#pregrafismi

2025-03-07

ricominciamenti / luigi di cicco. 2025

Ricominciamenti
(estratto da “Sul ciglio del significato”)

L’horror vacui, secondo la suggestione mitica ricordata da Gillo Dorfles, aveva forse spinto i primi abitanti della terra a segnare sulle superfici. Ma com’erano questi segni?

“Sono stati rinvenuti grafismi ritmati risalenti al Musteriano, vale a dire a trentamila anni avanti Cristo, quindi a un’epoca ben precedente alle prime scritture”, afferma Roland Barthes. “Questi grafismi ritmati probabilmente non erano semantici. Erano pregrafismi, in un certo senso erano tutto ciò che approssimativamente chiamiamo astrazione, che era già presente prima ancora che apparissero la figurazione e la scrittura. Pertanto, in un’unica area di pratica corporea, la pittura e la scrittura avrebbero avuto inizio con lo stesso gesto non figurativo e non semantico, semplicemente ritmico”. Barthes parla di “scrizione” e, con un neologismo, di “pinzione” per riferirsi al puro gesto scrittorio e al puro gesto pittorico. Secondo il francese, bisogna superare i due “miti scientifici”: il mito trascrizionista (la scrittura si limita a seguire la parola, a copiarla) e il mito funzionalista (la scrittura è nata al solo scopo di comunicare). “La verità nascosta della scrittura è la sua verità gestuale, la sua verità corporea”.

Il desiderio di tornare agli inizi, a una scrittura presemantica, preverbale, è riscontrabile nel pensiero e nell’opera di molti autori asemici. Irma Blank rivendica la sua volontà di tornare “al segno primordiale, indifferenziato, che precede la parola. È un ricominciamento, un portare lo sguardo verso l’inizio. All’Ursprung. Un gesto scritturale puro”. Per Henri Michaux le parole sono “manette”. Il primitivo, il primordiale, rappresenta l’unica via di fuga.

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Proprio con un passo di Michaux, May Bery introduce Au noir, un libro del 2019 composto di sedici piccole tavole dalla forma allungata: “Sono giunto al nero […] L’oscurità, l’antro da cui tutto può scaturire, in cui tutto bisogna cercare”.

Bery parte da uno strato catramoso di pittura acrilica. Poi lo gratta, lo graffia. Emergono, al negativo, frequenze, traiettorie, diagrammi, simulacri di formule, minutissime pre-scritture. Registrazioni a volte fibrillanti, a volte più distese. Singolari mappe, arcaiche e cosmiche, corredate di indecifrabili didascalie.

Per Michaux, “nel nero c’è tutto quanto è necessario sapere”. Au noir di Bery è un antro: in esso ci perdiamo, percepiamo l’intero universo. Ma di fatto, al termine del viaggio il messaggio resta impenetrabile, più oscuro dell’oscurità da cui è affiorato.

 

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Roland Barthes, “La peinture et l’écriture des signes” (table ronde au Colloque P. Francastel, févr. 1974), in Colôquio/Artes, rivista, n. 18-19, avr.-juin 1974
Giorgio Maffei (a cura di), Il libro d’artista, Editore Sylvestre Bonnard, Milano, 2003
Henri Michaux, Par des traits, Fata Morgana, Montpellier, 1984
Henri Michaux, Emergenze-Risorgenze, traduzione di Francesco Marotta, Quaderni di traduzioni, XVI, pdf on-line, Settembre 2013
May Bery, Au noir, Timglaset Editions, Malmö, 2019

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