#cattolici

Luca da BaskervilleLucaM1978@mastodon.uno
2025-11-13

A Loreto nel 1985 si gettarono le basi per la polarizzazione politica dei #cattolici: da un lato chi era disposto a servirsi del #cristianesimo come stampella ideologica, dall'altro chi si spendeva per l'inculturazione del Vangelo.

Hanno vinto i primi, ma ha perso la #comunità.

2025-11-07

L'unico modo per capire cosa sono davvero le #religioni monoteiste è ascoltarne le voci. È come entrare in un museo dell'orrore, forse perché l'orrore è la loro materia fondativa.

youtu.be/IVCXan5d0-A

#fascismi #razzismo #fondamentalismo #cattolici #integralisti #labanalitàdelmale #sequestoèunuomo

La nascita del movimento pacifista italiano avvenne dunque più tardi

«La Stampa» 25 ottobre 1981, p. 5

La scelta del governo italiano di installare le armi atomiche determinò la riorganizzazione dei movimenti pacifisti italiani. Renato Moro ha fatto notare come in Italia, nel secondo dopo guerra, contrariamente ad altri paesi europei mancava di un forte movimento pacifista indipendente; tuttavia, le istanze intese legate alla rimozione delle cause di guerra e alla trasformazione in senso più egualitario e solidale della società sarebbero state veicolate in primis dal PCI <133. Solamente tra il 1976 e il 1978, in seguito al disastro ambientale provocato a Seveso, emersero dei movimenti contro l’uso civile dell’energia nucleare che ponevano l’accento soprattutto sulla questione della sicurezza nei posti di lavori e sull’inquinamento territoriale. La nascita del movimento pacifista italiano avvenne dunque più tardi rispetto a paesi come Regno Unito, Germania, Belgio e Olanda. I primi gruppi riuniti per discutere di pacifismo e politiche antinucleari presero avvio grazie agli incontri giovanili organizzati dalla Nuova Sinistra. L’obiettivo era quello di trasformare la questione antinucleare sia militare che civile in un campo di battaglia per raggiungere scopi politici <134.
Tra il 1979 e il 1980, subito dopo la decisione del governo italiano di installare i missili Cruise nelle basi militari italiane, alcuni partiti come il Partito Radicale (PR) e il Partito di Unità Proletaria (PDUP) si opposero. Su questo tema, il Partito comunista italiano era tra i più attivi e organizzava raduni in tutto il paese coinvolgendo soprattutto intellettuali e studenti. Dall’altra parte dello schieramento politico, alcuni raggruppamenti cattolici, in evidente contrapposizione con le decisioni portate avanti dalla Democrazia Cristiana (DC), proposero la formazione di un movimento apartitico pacifista per il disarmo <135. Una delle prime grandi manifestazioni in favore della pace venne organizzata dal PCI a Firenze. Enrico Berlinguer durante il suo discorso tenuto in Piazza della Signoria sottolineava la matrice politica della mobilitazione, esclamando: «i comunisti sono la prima e la più grande forza politica in Italia a impegnarsi per la pace e la distensione» <136. Nonostante l’impegno dei comunisti nell’organizzare manifestazioni nelle città italiane come il corteo del 4 dicembre 1979 che da Piazza Esedra in Roma raggiunse Piazza di Spagna, animato da migliaia di persone con fiaccole e striscioni con su scritto: «Fermare la corsa al riarmo, trattative subito» <137, non riuscirono a coinvolgere altri grandi partiti come la DC e il PSI <138. Solamente nel 1981 dopo le avvenute mobilitazioni dei gruppi pacifisti europei aderenti al movimento del Disarmo Nucleare Europeo (END), l’elezione di Ronald Reagan alla Casa Bianca che aveva già annunciato l’avanzamento dell’installazione delle bombe atomiche in Europa e la prima mobilitazione a Comiso (luogo designato dalla NATO e dal governo italiano per l’installazione dei missili Cruise), il Movimento nonviolento attivo in Umbria già dal secondo dopo guerra organizzò la marcia della pace Assisi-Perugia <139. Si trattò della prima manifestazione pacifista che riuniva diversi schieramenti politici. Il 27 settembre 1981 partirono da Assisi in cinquantamila persone, guidati dal filosofo Norberto Bobbio, uno dei più illustri aderenti del Movimento nonviolento, il quale concluse la marcia della pace con un discorso pronunciato ai piedi della Rocca di Assisi. Il messaggio dell’intellettuale era chiaro: «la strada è una sola, ed è la strada che conduce al superamento dei blocchi contrapposti, al rifiuto della politica di potenza, alla distensione, al disarmo e alla pace fondata non sull’equilibrio del terrore ma su quello della distribuzione dei beni» <140. In quell’occasione parteciparono alla marcia aderenti al PCI, PDUP, PR a vari gruppi provenienti dagli ambienti cattolici, evangelici, nonviolenti e anche alcuni socialisti contrari alle posizioni ufficiali del PSI <141. Poche settimane dopo, il primo grande incontro del movimento pacifista si svolse a Roma il 24 ottobre 1981 e venne convocato da un cartello di partiti, con la prevalenza dei giovani esponenti del PCI e della Nuova Sinistra che si riunirono in un Comitato di coordinamento nazionale <142. Al corteo parteciparono più di 300.000 persone guidate da un manifesto raffigurante San Francesco d’Assisi. «Dalla Sicilia alla Scandinavia, no alla NATO e al patto di Varsavia» era uno degli slogan più pronunciati, ma non era l’unico <143. Alcuni striscioni del PSI della corrente di Achille Benzoni recitavano: «Craxi, Lagorio non sono qui, noi siamo il vero PSI» <144. Oltre ai gruppi politici citati, molti erano i gruppi partecipanti: le donne e femministe, le chieste evangeliche, le federazioni anarchiche, le comunità israelitiche, i cattolici schierati contro la DC e definiti da Marco Tosati come i «diversi», i movimenti ecologisti e alcuni rappresentanti del pacifismo tedesco145. Oltre agli striscioni e agli slogan, il corteo venne animato dalla tarantella, e da alcune musiche intonate dal Laboratorio di musica popolare di Testaccio; gli accessori principali usati durante la manifestazione furono missili di cartapesta, bombe finte, falci e fantasmi simboli di morte <146. La presenza di raggruppamento di forze politiche divergenti creò difficoltà nella scelta delle risoluzioni da prendere in vista dell’installazione degli euromissili. Le maggiori problematiche vennero riscontrate tra il PCI e la Nuova Sinistra: il primo gruppo portava, infatti, avanti la strategia del «fronte unico» lavorando per raggiungere una soluzione equilibrata, mentre i giovani della Nuova Sinistra si proponevano come unico obbiettivo quello del disarmo attuando forme di lotta disorganizzata <147. Pochi giorni dopo la manifestazione di Roma, il giornale della sinistra cattolica «Testimonianze» propose l’organizzazione di un convegno che si sarebbe tenuto a Firenze tra il 14 e il 15 novembre 1981. Il primo incontro teorico del pacifismo italiano si trasformò in una sorta di conferenza nazionale con l’obbiettivo di formare un movimento autonomo e indipendente non strettamente legato ai partiti politici. Al convegno intitolato “Se vuoi la pace” presero parte gruppi e partiti di diversa estrazione politica e sociale: c’erano i comunisti che proponevano un disarmo equilibrato, il PR schierato contro l’Unione Sovietica perché ritenuta più pericolosa degli Stati Uniti, e quindi, favorevole alle politiche della distensione, in più contraddicevano le posizioni del PCI. Altri partecipanti furono i gruppi indipendenti come il Movimento nonviolento, che era in collisione con i cattolici di sinistra, e La Lega per il disarmo unilaterale, promossa dallo scrittore Carlo Cassola ed impegnata nella lotta per il disarmo nucleare sia militare che civile. Inoltre, presero parte all’incontro anche i giovani aderenti alla Nuova Sinistra al gruppo Democrazia Proletaria (DP) e Lotta continua. L’eterogeneità del movimento pacifista italiano alle sue origini veniva precipita da prospettive contrapposte: da una parte emergeva la capacità sperimentata all’interno del movimento di privilegiare le diversità e non giudicare le idee divergenti dei membri che poteva permettere la coesistenza di diverse posizioni in collaborazione per un unico fine; dall’altra, tuttavia, il ruolo prevalente del PCI nelle attività del movimento pacifista era la causa di litigi e le posizioni diverse dei vari partecipanti impedivano il raggiungimento dei risultato e il colloquio con parti politiche opposte alla sinistra. Nonostante le divergenze, questo movimento pacifista, più o meno unito, decise di mobilitarsi a Comiso, in occasione delle manifestazioni organizzate dai locali per opporsi all’installazione degli euromissili.
[NOTE]
133 R. Moro, Against the Euromissiles: Anti-nuclear Movements in 1980s Italy, cit. p. 200.
134 Ivi, p.201.
35 Ibidem
136 F. Fusi, Il discorso di Berlinguer alla grande manifestazione nazionale. Duecentomila a Firenze per la pace in «L’Unità» n° 7, 18 febbraio 1980, p. 1.
137 Missili: oggi il dibattito decisivo. Miglia manifestano nel centro di Roma, in «L’Unità», 4 dicembre 1979, p.1.
138 Il discorso di Berlinguer a Firenze, «L’Unità», 18 febbraio 1980, p. 2.
139 R. Moro, Against the Euromissiles: Anti-nuclear Movements in 1980s Italy (1979-1984), cit. p. 202.
140 R. Conteduca, Ad Assisi in 50 mila «Il mondo vuole pace, in «La Stampa», 28 settembre 1981.
141 Ibidem
142 Vecchio e Nuovo internazionalismo: paure, esperienze e bisogni, appunti dall’Archivio privato di Chiara Ingrao, p. 8.
143 M. Tosati, Roma imponente sfilata per la pace «Vietate ambasciate Usa e Urss» in «La Stampa» 25 ottobre 1981, p. 5.
144 Ibidem.
145 Ibidem
146 Ibidem
147 R. Moro, Against the Euromissiles: Anti-nuclear Movements in 1980s Italy (1979-1984), cit. p 203.
Maria Letizia Fontana, Donne contro gli euromissili. Una prospettiva transnazionale e di genere dei movimenti antinucleari femministi e pacifisti nei primi anni Ottanta in Italia e Belgio, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari – Venezia, Anno Accademico 2022-2023

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Antifascisti cattolici arrestati tra Milano e Lecco a primavera 1944

Mentre sull’orizzonte politico si stavano profilando tali importanti cambiamenti, la lotta, in Lombardia, nella primavera del 1944, era nel pieno del suo “suo corso” <655 e si stava ulteriormente inasprendo.
Il 26 aprile venivano arrestati Carlo Bianchi e Teresio Olivelli, due antifascisti cattolici collegati al Cln di Milano e ispiratori del foglio clandestino «Il Ribelle». La loro cattura era stata dovuta alla delazione di un conoscente, il medico Giuseppe Jannello che, frequentatore come Bianchi della Fuci, era stato fermato dalla polizia lo stesso giorno. Durante un interrogatorio in carcere, il dottore aveva ceduto a seguito di quello che avrebbe più tardi definito un “atto di viltà”, del quale avrebbe chiesto venia <656. Sottoposto alle pressioni degli inquirenti, che minacciavano ritorsioni contro la madre malata, si era piegato a confessare i nomi dei responsabili del giornale di ispirazione cattolica. I fatti sono stati minutamente ricostruiti dalla figlia di Carlo Bianchi, Carla Bianchi Iacono, la quale, in “Aspetti dell’opposizione dei cattolici di Milano alla repubblica Sociale Italiana”, ha scritto che Giuseppe Jannello, nel tardo pomeriggio del 26 aprile, sotto costrizione, aveva telefonato all’abitazione di Via Villoresi (n.24), di proprietà dell’ingegner Bianchi, chiedendogli un appuntamento urgente in Piazza San Babila per la mattina successiva alle 12.30. Contestualmente, Jannello lo aveva invitato a condurre con sé anche Teresio Olivelli, suo ospite – come prima di lui Jerzi Sas Kulczycki – nonché fondatore con Luigi Masini e Carlo Basile delle Fiamme Verdi. I due amici, recatisi all’incontro, erano stati arrestati dai militi dell’Ufficio Politico Investigativo, comandati dal “dottor Ugo”, ed erano stati ristretti nel VI° raggio del carcere di San Vittore, rispettivamente nella cella n.19 e n.142, con l’accusa di propaganda a mezzo de «Il Ribelle». A una settimana dall’arresto, due funzionari dell’Ufficio speciale di polizia – dipendenti di quello stesso Luca Ostèria – avevano bussato alla porta dell’abitazione di Bianchi per procedere a una perquisizione: gli inquirenti speravano di trovare in casa sua ulteriori prove d’accusa, ma erano riusciti a sequestrare solo volantini della Fuci. Bianchi e Olivelli, tenuti rigorosamente separati l’uno dall’altro per più di venti giorni, avevano scovato ugualmente un modo per comunicare. A dimostrazione dei contatti intercorsi tra i due amici, c’era il primo messaggio, fatto recapitare da Bianchi alla propria famiglia, che portava sul retro uno scritto di Olivelli. Non solo: Bianchi era riuscito addirittura a incontrare “[Agostino] Gracchi” in una situazione del tutto eccezionale: “Ho potuto perfino fare una scappatina nella cella di Gracchi [Olivelli] (è stato arrestato insieme a me) e abbiamo fatto una chiacchierata molto utile: vi saluta tanto anche lui, dice che i suoi non sanno ancora niente, di non avvertirli però per evitar loro il dolore, se mai venissero a cercarlo da voi preparate suo padre
con bei modi e ditegli tutto. La sua posizione non è grave per ora, e spero se la cavi con poco” <657. Il 9 giugno i due prigionieri sarebbero stati condotti nel campo di Fossoli, da dove Bianchi non avrebbe mai più fatto ritorno e Olivelli sarebbe stato deportato prima a Bolzano, poi a Hersbruck, per morire in quel campo di concentramento tedesco il 17 gennaio del 1945.
Anche il gruppo del Cln di Lecco e quello della missione americana dell’Oss sarebbero caduti nel mese di maggio nella rete dei nazifascisti e portati il 9 giugno a Fossoli, insieme ad alcuni membri dell’organizzazione Reseaux Rex e ai militari del Vai detenuti a San Vittore.
Una “domenica mattina” <658, a Maggianico, nell’abitazione di Giulio Alonzi, si era presentato da solo Antonio Colombo, uno dei suoi collaboratori lecchesi (insieme a Franco Minonzio, impiegato presso la ditta Badoni, e Luigi Frigerio, detto “Signur” <659, meglio conosciuto come il “Cristo” <660). Colombo aveva avvertito Alonzi che due russi, ex prigionieri, lo aspettavano in casa di gente amica, al Garabuso, sopra Acquate. Inforcate le biciclette, Colombo e Alonzi erano giunti a villa Ongania, di proprietà delle sorelle Villa (Caterina, detta “Rina”, Angela, Erminia e Carlotta), dove avevano trovato, “in compagnia del Frigerio” <661, i due russi. Erano così venuti a sapere da questi della
disponibilità, manifestata da una cinquantina di loro connazionali impiegati alla Todt a Milano, a far parte di una formazione partigiana e a “trasportare a Lecco un certo quantitativo di esplosivo e di bombe a mano” <662. Si erano infine congedati dai russi in attesa di prendere una decisione a riguardo. A loro parere, gli ex prigionieri in questione avrebbero dovuto raggiungere la città auspicabilmente “a scaglioni di sei per volta per ragioni di opportunità” <663. Pensando che il capo naturale della costituenda formazione non potesse che essere Voislav Zaric <664, un sottufficiale serbo, ex-prigioniero delle truppe italiane, a capo di un piccolo raggruppamento di dieci uomini, prevalentemente serbi e croati, attivo nell’alta Valle Brembana e in Val Taleggio, Alonzi si era fatto combinare con lui un appuntamento da Mario Colombo, il sarto antifascista di Zogno, che faceva per quella zona “da trait d’union del Comitato” <665. Zaric era rimasto entusiasta all’idea di poter ingrossare le fila della sua formazione onde “fare qualche azione nella valle” <666. Di qui la programmazione di una riunione da tenersi in casa Villa per il successivo 12 maggio, allo scopo di “concretare le modalità per mettere in salvo gli ex prigionieri” <667. All’incontro sarebbero stati presenti anche i tre paracadutisti della missione radio clandestina americana, lanciati dall’Oss in Val Brembana alcune settimane prima: Emanuele Carioni, Piero Briacca, e l’italo-americano Louis Biagioni. Questi ultimi, però, assistettero “casualmente alla riunione perché erano solo ospiti dalle Villa, tanto che non avrebbero preso parte “alle […] trattative e agli accordi” <668. Louis Biagioni, newyorkese di nascita, era stato formato in America, “a Sioux Falls S. Dakota” <669, come radiotelegrafista. Spinto dal “desiderio di curiosità e dell’avventura”, aveva accettato sin dal 1942 di entrare nell’Oss, “senza sapere precisamente quali scopi e lavori” ne sarebbero derivati “per una tale appartenenza” <670. Sbarcato a Palermo, dopo due settimane di addestramento alla radio trasmittente e ricevente, era stato trasferito a Brindisi, dove era rimasto per quattro mesi, fino alla partenza per l’Italia del Nord, avvenuta ai primi di aprile 1944. Emanuele Carioni, suo compagno di missione, era un ragazzo di soli ventidue anni, alto e biondo, nativo di Misano di Gera d’Adda. Egli aveva frequentato il corso allievi ufficiali di complemento a Nocera e ne era uscito con il grado di sottotenente. Chiamato alle armi, il 27 febbraio 1941 aveva prestato servizio presso il 24° Reggimento artiglieria Piacenza. Inviato poi in forza del 184° Reggimento di artiglieria “Nembo” in Albania, aveva avuto modo di verificare lì la politica sconsiderata del fascismo. Era stato proprio in Francia, in Jugoslavia, in Grecia, in Russia che, a fronte delle efferatezze perpetrate dal regime nazifascista, molti soldati italiani avevano conosciuto la guerra partigiana. Già nel giugno 1942, scrivendo una lettera alla sorella Ersilia dal fronte jugoslavo, Emanuele si esprimeva in questo modo: “da un momento all’altro noi potremo dover guardare a questa bandiera che sventola come al simbolo di un nemico. Tutto ciò non mi sgomenta e con calma penso alla casa, alla Patria lontana. Ti dico questo non per drammatizzare le cose, ma perché tu sappia quale sarà la mia linea di condotta nel caso che tali eventi dovessero succedere” <671.
[…] I guai per i protagonisti della vicenda erano ormai “maturati”. I russi si sarebbero in breve rivelati spie, con il conseguente collasso dell’intera rete clandestina che aveva avuto base a villa Ongania. Il 17 maggio sera erano a casa delle Villa, oltre a Emanuele e Louis, “undici partigiani” che poi sarebbero risultati nazifascisti. “Tra questi c’erano spie della SS tedesca”, avrebbe ricordato Caterina Villa in una memoria depositata oggi presso l’archivio dell’Anpi di Lecco: “Mirko e Boris e Resmini, quest’ultimo spia italiana al servizio dei tedeschi al comando SS di Bergamo” <688. E così, mentre il giovedì 18 mattina Mirko aveva accompagnato Emanuele Carioni per Milano e lì lo aveva fatto arrestare con Maria Prestini, contestualmente Sandro Turba, presentatosi in casa di Colombo, lo aveva avvertito che presso le donne erano sopraggiunti “alcuni individui da convogliare verso la montagna […] accompagnati dal Boris” <689. Giunto sul posto, Antonio non aveva però trovato la persona indicata, ma un triestino del tutto sconosciuto. Non sapendo come regolarsi, era tornato indietro, pregando le sorelle di ricontattarlo all’arrivo del russo. Di sera, ricevuta la telefonata, era così tornato in casa delle Villa dove il Boris <690, in compagnia di Mirko, gli aveva comunicato l’arrivo a Lecco di un camion con armi e munizioni diretto in Val Taleggio. I due russi, mentre si accingevano, insieme a Colombo, a recarsi in città, si erano qualificati di fronte all’uomo come agenti della polizia tedesca e lo avevano fatto arrestare. All’alba del 19 tedeschi delle SS, guidati dai due russi, dopo aver iniziato una sparatoria, avevano poi preso nella rete l’americano Louis, e le sorelle Rina, Erminia e Carlotta. Si erano salvati Angela, che era a Barzio, e Pietro Briacca, mentre era rimasta piantonata ad Acquate l’anziana madre delle Villa la quale, malata,
era stata costretta a lasciare l’abitazione <691. Ha raccontato Alonzi poi circa la conseguente cattura di Voislav Zaric e di Candida Offredi: “Avvenne che una sera Antonio fu chiamato al Garabuso e arrivato al Caleotto, lo arrestarono. Poi i tedeschi arrestarono le tre sorelle Villa Ongania e si insediarono nella loro casa. Arrivò Zaric e la partigiana di collegamento, Candida [Offredi]. Presi anche loro. Antonio riuscì a farmi sapere che dovevo filare subito. […] Tutti finirono a Fossoli. Zaric e le donne furono poi mandati in un lager. Zaric passò per il Cellulare e in una cella del Quinto raggio aveva graffito il suo nome sui muri, più e più volte. In quella cella finii anch’io più tardi e i graffiti mi ricordarono tante cose” <692. Boris e Mirko, che avevano condotto le SS tedesche al Garabuso, si erano insediati in casa delle donne in attesa dell’arrivo di Zaric e della Offredi, sua accompagnatrice; solo Alonzi si sarebbe salvato, avvertito all’ultimo momento da Colombo. Emanuele Carioni, entrando il 19 maggio nel portone della Casa circondariale, con sua grande sorpresa, si era trovato così davanti l’amico Louis, ivi tradotto dalle guardie. Emanuele “era un po’ pallido come eravamo tutti noi presi in quella retata” – avrebbe ricordato Biagioni -, a causa del pensiero “della sorte che ci aspettava. Ci demmo uno sguardo di incoraggiamento, ma non si poté parlare” <693.
[NOTE]
655 Una lotta nel suo corso: così Ragghianti aveva suggerito di intitolare la raccolta di saggi pubblicati da Neri Pozza Editore nel 1954.
656 “Il dottor Jannello sarebbe poi liberato il 10 giugno, giorno successivo all’invio del gruppo de «Il Ribelle» al campo di Fossoli. Il suo tradimento era stato premiato con la libertà. La lettera scritta da Jannello il 28 maggio con la confessione del suo atto di viltà non è reperibile. Il suo contenuto però trova conferma nell’intervista rilasciata dalla prof. Nina Kaucisvili il 25 gennaio 1995: “[…]. Secondo la Kaucisvili, Jannello appena uscito dal carcere, verso la fine di giugno, si recò a una riunione della Fuci, raccontò tutto chiedendo perdono e giustificandosi dicendo che non si era reso conto della gravità di ciò che aveva fatto. Don Ghetti in seguito invitò tutti a evitarlo perché lo riteneva un elemento pericoloso per l’organizzazione”. C. Bianchi, Aspetti dell’opposizione dei cattolici di Milano alla repubblica Sociale Italiana, Milano, Morcelliana 1998, pp. 125-6.
657 C. Bianchi, Aspetti dell’opposizione dei cattolici di Milano alla repubblica Sociale Italiana, cit., p. 130.
658 G. Alonzi, Paolo diventa carriola, «Historia» (2) 1962, fasc. 60, p. 78.
659 ibidem.
660 Insmli, Verbale di Interrogatorio di Louis Biagioni e di Colombo Antonio, fondo Osteria, b. 1, f. 2.
661 Insmli, Verbale di interrogatorio di Colombo Antonio, fondo Osteria, b. 1, f. 2. Si veda anche G. Alonzi, Paolo diventa carriola, «Historia» (2) 1962, fasc. 60, p. 78.
662 Insmli, Verbale di interrogatorio di Colombo Antonio, fondo Osteria, b. 1, f. 2.
663 ibidem.
664 Voilsav Zaric era stato catturato a Lubiana nel 1941 dalle truppe italiane, inviato a Gorizia, in Sardegna e poi nel campo per prigionieri di guerra della Grumellina (n.62) a Bergamo da dove era evaso il 10 settembre con altri slavi sulle montagne vicine.
665 Rapporto del Fiduciario Tausch messo insieme nella cella di Zaric Voislav, in copia. Archivio privato famiglia Carioni.
666 Insmli, Verbale di interrogatorio di Carioni Emanuele, fondo Osteria, b. 1, f. 2.
667 Insmli, Verbale di interrogatorio di Colombo Antonio, fondo Osteria, b. 1, f. 2.
668 Verbale di interrogatorio di Zaric Voislav. Archivio privato famiglia Carioni.
669 Insmli, Verbale di Interrogatorio di Louis Biagioni, fondo Osteria, b. 1, f. 2.
670 ibidem.
671 Lettera di Emanuele a Ersilia, 7 giugno 1942. Archivio privato famiglia Carioni.
688 Archivio Anpi Lecco, Memoria di Caterina Villa.
689 Insmli, Verbale di interrogatorio di Carioni Emanuele, fondo Osteria, b. 1, f. 2.
690 Era Boris un ragazzo di 24 anni, “piccolo, naso dritto, capelli bruni, occhi chiari”, mentre il suo compagno, Mirco, di 30, detto “il biondino”, “piccolo, biondo, occhi chiari, naso normale”. Rapporto del Fiduciario Tausch messo insieme nella cella di Zaric Voislav, Archivio privato famiglia Carioni.
91 Archivio Anpi Lecco, Memoria di Caterina Villa.
692 G. Alonzi, Paolo diventa carriola, «Historia» (2) 1962, fasc. 60, pp. 79.
693 Lettera di Emanuele a Ersilia, 7 giugno 1942, Archivio privato famiglia Carioni.
Francesca Baldini, “La va a pochi!” Resistenza e resistenti in Lombardia 1943-1944. La vita di Leopoldo Gasparotto e Antonio Manzi, Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, Anno Accademico 2022-2023

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L’egemonia cattolica nel Veneto determina rapporti di forza peculiari tra la DC e il PCI

Il Veneto è una regione popolata da piccole città, piccole imprese, agricoltura contadina ed è permeata dalla devozione al cattolicesimo. <35 La chiave di successo della sua economia, che decollò negli anni ’50 per poi svilupparsi negli anni ’60 e raggiungere l’apice negli anni ’70, fu il basso costo del lavoro derivante dall’impegno part time nell’industria e dal lavoro domestico, ossia la cosiddetta “economia sommersa”.
Alla base della politica del dopoguerra che predominò in Veneto, vi fu il controllo della riproduzione della forza lavoro, dal punto di vista materiale e ideologico, e soprattutto, quello delle condizioni di vita al di fuori della fabbrica. Questo fu possibile dalla frammentazione e dalla dispersione e, conseguentemente, dalla debolezza organizzativa della classe operaia; in secondo luogo, dalla presenza delle istituzioni sociali della Chiesa, una serie di organizzazioni collaterali come le cooperative, le casse di mutuo soccorso, l’Azione Cattolica, tutte facenti capo alla parrocchia, il cuore della vita religiosa.
Nel 1945 il governo italiano scelse un tipo di sviluppo guidato dalle forze del mercato, specialmente da quello internazionale, garantendo così l’incremento dei consumi interni moderni e la compressione dei salari. Questa modello portò un ritardo allo sviluppo della classe operaia nell’industria, lo spostamento di massa dalla campagna alla città e quindi un rapido sviluppo del terziario e dell’ingrossamento delle fila dei ceti medi, sia in ambito produttivo che in quello distributivo. Il cardine di questo percorso era la mobilità individuale e, quindi, lo sfruttamento proprio delle disuguaglianze nel sistema al fine di incentivare la partecipazione ai profitti che il sistema poteva elargire.
Considerando che l’Italia faceva parte del blocco occidentale e si trovava sotto la tutela statunitense che impose, nel 1947, l’esclusione dal governo del PCI (il partito che rappresentava la classe operaia), e dall’altro lato, l’apparato produttivo del paese era quello di un paese in via di sviluppo e si basava sull’eccesso di manodopera a basso costo, si capisce perché il governo del tempo abbia optato per questo tipo di modello di sviluppo.
La svolta che portò alla concretizzazione del miracolo economico del 1958-1962 fu l’attuazione di una politica basata su grandi profitti derivanti dai bassi salari che stimolavano gli investimenti necessari ad assicurare un buon livello di produttività, il quale a sua volta garantiva la crescita, la competitività dell’economia italiana a livello internazionale. Due elementi fondamentali di tale processo furono la produzione industriale di beni di largo consumo a bassa tecnologia e i salari bassi (conseguenza dell’elevato tasso di disoccupazione e della debolezza dei movimenti operai organizzati nel periodo della Guerra Fredda).
Questo scenario spiega, in un certo modo, il successo del settore della piccola impresa nel Veneto, la quale ha contribuito a mantenere costante il benessere della regione e della piccola industria, dove il lavoro a tempo parziale e il lavoro domestico avevano mantenuto relativamente basso costo della manodopera. Ricordiamo che, oltre al conflitto scatenato dagli uomini se ne aggiunse in quegli anni uno provocato dalla natura <36: nel 1951, una devastante alluvione sconvolse il Polesine, allagando oltre la metà della provincia, causando più di 100 vittime e 180mila sfollati (80 mila persone lascerà la regione per sempre). Mentre nel 1963, una frana dal monte Toc, ai confini tra le province di Pordenone e Belluno, piomba nel lago artificiale creato dalla diga del Vajont; provocando la morte di 1917 persone e distruggendo gli abitati del fondovalle. <37
Nonostante le guerre e disastri naturali, la capacità e la voglia di ripresa riescono farsi largo. L’avvio vero come detto è degli anni Sessanta, quando il reddito nazionale netto aumenta del 54 per cento, e il risparmio del 170. Nel 1961, le aziende con meno di 100 addetti assorbono il 72 per cento dell’occupazione. È un salto di qualità progressivo anche se rapido: l’operaio che lavorava giorno e notte in fabbrica, un po’ alla volta si mette in proprio diventando imprenditore di successo, scrivendo storie di tante crescite tipicamente venete. A renderlo evidente è il tasso di natalità delle imprese dell’epoca, di gran lunga superiore a quello della crescita occupazionale: segno evidente che molti ex dipendenti hanno deciso di fare il salto di qualità, avviando un’attività autonoma.
Negli anni Settanta, avviene uno storico sorpasso, gli addetti all’industria hanno superato il fatidico 50 per cento. Se negli anni Sessanta il reddito pro capite del Veneto è stato nettamente inferiore a quello della media nazionale, nel 1970 si verifica l’aggancio, merito di un’industrializzazione che marcia di pari passo con il potere d’acquisto. Inizia, come già annunciato, a decollare anche il settore terziario: una persona su tre, nella popolazione attiva, opera in questo settore. Per il resto dell’economia di questa regione, la seconda parte degli anni Settanta, è quella del grande balzo, con un trend che si dimostrerà costante fino ai primi anni Ottanta.
Pur la Chiesa subendo negli anni ’70, pressioni di una crescente e generale secolarizzazione, l’amministrazione locale con i suoi provvedimenti, in particolar modo nei settori dell’edilizia e della previdenza sociale, divenne un elemento fondamentale per il conseguimento e il mantenimento dell’egemonia di quel partito che per quasi l’intero dopoguerra governò questa regione, la DC.
Durante la dittatura, con la soppressione dei partiti e dei principali corpi intermedi, i poteri locali attuano ovunque in Italia forme di “resistenza” e di salvaguardia della propria collocazione nella struttura sociale. <38 Nel Veneto rurale operano in tale direzione fattori specifici, legati al ruolo della Chiesa che sembrano mitigare l’impatto del fascismo sulla società locale. Non si può non notare che, anche in Veneto l’effetto delle politiche di fascistizzazione della società e di formazione delle nuove generazioni concepite da Mussolini per l’intera nazione (con l’aiuto della stampa, radio, scuola e corpi intermedi creati ad hoc), hanno avuto un forte impatto. Infatti, sarebbe errato attribuire al Veneto del primo dopoguerra una cromatura “bianca”, talmente spessa da riemergere, intatta, dopo la caduta del fascismo. <39 Dalla fine dell’Ottocento, oltre all’associazionismo cattolico, compare e si diffonde anche quello di aspirazione socialista: nei primi anni del Novecento in molti centri urbani del Veneto si formano alleanze comprendenti socialisti, radicali e repubblicani che, dando vita alla stagione delle cosiddette giunte bloccarde, spezzano l’egemonia moderata in ambito amministrativo. <40 Una parte dell’associazionismo mutualistico Veneto urbano favorisce il radicamento del Partito socialista nel territorio, secondo un progetto basato sulle trasformazioni di capitale sociale sedimentato nelle associazioni mutualistiche in risorsa politica, mediante la presenza del partito e il controllo del municipio. Il Partito socialista in Veneto si rivela incapace di saldare le proprie lotte nelle campagne, a differenza delle realtà urbane. In Veneto, nel biennio 1919-20 la mobilitazione delle classi subalterne raggiunge livelli ineguagliati. <41 La contrapposizione fra organizzazioni “bianche” e “rosse” pregiudica la possibilità di successo dei contadini, ma rivela l’eterogeneità degli orientamenti politici nel Veneto d’inizio secolo. In Veneto, la devozione dei contadini ha reso possibile l’incapsulamento nella filigrana “bianca” delle plebi rurali mobilitate a seguito della crisi agraria di fine Ottocento. La storia elettorale del Veneto vede emergere il cromatismo “bianco” già agli inizi del Novecento. Ma l’incidenza della frattura città-campagna discrimina l’insediamento elettorale dei cattolici (rurale) da quello dei socialisti (urbano): il bianco, quindi, è dominante solo in campagna. Lungi dal costituire soltanto “una parentesi”, il fascismo modificherà in profondo il profilo politico lasciando sopravvivere, alla sua caduta, solo le realtà organizzative più forti, ossia solo il capitale sociale “bianco”. Per capire le caratteristiche di fondo della subcultura “bianca”, e al contempo, i motivi per i quali essa ha potuto attraversare il fascismo senza esserne sradicata: dobbiamo immaginare una sorta di sfera immutabile, dove vigevano “leggi” stabilite probabilmente attorno al Settecento, custodite dagli uomini di Chiesa che, creavano una specifica cultura paesana, dove contadini e artigiani erano gli attori principali.
L’apparente immutabilità che sembra caratterizzare il Veneto “bianco” nel passaggio dal fascismo alla democrazia è data dalla centralità della Chiesa nella cultura politica locale e dalla sua capacità di riproporsi quale schermo protettivo nei confronti di qualunque intervento esterno ritenuto pericoloso dalla società locale. Senza più il fascismo e con uno Stato molto diverso da quello scaturito dal Risorgimento nulla più osta alla trasformazione del suo capitale sociale anche in una risorsa politica. È prevalsa l’interpretazione secondo cui in Veneto l’egemonia politica cattolica fosse acquisita fin dal primo dopoguerra. Possiamo sostenere invece che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento la Chiesa abbia consolidato l’egemonia <42 nei contesti rurali, mentre è solo durante il ventennio fascista, in virtù della libertà di iniziativa ottenuta mediante il compromesso che il regime, che essa riesce a divenire fulcro anche dell’ambiente urbano. Il passaggio attraverso il fascismo può essere identificato come una fase di mutamento del capitale sociale “bianco” sia per effetto dell’annichilimento delle forme organizzative altre e minori ad opera della dittatura, sia in seguito al riposizionamento operato dalla Chiesa nella struttura delle linee di frattura. Con la nascita della DC e la sua posizione dominante nel corso della seconda metà del Novecento la frattura Stato-Chiesa può essere gestita da posizioni molto favorevoli per il Vaticano, che può concentrare la propria forza politica nel proporsi come ancora di salvezza contro il comunismo. Lo spostamento nella struttura delle linee di frattura comporta un cambiamento nelle modalità di azione per la Chiesa: dall’intervento sociale, contro lo Stato liberale e in concorrenza con il movimento socialista fino all’avvento del regime, al controllo del perimetro ideologico in funzione anticomunista nel secondo dopoguerra.
L’egemonia cattolica nel Veneto determina rapporti di forza peculiari tra la DC e il PCI segnati dal preponderante dominio elettorale della prima sulla seconda, e accompagna la trasformazione di un’area preminentemente rurale in zona ad alta densità di sviluppo industriale di piccola impresa. In Veneto, le fratture connesse alla formazione dello Stato nazionale (centro periferia e Stato-Chiesa), unitamente al cleavage città-campagna, hanno preceduto e contenuto la frattura capitale-lavoro, mentre il conflitto di classe si è manifestato in presenza di forme di controllo sociale capaci di impedirne una riproduzione in termini partitici significativi. <43 Questo incapsulamento della struttura di cleavages prevalenti funziona anche nel dopoguerra, quando la frattura principale diventa quella che contrappone il mondo “bianco” al comunismo, il quale condivide con i “nemici” storici, il “centro” del sistema politico, lo Stato, ma anche “il centro urbano”, l’essere percepito quale minaccia esterna in grado di depauperare la filigrana della società locale. Per almeno i primi decenni del secondo dopoguerra, in Veneto, il criterio decisivo di alleanza sarà il legame tra localismo e la sua cultura prevalente, si vota allo stesso modo della comunità a cui si fa parte e dei suoi leader, senza tener conto della propria posizione economica.44 Il localismo non si traduce in posizioni eversive e pericolose, in quanto la dimensione simbolica e organizzativa della Chiesa danno linfa ad un capitale sociale che garantisce la coesione, l’articolazione, l’aggregazione e la soddisfazione delle domande individuali e collettive (responsiveness) e la presenza della DC assicura l’accesso al sistema politico e il rispetto delle sue regole. <45 Il fattore religioso incide sul piano morale e, su quello dell’integrazione, dell’identità sociale e su quello materiale dell’organizzazione, della rappresentanza e della mediazione con le istituzioni. <46 Negli anni Cinquanta su iniziativa delle ACLI venne svolta un’indagine presso i giovani della provincia di Vicenza, dove emerse la rilevanza di tali elementi, quale la premessa e fondamento degli orientamenti politici nella subcultura “bianca”. <47 Dalla ricerca risulta che nella società veneta di quel periodo, il rapporto con la politica era complesso, come i rapporti di forza elettorali. I partiti considerati come attori non troppo amati né apprezzati, cui vengono attribuiti ruoli ben precisi: la DC appare attenta alla tutela della Chiesa e della libertà, ma indifferente ai problemi di chi lavora; mentre il PCI e PSI figurano come nemici della religione, ma sostenitori dei lavoratori. La religione costituisce la filigrana “bianca” che collega gli orientamenti di fondo, è nel nome della religione che la DC viene legittimata come protagonista delle scelte. L’appartenenza alla Chiesa viene ritenuta una premessa sufficiente per attribuire il consenso ad un partito che pure non gode di molta fiducia. La Chiesa rafforza questo aspetto, grazie alla capacità di gestire e riprodurre un sistema di valori e significati incardinato alla vita quotidiana, all’interno della quale è la stessa istituzione ecclesiastica a fornire alla società una peculiare concezione del mondo. Inoltre, la Chiesa produce anche risorse organizzative e beni materiali (assistenza sociale, sostegno economico e organizzazione territoriale), garantendo così, forme di accountability sociale nei confronti dei governanti, attraverso la pressione svolta dal mondo cattolico locale sui parlamentari veneti e l’opera di mediazione svolta dalle parrocchie, compensa il deficit di responsiveness della DC. <48 Adesione o rifiuto della dimensione religiosa comporta anche appartenenza o antagonismo rispetto ai valori e alle logiche dello sviluppo locale. L’alternativa fra DC e PCI non sembra, per i veneti degli anni Cinquanta, porsi come alternativa fra Chiesa e lavoro, ma fra due modelli di sviluppo differenti.
Dimensione religiosa e sviluppo territoriale costituiscono aspetti complementari, dai quali la DC attinge risorse di consenso. L’identificazione con la DC si fonda sull’appartenenza alla comunità cattolica, che si riproduce attraverso il contesto locale e familiare egemonizzato dalla Chiesa. <49 Falliscono infatti, vari tentativi di far nascere un partito cattolico fortemente strutturato; la DC è un classico esempio di partito a “istituzionalizzazione debole” <50, nato per legittimazione esterna, che ebbe come sponsor la Chiesa, e sviluppatosi per diffusione territoriale. L’autentica “istituzione forte” quindi, è la Chiesa, con la propria rete associativa, che organizza la società locale e l’attività delle istituzioni amministrative. Si rafforza così, l’idea fortemente radicata nella cultura politica veneta sin dall’Ottocento, secondo cui chi opera a livello del governo locale non svolge un’attività locale, ma amministrativa, entro un contesto nel quale l’attività dell’ente locale si orienta in larga parte al contenimento di interventi e spese e all’appoggio esterno alla rete organizzativa cattolica, soprattutto alle sue strutture creditizie e assistenziali. <51
[NOTE]
35 MESSINA, PATRIZIA, et al. Cultura politica, istituzioni e matrici storiche. Padova University Press, 2014.
36 JORI, FRANCESCO. La storia del Veneto: dalle origini ai nostri giorni. Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2018
37 JORI, FRANCESCO. La storia del Veneto: dalle origini ai nostri giorni. Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2018
38 POMBENI P. (1995), La rappresentanza politica, in R. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, Donzelli, Roma
39 ALMAGISTI, MARCO. Una democrazia possibile: politica e territorio nell’Italia contemporanea. Carocci, 2016
40 CAMURRI R. (a cura di) (2000), Il comune democratico. Riccardo Dalle Mole e l’esperienza delle giunte bloccarde nel Veneto giolittiano, Marsilio, Venezia
41 PIVA FA. (1977), Lotte contadine e origini del Fascismo. Padova-Venezia, 1919-22, Marsilio, Venezia.
42 RICCAMBONI G. (1992), L’identità esclusa. Comunisti in una subcultura bianca, Liviana, Padova.
43 DIAMANTI I., RICAMBONI G. (1992), La parabola del voto bianco. Elezioni e società in Veneto, 1946-1992, Neri Pozza, Vicenza
44 ROKKAN S. (1970), Citizens, Elections, Parties: Approaches to the Comparative Study of the Process of Development, Universitetsforlaget, Oslo (trad. it. Cittadini, elezioni e partiti, il Mulino, Bologna 1982)
45 ALMAGISTI, MARCO. Una democrazia possibile: politica e territorio nell’Italia contemporanea. Carocci, 2016
46 DIAMANTI I., PACE E. (1987), Tra religione e organizzazione. Il caso delle ACLI: mondo cattolico, società e associazionismo nel Veneto, Liviana, Padova
47 DIAMANTI I. (1986), La filigrana bianca della continuità: senso comune, consenso politico, appartenenza religiosa nel Veneto degli anni ’50, in “Venetica, Rivista di Storia contemporanea”
48 ALMAGISTI, MARCO. Una democrazia possibile: politica e territorio nell’Italia contemporanea. Carocci, 2016
49 TRIGILIA C. (1986), Grandi partiti e piccole imprese. Comunisti e democristiani nelle regioni a economia diffusa, il Mulino, Bologna
50 PANEBIANCO A. (1982), Modelli di partito: organizzazione e potere nei partiti politici, il Mulino, Bologna
51 TRIGILIA C. (1982) La trasformazione delle culture subculture politiche territoriali, in “Inchiesta”
Simone Spirch, Il Veneto lungo: dalla Serenissima ai giorni nostri, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022

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OpenSoul ✅OpenSoul
2025-08-02

Vedendo questo messaggio ho deciso che voglio sposarmi subito in chiesa, prendere tutti i e battezzare mia figlia

questa sconosciuta...

Per quanto riguarda il Movimento giovanile democristiano, l’irrigidimento era palpabile

Gli eventi che vanno dal V congresso Dc di Napoli all’VIII convegno nazionale giovanile (Firenze, giugno 1955) sono come inscritti in un «piano inclinato», ove la «mutazione genetica» della Dc con l’andata al comando della «seconda generazione», quella di Iniziativa democratica, contribuisce ad accelerare le differenziazioni e, in una parte consistente, anche la dispersione di un patrimonio politico-culturale di generazione. Di fronte a un segretario, Fanfani, autoritario e organizzativista, accusato di voler usare il Movimento giovanile solo in senso attivistico-propagandistico, stanno ormai questi giovani che, in vario e articolato modo, gli si oppongono da «sinistra».
L’ultimo numero de «La Base» esce il 30 luglio 1954. Non è una chiusura imposta dall’altro, anche se nelle prime settimane di quello stesso anno la Direzione democristiana aveva affermato l’inammissibilità che su problemi di primaria importanza fossero espresse tesi non in linea col partito <678. Nonostante l’ingresso nel partito della seconda generazione di Iniziativa democratica e di alcuni elementi della terza, la Democrazia cristiana stentava a rinnovarsi e l’attivismo fanfaniano non si traduceva, per i basisti, nella costruzione di un moderno partito. A giudizio della Base era mancata, dopo il 7 giugno 1953 e il Congresso di Napoli, una riflessione profonda che non si riducesse unicamente alla difesa dell’unità del partito. Questo irrigidimento era d’altronde presente anche nel mondo cattolico. Nel 1954 Mazzolari tornava ad essere oggetto delle attenzioni del Sant’Uffizio: il 28 giugno il cardinale Giuseppe Pizzardo gli aveva vietato di predicare al di fuori della propria parrocchia. Un altro intervento punitivo fu rivolto contro don Milani, trasferito da Calenzano nel piccolo centro di Barbiana. Infine il presidente della Giac [Gioventù Italiana di Azione Cattolica], Mario Rossi, era costretto alle dimissioni.
Per quanto riguarda il Movimento giovanile, l’irrigidimento era palpabile: oltre al già citato deferimento ai probiviri di Arnaud, all’inizio del 1955 la Direzione, dopo la relazione di Fanfani sulle «questioni disciplinari», decide anche il deferimento di Amos Ciabattoni, reo, insieme al delegato regionale del Lazio Signorello, di aver diffuso un documento riservato assai critico sulla Dc e sul Movimento giovanile <679 di cui è venuta in possesso «l’Unità» che «ne ha tratto motivo per critiche al partito» <680.
Sul caso Rossi si esprime anche il quindicinale della Base con un articolo di Dorigo e con una lettera di Magri. Questa l’interpretazione del primo: “Il prof. Gedda sta giocando grosso e con l’avventato dilettantismo che distingue il suo comportamento in ogni campo ha voluto ad ogni costo far precipitare la situazione: si tratta, com’è chiaro, di una incosciente sfida alla stragrande maggioranza dei cattolici, i quali sanno vedere nel provvedimento preso nei riguardi generali della Gioventù cattolica lo squillo d’allarme più prepotente. […] Non è difficile né azzardato infatti collegare il siluramento di Rossi, come già quello di Carretto e dei suoi immediati collaboratori nell’ottobre del 1952, con la tenace, consapevole e logica resistenza della Gioventù d’Azione cattolica, in tutti i suoi quadri centrali e periferici, ad un andazzo che, precostituendo illecitamente in sede religiosa e con strumenti religiosi (tale è l’Azione Cattolica) scelte politiche di enorme portata, vuole imporre alla Dc, attraverso vie e uomini ben noti nella Dc, quella vera e propria strada sull’abisso alla quale l’apertura a destra e l’alleanza con le destre reazionarie monarchico-fasciste ci inchioderebbe senza possibilità di ritorno” <681.
Nella rubrica della rivista, “Voci dalla base”, si rendeva noto che la maggior parte delle lettere pervenute alla redazione conteneva pareri simili a quelli espressi da Dorigo. Nella sua lettera Magri analizza invece il comportamento della stampa di destra sul “caso Rossi”: “I quotidiani della destra hanno voluto affrontare la questione nel suo complessivo significato, anche religioso. Ed è questo molto significativo perché rivela l’intenzione precisa di compiere una identificazione semplice tra una determinata linea politica e la stessa ortodossia religiosa. È tutto lo zelo dei cattolici ferventi, la assillante preoccupazione per la salvezza della dottrina, la smania dell’ortodossia che, con un evidente equivoco delle competenze e di capacità i commentatori politici dei giornali reazionari invocano contro il modernismo e il deviazionismo in cui “necessariamente” cadono, a loro avviso, i giovani” <682.
In un documento “riservato” firmato Berlinguer, segretario della Fgci, e inviato a Luigi Longo, viene notato come proprio il caso Rossi abbia aperto un interessante dibattito «nonostante l’ingiunzione al silenzio dell’Osservatore Romano, sul periodico cattolico milanese La Base», «che si propone evidentemente di coordinare il movimento di diffuso malcontento esistente contro Gedda e di raggrupparlo attorno al gruppo più avanzato dei cattolici milanesi, così come ci è stato indicato in un colloquio che abbiamo avuto» <683.
È ancora Berlinguer, cogliendo l’occasione del “caso Rossi”, a scrivere a tutte le sezioni italiane della Fgci indicando che “la crisi della GIAC è uno degli aspetti del disorientamento esistente nel mondo cattolico in generale nel quale si combattono interessi diversi. Ad esempio vi è già fra i dirigenti giovanili ed anche tra alcuni anziani e sacerdoti la preoccupazione di trovare un accordo con noi. Per quanto riguarda i dirigenti diocesani noi abbiamo notizia che hanno espresso solidarietà al Rossi quelli del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia Romagna, di Siena, di Perugia e di Napoli. Posizioni di solidarietà si sono avute nella FUCI, nei Gruppi giovanili DC, tra i giovani delle
ACLI e della CISL […] la crisi della GIAC non ci ha preso alla sprovvista in quanto i motivi di contrasto, seppur in modo impreciso, li avevamo analizzati e non si può escludere che in parte al maturarsi dei contrasti tra i giovani cattolici abbia contribuito anche l’azione unitaria che da tempo andavamo sviluppando. La nostra posizione dopo la crisi di direzione è stata di simpatia e di cautela al centro e su scala provinciale, ricercando il contatto e la discussione, e di aperto intervento alla base, nel senso che abbiamo indicato la necessità che i giovani comunisti si recassero negli oratori della GIAC per discutere la questione” <684.
Quella che doveva essere una temporanea chiusura estiva, era divenuta per «La Base» una chiusura comunque definitiva. Qualche settimana più tardi veniva a mancare De Gasperi. Con la morte del leader trentino mutavano anche i rapporti di forza all’interno del partito; il successo di Iniziativa democratica si era tradotto nella vittoria di una corrente piuttosto che in un profondo cambiamento. Dietro la chiusura de «La Base» c’erano senza ombra di dubbio le pressioni di Fanfani, che avevano costretto i basisti a chiudere l’omonimo quindicinale e inaugurare una nuova esperienza editoriale, «Prospettive», come mezzo per difendere i valori dell’antifascismo, del rinnovamento del partito, della costruzione dello Stato democratico, della lotta ai monopoli e di un diverso anticomunismo. «Senza la collaborazione fra masse cattoliche e masse comuniste – scrivono ad esempio già nel secondo numero i redattori – la Resistenza non avrebbe avuto, come invece ha avuto, il significato di un risveglio della coscienza nazionale per la edificazione di un nuovo Stato»; «ora, nello escludere il comunismo italiano e nel mantenerlo fuori dallo Stato – proseguono – bisogna obiettivamente tenere conto che si esclude una forza componente della sua costituzione» <685.
[NOTE]
678 La Direzione, infatti, riteneva «assolutamente al di fuori di una seria vita democratica del Partito, la tendenza che va diffondendosi, di iniziative da parte di singoli o di gruppi di iscritti per la pubblicazione di fogli periodici rivolti soprattutto ad una polemica interna che assume talvolta asprezze tali da essere giustificata soltanto se fosse rivolta contro i nostri più violenti avversari. È urgente ricordare a tutti che la stampa di Partito per svolgere un’azione costruttiva deve essere legata a precise responsabilità di organi di Partito e mai alla fluida responsabilità di uno o pochi iscritti che agiscono senza un preciso mandato ufficiale»; ASILS, Dc, Dn, s.28, f.22, Verbale della riunione del 2 agosto 1954.
679 Nel documento firmato da Ciabattoni si sosteneva che «Da lungo tempo andava maturando la grave crisi del Movimento giovanile. Anzi, per usare una espressione più aderente alla realtà, da parecchio si sentiva l’esigenza di concludere, con grande cautela, ma ad ogni costo, il travaglio del Movimento giovanile. Dopo gli ultimi avvenimenti politici, infatti, si era maggiormente acuito il contrasto e il distacco tra il centro Nazionale e la Periferia (ciò anche per esplicita ammissione degli stessi Dirigenti Nazionali) e l’immobilismo tradizionale non trovava, ormai, più scusanti. […] I numerosi “ma che succede” e i “ma che cose dobbiamo fare” della periferia crediamo debbano essere tacciati. Non in un modo qualsiasi. Ma nell’unico modo dovuto: con poche parole e molti fatti, e soprattutto idee molto chiare. Non vorremmo si dimenticasse, nel frattempo, la precisa funzione del “reggente”: organizzare entro novanta giorni il convegno. Senza cioè possibilità di impostazioni determinate, avendo il Comitato affermato a maggioranza che resta valido l’impegno di sottoporre alla discussione del Convegno nazionale la linea politica e organizzativa fino ad oggi seguita dalla Direzione del Movimento. […] Alcune esigenze: legare la fiducia ai Dirigenti Nazionali e all’Esecutivo in carica […] Indipendenza del Movimento giovanile DC da ogni forma di “corrente” interna di Partito. […] Garanzia di libera azione al di fuori della semplice organizzazione del Partito. […] già nel Comitato Nazionale di Anzio del febbraio 1954, l’esigenza di una totale revisione della linea politica e organizzativa del Movimento era apparsa evidente. […] è cosa nota se si afferma che il nuovo Esecutivo non ha risolto nessun problema. I gruppi giovanili debbono infine rappresentare il punto di contatto più facile e più vicino con tutte le organizzazioni giovanili operanti»; cfr. ASILS, Dc, Dn, s.31, f.21, Verbale della riunione del 7 gennaio 1955.
680 Ibidem.
681 W. Dorigo, La sostituzione di Rossi alla Giac, in «La Base», n.7, 5 aprile 1954.
682 L. Magri, Nessuna complicità dei giovani, in «La Base», n.9, 5 maggio 1954.
683 APCIG, carte Fgci, b. 1954/2, f. 0423-2559, Note sul nostro lavoro verso i giovani cattolici, s.d. «La linea di azione che ci siamo fissati – prosegue il documento – nei giorni della crisi della Giac ci pare oggi ancora valida: appunto perché tra i giovani della sinistra cattolica vi è confusione e talvolta indecisione e timidezza, appunto perché vi è una situazione tale da prestarsi alle manovre degli ecclesiastici e di taluni uomini politici democristiani, occorre intervenire dall’esterno e dall’interno per rendere più rapido il processo di chiarificazione, per rendere più rapido il processo di chiarificazione, per incoraggiarli a resistere e a lottare dentro le fila del movimento democristiano. Un’azione più ampia verso al gioventù cattolica veniva iniziata dopo le note vicende della destituzione del dott. Rossi e della direzione centrale della GIAC. In questa occasione il Comitato Centrale, molte Federazioni e numerosi circoli svilupparono un lavoro di orientamento e di informazione verso la gioventù cattolica. Il risultato del lavoro svolto in questo periodo aveva anche un valore interno: infatti una maggiore sensibilità della gioventù comunista per il lavoro verso la gioventù cattolica è stata segnalata dopo questo periodo quasi ovunque. Il 18-19 giugno si riuniva a Perugia il Comitato Centrale della FGCI che, sulla base delle ultime nostre esperienze e delle indicazioni fornite dal compagno Togliatti al Comitato Centrale del Partito, impegnava tutta l’organizzazione della gioventù comunista a intensificare il lavoro per l’intesa fra la gioventù comunista e la gioventù cattolica. Nel corso di questi mesi, nonostante il massiccio intervento delle gerarchie ecclesiastiche e dei dirigenti fanfaniani della DC, si avevano numerosi casi di collaborazione su problemi diversi e in numerose città tra giovani dell’A.C. e democristiani e la gioventù comunista. Significative sono le adesioni di giovani dirigenti cattolici alla lotta in difesa della pace, contro la CED e il riarmo tedesco a Reggio Emilia, Ferrara, Ravenna, Forlì, Siena, Trento, Bari, Messina, Rovigo».
684 APCIG, carte Fgci, b. 1954/2, f. 0423-2559, Lettera di Enrico Berlinguer alle sezioni della Fgci, s.d.
685 Provvedimenti anticomunisti, in «La Base», n.2-3, 25 dicembre 1954.
Andrea Montanari, Il Movimento giovanile della Democrazia Cristiana da De Gasperi a Fanfani (1943-1955), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Parma, 2017

#1953 #1954 #1955 #ACLI #AmintoreFanfani #AmosCiabattoni #AndreaMontanari #AzioneCattolica #Base #cattolici #CISL #DC #don #EnricoBerlinguer #FGCI #FUCI #GIAC #giovani #giovanile #gioventù #MarioRossi #Milani #Movimento #PCI

2025-06-14

Uno che ringrazia #dio per aver salvato una persona dallo stesso incidente in cui ne sono morte altre duecentoquarantuno, che deficit cognitivo ha esattamente?

#religione #dissonanzacognitiva #cattolici #cristianesimo

2025-06-09

#Brasile, censimento 2022: #cattolici in calo rispetto al 2010 (dal 65% al 56,7%), #evangelici in crescita però rallentata (dal 21,7% al 26,9%) e aumentano anche le persone senza religione (dal 7,9% al 9,3%).👇
bbc.com/portuguese/articles/cr

Luca da BaskervilleLucaM1978@mastodon.uno
2025-06-03

Il tentativo dei #cattolici di destra di reclutare il Papa tra i loro sostenitori mi fa quasi tenerezza.
Ricorda quegli adolescenti strafottenti che millantavano di valersi del cugino palestrato, sapendo bene che al cugino non interessava nulla di loro.

#leoneXIV #PapaLeoneXIV

OpenSoul ✅OpenSoul
2025-05-06

Segnalo questa immagine di (a proposito: cosa aspettate ad aprire un account qui su ?!?!) che è ironica, ma effettivamente fa riflettere molto... 🤔

copymanLE :verified:copymanLE@mastodon.uno
2025-04-22

Ho dedicato qualche ora a orientarmi nella bizzarra galassia del tradizionalismo cattolico tra sedevacantisti, sedeprivazionisti, conclavisti ecc.
Poi ho avuto la pessima idea di andare a curiosare nel blog dell'ex vaticanista RAI Aldo Maria Valli. Diciamo che dopo la lettura dei post in cui spara ad alzo zero su Bergoglio e il suo pontificato sento il bisogno di mettere i pensieri in ammollo nella candeggina.

#Bergoglio #tradizionalisti #cattolici

Il vicepresidente #JDVance ha incontrato #PapaFrancesco oggi, con un breve scambio di auguri di Pasqua. L’incontro è arrivato dopo che il papa ha criticato le politiche di #deportazione dell’amministrazione #USA e ha esortato i #cattolici a respingere le narrazioni anti-immigrati.

RE: https://bsky.app/profile/did:plc:eclio37ymobqex2ncko63h4r/post/3lnavi7yjq22k

2025-04-03

Sondaggio #Swg sul voto dei #cattolici #praticanti in Italia: dal 2006 al 2025 calano dal 33% al 20% dell'elettorato e slittano verso il centrodestra (54,7%). Fratelli d'Italia ne attira di più (31,6%), nel PD calano al 20,3%, nel M55 sono al 12,5%; salgono al 18% quelli non schierati a livello partitico.
La maggioranza dei praticanti vuole una politica laica ma sale al 22% chi ritiene che cultura e morale cattolica dovrebbero essere «sempre» alla base della politica. 👇
italiaoggi.it/economia-e-polit

ALMERICO COLIZZIColizziAlmerico
2025-03-20
2025-02-25

Il presidente Donald Trump conquista consensi anche tra molti #cattolici #Usa e la sua presidenza consolida i legami con il mondo integralista: il vice J.D. Vance è un convertito cattolico, come diversi influenti fautori del Project 2025 che punta a una controriforma conservatrice delle istituzioni statunitensi, e conta sul sostegno di diversi prelati.👇
abc.net.au/religion/massimo-fa

2024-12-29

Preti. abusi sessuali, e sabbia. Una ricetta facile facile, che funziona. Sempre.

youtube.com/watch?v=Dc4h0fqFrp

#cattolici #AbusiVaticano #abusisessuali #regimiteocratici #teocrazia #rupnik

Luca da BaskervilleLucaM1978@mastodon.uno
2024-11-04

Alcuni #cattolici si dicono offesi da #Sorrentino, fino a invocarne la censura.

I monaci medievali copiarono senza timore bellezze e oscenità di Petronio, Catullo, Marziale, facendole giungere fino a noi.

È tutta qui la differenza tra un #cristianesimo in salute e uno morente.

#Parthenope

2024-10-01

La pena di morte, prevista tramite impiccagione, è stata abolita nel 1967 da Paolo VI ma rimaneva come previsione legittima nel testo del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Il 22 febbraio 2001, il Vaticano ha abolito la pena di morte dal testo della Legge Fondamentale.

E poi però i sicari sono i medici italiani.

#papaBergoglio #vaticano #aborto #sicari #assassine #igv #cattolici #ipocrisia #penaDiMorte

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