale #avviamentomusicale #musicapertutti vimac76.it/2025/06/15/2025-06-

collage di immagini di bimbi e adulti che suonano nel saggio di fine anno scolastico con diversi strumenti musicali

Un pugno di banditi di borgata riesce in poco tempo a controllare tutta Roma

La Banda della Magliana
Esattamente cento anni dopo da quanto documentato da Bonfadini e Franchetti nella Capitale stava nascendo la prima organizzazione criminale di stampo mafioso autoctona: la Banda della Magliana. Prima degli anni ’70 la malavita era distribuita in modo inorganico su tutto il territorio romano, non vi era coordinazione tra i gruppi, ognuno di essi gestiva il proprio quartiere e non vi era il dominio di una famiglia, o di un gruppo, sulle altre, la cui economia ruotava intorno a piccoli furti, spaccio, prostituzione, gioco d’azzardo. In questo contesto si inseriscono Albert Bergamelli, Maffeo Bellicini e Jacques Berenguer, i Marsigliesi <17, un cartello criminale francese che operava il traffico di stupefacenti ed il contrabbando di sigarette dalla Turchia; i tre avevano intravisto nella Capitale la possibilità di estendere il loro business. Per comprendere la genesi di questa associazione bisogna tornare alla fine degli anni ’70, a Roma, quando gli elementi più rilevanti della criminalità romana si costituivano in associazione. Prima di allora la malavita romana si occupava di furti, rapine ed estorsioni. Un gruppo di giovani criminali, quasi allo sbaraglio, che desideravano inserirsi nei business, come i sequestri <18, più redditizi soprattutto in quel periodo <19.
“Franco Giuseppucci era un criminale di trent’anni, apparteneva alla vecchia guardia. Faceva il fornaio e per questo era soprannominato er Fornaretto […]. Temuto e stimato, aveva ottimi canali per la ricettazione ed era molto conosciuto nell’ambiente delle corse di cavalli: agli scommettitori clandestini prestava a strozzo i soldi accumulati con le rapine, riuscendo così a riciclare il denaro […].” <20
Nel 1976 escono di scena Bergamelli, Berenguer e Bollicini per l’azione delle forze dell’ordine coordinate dal magistrato Vittorio Occorsio, il quale stava indagando sulla relazione che intercorreva tra la Loggia P2 <21, l’estrema destra, i servizi segreti e la criminalità organizzata, che lo portò ad essere ucciso il 09 luglio 1976 per mano del neofascista Concutelli <22. “Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi…. Sono certo che dietro i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi…Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine e decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri” <23, così diceva il magistrato a Ferdinando Imposimato.
L’unione delle batterie
Tra il 1975 e il 1976 a Nicolino Selis viene l’idea di creare la Banda della Magliana, nella speranza di sfruttare le diverse batterie <24 sparse nei vari quartieri romani, come racconta Abbatino agli inquirenti. Elabora il suo piano a partire dall’idea di Raffaele Cutolo, come sostiene Antonio Mancini <25 “Mentre ero detenuto insieme a Selis a Regina Coeli si parlava del fatto che a Napoli tal Raffaele Cutolo, che allora non era noto come lo sarebbe diventato in seguito, stava mettendo in piedi un’organizzazione criminale allo scopo di escludere dal territorio infiltrazioni di altre organizzazioni di diversa estrazione territoriale. Con Selis si decise di tentare su Roma la stessa operazione che Cutolo stava tentando su Napoli” <26 e ancora “si era innamorato del pensiero di Cutolo che aveva organizzato un gruppo che si opponeva a chi veniva da fuori, ovvero i siciliani che, come la si suol dire, la comandavano a Napoli Cutolo voleva difendere il suo territorio e Selis voleva fare la stessa cosa a Roma”. <27 Selis diventerà segretamente il capozona di Cutolo.
A fare parte del primo nucleo della Banda della Magliana sono: “Franco Giuseppucci, Enrico De Pedis detto Renatino, Raffaele Pernasetti, Ettore Maragnoli e Danilo Abbruciati. […] presto si aggregarono Maurizio Abbatino, Marcello Colafigli, Enzo Mastropietro” <28 due batterie Trastevere/Testaccio e Magliana, che decidono di gestire i traffici illegali su Roma. Rapimenti, estorsioni, rapine, droga, riciclaggio di denaro sporco.
“Era accaduto che Giovanni Tigani, la cui attività era quella di scippatore, si era impossessato di un’auto Vw “maggiolone” cabrio, a bordo nella quale Franco Giuseppucci custodiva un “borsone” di armi appartenenti ad Enrico De Pedis. Il Giuseppucci aveva lasciato l’auto, con le chiavi inserite, davanti al cinema “Vittoria”, mentre consumava qualcosa al bar. Il Tigani, ignaro di chi fosse il proprietario dell’auto e di cosa essa contenesse, se ne era impossessato. Accortosi però delle armi, si era recato al Trullo e, incontrato qui Emilio Castelletti che già conosceva, gliele aveva vendute, mi sembra per un paio di milioni di lire. L’epoca di questo fatto è di poco successiva ad una scarcerazione di Emilio Castelletti in precedenza detenuto. Franco Giuseppucci non perse tempo e si mise immediatamente alla ricerca dell’auto e soprattutto delle armi che vi erano custodite e lo stesso giorno, non so se informato proprio dal Tigani, venne a reclamare le armi stesse. Fu questa l’occasione nella quale conoscemmo Franco Giuseppucci il quale si unì a noi che già conoscevamo Enrico De Pedis cui egli faceva capo, che fece sì che ci si aggregasse con lo stesso. La “batteria” si costituì tra noi quando ci unimmo, nelle circostanze ora riferite, con Franco Giuseppucci. Di qui ci imponemmo gli obblighi di esclusività e di solidarietà” <29 racconta Maurizio Abbatino, nell’interrogatorio del 13 dicembre 1992.
Un pugno di banditi di borgata riesce in poco tempo a controllare tutta Roma, con obblighi di esclusività e solidarietà, ma il desiderio di potere e comando li porta a sbranarsi tra loro. Il 13 settembre 1980 viene assassinato Giuseppucci; due anni dopo, il 13 aprile 1982 muore in uno scontro a fuoco Danilo Abbruciati.
La fine delle batterie
Con la morte di Renatino, il 2 febbraio 1990, in via del Pellegrino a Roma <30, muore definitivamente il nucleo fondatore della Banda della Magliana. <31
Scrive, poco dopo la morte di De Pedis, il sostituto procuratore Franco Ionta “La malavita romana può definirsi mafia dei colletti bianchi per il suo ruolo di riciclaggio di ingenti somme di denaro in immobili, pelliccerie e gioiellerie, ristoranti e locali notturni gestito attraverso un reticolo di società a responsabilità limitata […]. L’organizzazione è in grado di investire negli appalti di grandi opere edilizie in Sudamerica e in Africa grazie al Venerabile Licio Gelli” 32. Dice Izzo “dietro la morte di Mattarella, Concutelli mi disse che c’erano la mafia e gli ambienti imprenditoriali, ma anche esponenti romani della corrente democristiana avversa a Mattarella. Valerio aggiunse che si erano fidati di lui perché aveva garantito la Banda della Magliana” e ancora, il professor Alberto Volo “Mangiameli mi raccontò che l’uccisione del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana era stata decisa a casa di Gelli per via delle aperture al PCI che stavano maturando in Sicilia”. <33
Viene costruita una struttura capillarmente organizzata, a partire da alcune batterie, basata sul rispetto e la fiducia, che gestiva traffici illegali – droga, armi, prostituzione – e con legami forti con altre organizzazioni criminali, poteri forti, politica, terrorismo ed estremismo.
Grazie alle confessioni e al pentimento di Maurizio Abbatini, la Squadra Mobile dà il via all’“Operazione Colosseo” con la quale “quasi seicento uomini di Criminalpol, Digos e Squadra Mobile sono entrati in azione in tutta Roma, dalla zona residenziale di via Archimede ai casermoni del Tufello. Sessantanove gli ordini di cattura firmati, secondo la procedura del vecchio codice, dal giudice istruttore Otello Lupacchini. Solo tredici ricercati sono scampati alle manette, mentre una decina di provvedimenti sono stati consegnati in carcere ad altrettanti detenuti. A San Vitale, nelle stanze della questura romana, fino a tarda mattinata” <34.
Il primo processo ebbe vita il 20 gennaio 1995 <35, sempre grazie alle parole del pentito Abbatini, per il sequestro e l’omicidio Grazioli.
[NOTE]
17 C. Armati, Italia criminale: Personaggi, fatti e avvenimenti di un’Italia violenta, Newton Compton, 2010
18 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
19 Per un confronto sugli eventi degli anni ’70 si consigliano A. Orsini, Anatomia delle Brigate Rosse, Rubettino, 2010; G. Bocca, Gli anni del terrorismo. Storia della violenza politica in Italia dal 1970 ad oggi, Roma, Armando Curcio, 1988; http://espresso.repubblica.it/palazzo/2009/09/22/news/io-bosscercai-di-salvare-moro-1.15744.
20 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
21 Cfr. N. Di Matteo e S. Palazzolo, Collusi. Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia, BUR, 2015; A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, 1992.
22 Per un approfondimento sul terrorismo nero cfr. P. Sidoni, P. Zanetov, Cuori rossi contro cuori neri, Newton Compton Editori; A. Colombo, Storia Nera, Cairo, 2007.
23 S. Manfredi, Il Sistema. Licio Gelli, Giulio Andreotti e i rapporti tra Mafia Politica e Massoneria, Narcissus, 2014.
24 Piccoli gruppi criminali, come spiega C. Armati, Roma Criminale, cap. XVII, Newton Compton Editori 2006
25 G. Flamini, La banda della Magliana, Kaos editore 2002
26 https://www.iltempo.it/cronache/2014/08/17/gallery/rapine-droga-e-scommesse-ascesa-e-fine-diselis-il-sardo-951242/
27 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
28 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
29 A. Giangrande, La mafia in Italia, Indipendently Published, 2018
30 http://www.storia.rai.it/articoli/ucciso-il-boss-della-banda-della-magliana/11973/default.aspx
31 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
32 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
33 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
34 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/17/operazione-colosseo-blitz-all-alba-69.html
35 http://www.radioradicale.it/scheda/71905/71975-processo-per-il-sequestro-e-lomicidio-del-duca-grazioli-abbatino-9
Giulia Dominedò, Corruzione: Un’analisi etica del fenomeno e delle sue accezioni verso la definizione del caso “Mafia Capitale”, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, 2016

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2025-05-24

Zambia's Banda scores fastest hat-trick in NWSL history newsfeed.facilit8.network/TKyZ #Zambia #Banda #NWSL #HatTrick #Football

Toluca Noticiastolucanoticias
2025-04-23

🚨 ¡Golpe al crimen en Jilotepec! Detienen a banda del robo de carga con más de 6 millones en cigarros
tolucanoticias.com/2025/04/gol

Gianluca Di Marzio 🤖DiMarzio@sportsbots.xyz
2025-04-05

#SerieA | #Lecce, #Giampaolo: “Ho tanti dubbi per domani. #Berisha in mezzo al campo? È forte e ha la mia stima. #Banda è a disposizione” 👉 tinyurl.com/2n89krpb

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