#NuovaPoesia

L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionalelombradelleparole.wordpress.com@lombradelleparole.wordpress.com
2025-09-05

Poesie di Vincenzo Petronelli – Una poesia fitta di vacillamenti, di vaneggiamenti, di zoppicamenti, di passi all’indietro, di un passo in avanti e due all’indietro; una poesia che va per passi laterali e per retrovie, per tentativi, per scorci e per scorciatoie, per smottamenti laterali, ribaltamenti, aperture parentetiche e serendipiche, per ri-tracciamenti, per sentieri che si rivelano Umwege e ri-tracciamenti all’indietro, di lato che si rivelano Holzwege.

Poesie di Vincenzo Petronelli

Fragmenta historica

Latte di mandorla con ghiaccio sui tavoli del “Cafè de la guèrre”.
Lamarmora e Mancini decidono la formazione per la trasferta di Magenta.
“Sarà importante mantenere l’equilibrio tattico. Dal nostro ombrellone vista-mare sapremo guidarvi all’immancabile vittoria”.

“Se avessi previsto il Narodni Dom, non avrei dipinto “Il Bacio””
confidò Hayez alla Signora Päffgen in una camera del Chelsea Hotel.

Il caffellatte nello scaldavivande in un ufficio della Zentralstelle in Wien.
Eichmann arriva di primo mattino canticchiando “Rhapsody in blue”.
“Il grande bulino è già in azione. Non pioveva sabbia da secoli
sul Danubio,
ma abbiamo già fatto saltare in aria il rapido 904 con le rane a bordo”.
Mosè stava ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio.
A Theresienstadt in inverno si sta come in primavera.
“Si sieda rabbino; posso offrirle del latte nero?”

“Who by fire? Who in the night time?”

Sulla soglia della stazione di Rocchetta Sant’Antonio.
Alle spalle, Marcuse gusta dell’uva fragolina sotto un pergolato
in Abbey Road; davanti
il deserto del Negev: dobbiamo affrontarlo per intero
per approdare alla stanza-dimora di Mario Gabriele.
Da tempo ormai, non legge più “Satura”: ascolta heavy metal
e sorseggia Bourbon.
Tra poco, si festeggeranno le idi di marzo.

Il Signor Dobermann all’alba
accompagna i pochi vaccinati che si riuniscono nelle catacombe.
Pompei deflagrò quando chiuse l’ultimo cocktail bar.
“Le campagne sono tetre ed insicure signor generale: ci affidiamo alla Vostra guida”.
Un fax ingiallito del 476 D.C firmato Flavius Odovacer.
“Delenda Roma est”.

 

Au revoir, rêves de gloire

A bordo di una Tesla, i soldati lasciano Fort Alamo in direzione est:
“Per il nostro prossimo anniversario ti regalerò l’Iraq amore!”.

Al resort “Covo dei Cretesi” si celebrano le nozze di Telemaco e Nausicaa.
Lo chef Dunand raccomanda:

Tartare di bue agli estrogeni

Lepre di tegole
Frittatona di cipolle
Peroni ghiacciata
Rutto libero

Tarzan, Furia, La casa nella prateria hanno fermato i treni per Tozeur.
Il presidente ha la cravatta in pendant e la camicia fresca di lavanderia:
“Dio è dalla nostra parte: vincere e vinceremo!”.

Romolo e Salvatore sono ormai degli influencers su Instagram
da quando Chat GPT
li ha citati come icone LGBT.

Christopher Mc Candless ha scritto dall’Alaska:
la Vergine di Norimberga gli offre tortellini agli aculei tutte le sere.
“Happiness only real when shared” . “L’aria si è addolcita al confine russo: tra pochi giorni tornerò a casa”

L’annuncio urbi et orbi del ministro dei cocktails:
“Da oggi è severamente vietato
uscire senza abito da sera. I contravventori
saranno sottoposti a rieducazione coatta
presso la Antonio Cassano’s Fashion Academy ”.

Renato Curcio fa i fanghi a Salsomaggiore con l’Università della terza età.
Sulle spiagge di Albenga, ci si diverte con poco negli anni’60:
buche di sabbia, palette, secchielli
trick e track e bombe a mano.

Norma aspetta all’angolo in attesa di poter entrare al Rotary
nel suo fasciato nero d’occasione. Un’ auto in corsa le fa cat calling.
“Dai pure il ciak Cecil: sono pronta per il primo piano”.

“Addio, Hollywood!”. Si gira Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio”.

Miraggi

Padre Ralph ed il Commissario Lo Gatto sono arrivati questa mattina a Pantelleria.
Le maestre elementari girano video su Tik Tok: è un’altra estate al mare.

Mrs. Pynchon beve Negroni e tequila ghiacciata seduta al Bar Tramvia:
per il suo barboncino invece, solo spritz e patatine.
Lou Grant ha appena terminato di scrivere il suo ultimo pulp: “Pane, amore e botulino”.

Il balcone della Signora Francavilla sull’orizzonte del primo giorno di vacanze.
Chopin in tour al Lido Valerio presenta il suo ultimo album dance con Leone Di Lernia.

Bagni radioattivi ed orzate di periferia, Enzo Tortora e Lech Wałęsa, Mike il partigiano ed Alvaro Vitali: stessa spiaggia, stesso mare.

Enzo Sguera ha vinto per getto del bicchiere di whiskey al primo round:
“Questo matrimonio non s’ha da fare”.

Teresa ascolta i complimenti del supplente: Rosa rincasa tardi la sera con l’argenteria in tasca. Dino Zoff annuncia il suo ritiro. “Ho due braccia forti, benedizione di Babilonia”.

Il vento tra gli ombrelloni sa di melanzane alla parmigiana, pasta al forno, eau de Chernobyl ed inchiostro al metanolo.
Un corridoio al fosforo collega il Gargano e l’Albania nelle domeniche di agosto.

“Da domani vita nuova: avrò un lavoro autonomo”. È l’Italia che va, abbronzata dai miraggi.

Poetry kitchen GPT

Prologo (su una panchina di Porta Romana, Agosto 2025)

“Che diavolo sarà questa poetry kitchen, contessa?”
“Ma che ne so? Vuol mettere le belle poesie che studiavamo a memoria a scuola:
Pascoli, Carducci, Leopardi, D’Annunzio, con questa roba?
Sicuramente Gennaro l’idraulico ne saprà più di noi”.
“Ma come, n’o sapit? È come foss na specie d futurismo. Un momento, quando finisco di leggere la campagna acquisti del Napoli e vi faccio vedere una cosa”
“Ecco qua cos’aggie trovat”

*

Un carrello
deraglia tra le corsie di Marte,
offerte 3×2 su stelle esauste
— ma solo con la carta fedeltà di Giove.

Il robot alla cassa
scansiona il silenzio del cliente,
codice a barre stampato sulla fronte:
“Umano in scadenza 2054”.

Fuori, piovono banane fluorescenti.
Un influencer dal casco blu
trasmette in diretta il diluvio,
mentre Noè parcheggia il SUV elettrico
nel box del condominio celeste.

Intanto il parroco
benedice le lattine di tonno,
e un algoritmo invecchiato
ricorda di aver amato
una fotocopiatrice nel 1997

Epilogo

“Avete sentit sì che bella poesia? Chist sì, è poesia ch’a cazzimm”.

Articolo dal Corriere della Sera del 30 Agosto 2025: “Si indaga sulla misteriosa morte della contessa di Vimodrone e della sua governante; si sospetta del poeta kitchen Vincenzo Petronelli”

Il momento espressivo della forma-poesia è uno spazio espressivo integrale

Il momento espressivo di Vincenzo Petronelli coincide con un linguaggio irriconoscibile. Voglio dire che se il momento espressivo si erige come un qualcosa di più di esso, degenera in pseudo-forma, degenera in mera esternazione dell’io, in chiacchiera, in opinione, in varianti dell’opinione, in sfoghi personali, in personalismi etc., cose legittime, s’intende, ma che non appartengono alla poesia intesa come «forma espressiva integrale» di un «evento».

Il problema filosofico di fondo della poesia della seconda metà del novecento, che si prolunga per ignavia di pensiero poetico in questo post-novecento che è il nuovo secolo, è il non pensare che il problema di una «forma espressiva» non può essere disgiunto dal problema di uno «spazio espressivo integrato» e quest’ultimo non può essere disgiunto dal problema del «tempo espressivo» (tempus regit actum). Il digiuno di filosofia di cui si nutre la poesia scettico pragmatica del quotidiano, ha determinato in Italia una poesia prevedibile, scontatamente lineare, che procede in una sola dimensione: quella della linearità unitemporale a scartamento ridotto sulla misura dell’io; ne è derivata una poesia-comunicazione, poesia da infotainment. I responsabili di questa situazione di scacco della poesia italiana sono stati i maggiori poeti del secondo novecento: Eugenio Montale con Satura (1971), seguito a ruota da Pasolini con Trasumanar e organizzar (1971), da Elsa Morante con Il mondo salvato dai ragazzini (1971) e da Patrizia Cavalli con Le mie poesie non cambieranno il mondo (1975);  queste cose le ho già divulgate nel mio studio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana 1945-2010 edito da EiLet di Roma nel 2011, ma era utile riepilogarle in questa sede.

Qui posso solo tracciare il punto di arrivo di questa processualità italiana (ed europea): il minimalismo, il post-minimalismo, il cronachismo dell’io e il quotidianismo dell’io. Con questa conclusione intendevo tracciare una linea di riflessione che attraversa in diagonale la poesia del secondo Novecento, una linea di riflessione che diventa una linea di demarcazione della «discesa culturale» (dizione di Berardinelli) che ha attinto la poesia italiana del secondo novecento. Delle due l’una: o si accetta la poesia del post-minimalismo romano milanese, che prosegue la linea di una poesia da infotainment, o si tenta una  inversione di tendenza: da una poesia unidimensionale ad una poesia pluridimensionale, plurifrastica, plurilinguistica che accetti di misurarsi con uno «spazio espressivo integrato», con una molteplicità di spazi e di tempi, con una molteplicità di linguaggi, con quello che un tempo si definiva il «plurilinguismo e il pluristile».

L’andatura apoplettica e sistematicamente sismicizzata della «nuova poesia» kitchen e distopica di Vincenzo Petronelli ha un andamento jazz, dove non sai mai che cosa vi dirà il verso successivo; una poesia fitta di vacillamenti, di vaneggiamenti, di zoppicamenti, di passi all’indietro, di un passo in avanti e due all’indietro; una poesia che va per passi laterali e per retrovie, per tentativi, per scorci e per scorciatoie, per smottamenti laterali, ribaltamenti, aperture parentetiche e serendipiche, per ri-tracciamenti, per sentieri che si rivelano Umwege e ri-tracciamenti all’indietro, di lato che si rivelano Holzwege. Una poesia che ha il coraggio di esternare una scommessa con l’ignoto dei linguaggi.

Ma è che oggi non essendoci più una fondazione sulla quale posare il discorso poetico, anch’esso se ne va a ramengo, senza un mittente, senza un destinatario, privo di identità, contando unicamente sulla destinazione senza destinatario; si invia, si destina qualcosa a qualcuno pur sapendo che non giungerà più nulla a nessuno, in quanto la destinazione è priva di destino, si vive alla giornata seguendo il Principio Postale, la spedizione della cartolina, delle cartoline. Il «polittico» e il «kitchen» di Vincenzo Petronelli sono spazi espressivi integrati ragguagliabili ad inganni sussultori, inganni di frasari, di fraseggi, di cartoline, di invii, di ri-invii, di post-it, di scripta (che non manent), di voci interrotte. Si va per la via della complessificazione della forma-poesia, verso l’entropia dei linguaggi che collassano in un imbuto, in un buco nero. Si tratta di un meccanismo di ri-invii e di ri-tracciamenti destinati allo sviamento e all’evitamento, dove il messaggio, che reca impresso il desiderio, la pulsione, non arriva mai a destinazione in quanto per definizione freudiana inibito alla meta. Il Principio di Piacere che ha prodotto il desiderio approda infine al Principio di Realtà, e quest’ultimo retro agisce sul primo riproducendo il circuito chiuso di un meccanismo invernale. E così facendo perpetua il meccanismo di riproduzione del capitale libidico del piacere non ottenuto mediante la riproduzione del piacere libidico in piacere sublimato, piacere tras-posto, tras-ferito.

Del resto, l’Elefante si è accomodato in salotto. E sta bene lì dove sta.

(Giorgio Linguaglossa)

Vincenzo Petronelli è nato a Barletta l’8 novembre del 1970, laureato in lettere moderne con specializzazione storico-antropologica, risiede ad Erba in provincia di Como. Dopo un primo percorso post-laurea come ricercatore universitario nell’ambito storico-antropologico-geografico e redattore editoriale negli stessi comparti, oltreché in quello musicale, attualmente gestisce un’attività di consulenza aziendale nel campo della comunicazione, del marketing internazionale e dell’export. Agisce in vari settori culturali. Come autore sono impegnato scrive testi di poesia, di narrativa e di storytelling sportivo, musicale e cinematografico, nonché come autore di testi per programmi televisivi e spettacoli teatrali. Nel contempo, prosegue nell’impegno come ricercatore in qualità di cultore della materia sul versante storico-antropologico, occupandosi in particolare di tematiche inerenti i sistemi di rappresentazione collettiva, l’immaginario collettivo, la cultura popolare, la cultura di massa, la storia delle religioni. È attivo nell’ambito della ricerca storica e antropologica e come storyteller, nell’organizzazione di eventi e festival culturali in diversi settori (musica, letteratura, teatro, divulgazione) e come promoter musicale. È redattore per il blog letterario internazionale lombradelleparole.wordpress.com e collabora con le riviste Il Mangiaparolee Mescalinaoccupandosi di musica, poesia e del rapporto tra poesia e scienze sociali. Dal 2018 è presidente dell’associazione letteraria Ammin Acarya di Como. Ha iniziato a comporre poesie dalla seconda metà degli anni novanta. Alcuni suoi testi sono presenti nelle antologie IPOET edita nel 2017 e Il Segreto delle Fragole edita nel 2018, entrambe a cura dell’editore Lietocolle, nonché in Mai la Parola rimane sola edita nel 2017 dalla associazione “Ammin  Acarya” di Como, nel blog letterario internazionale “L’Ombra delle Parole”. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023, nonché nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite 2023 e  nel volume di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Progetto Cultura, Roma, 2022. Sue poesie sono presenti nel volume La poesia nell’epoca della Intelligenza Artificiale a cura di Giorgio Linguaglossa, Progetto Cultura, 2025.

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L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionalelombradelleparole.wordpress.com@lombradelleparole.wordpress.com
2025-07-11

Stroncatura di una poesia di Maurizio Cucchi. Lettura di Giorgio Linguaglossa. Un testo che non conosce gli oggetti. Non gli interessano gli oggetti. Retropensieri di una retropia, o retropie di retropensieri…

(Marie Laure Colasson, présence, acrilico, 30×30, 2025)

Giorgio Linguaglossa
(12 giugno 2019 alle 11:16)

Siamo inesorabilmente invasi dalle parole «piene», le parole comunicazionali che troviamo in tutti i libri di poesia e di narrativa che si stampano oggi, analoghe a quelle che usiamo tutti i giorni nei nostri commerci quotidiani. Le parole «piene», quelle di Salvini, dei Vannacci, di Telemeloni, le parole della propaganda politica, della pubblicità & company vogliono essere seduttive, si rivolgono al proprio elettorato, al proprio uditorio, ai propri followers, chiamano a raccolta, imperative in quanto soliloquiali, piene di significato soliloquiale, piene di steccati soliloquiali.

No, le parole della poesia sono un’altra cosa, esse sanno di essere deboli e fragili, sanno di non poter contare sul proprio statuto di verità ontologica, sanno di poggiare su una ontologia meta stabile, soggetta alla mutazione, soggetta al toglimento, alla de-coincisione.

A me francamente fanno sorridere le certezze dei poeti della domenica, quelli che mi dicono: «ma come fai a togliere l’io da una poesia?».

Ecco, dinanzi a questa domanda da commercialista io non ho nulla da dire. Cosa potrei dire? Tutti gli ultimi libri di Maurizio Cucchi sono il discorso di un io plenipotenziario che parla di se stesso e con se stesso: io di qua, io di là, io così, io colà. Penso che se l’autore mette dappertutto l’io, ne sarà pur convinto, sarà in buona fede, forse pensa che l’io sia un passepartout che apre tutte le porte. Io invece penso che l’io chiuda tutte le porte. Chiude tutti i discorsi invece di aprirli.  Li chiude in quanto convinto della coincidenza tra l’io e l’esserci, perché crede ingenuamente nell’eternità e nella bontà glossologica dell’io. Cucchi adotta il senso comune del volgo. Infatti, l’io si basa su questa credenza popolare: l’io è vero e degno di fiducia, tutto il resto è falso, o può risultare falso. Opinione accettabilissima per il senso comune acritico, ma priva di qualsiasi significato filosofico.

È chiaro che un “io” di questo genere userà soltanto parole «piene», parole «vere»; dividerà le parole: di qua le parole vere e piene, di là le parole non-vere e non-piene.

Oggi la poesia la si scrive avendo in mente i propri followers

Questa che segue è una poesia di un noto poeta italiano, autore di 11 libri di poesia, Maurizio Cucchi. La prendo come parametro di quello che dicevo sopra. La composizione inizia con la descrizione del pensiero dell’io, poi passa alla auto fustigazione di «noi animali» (sic), per poi proseguire con una ruminazione mentale oziosa e peregrina, vacua, irrisoria, che vorrebbe additare ad un pensiero profondo, alla eternità del dopo la morte: «E laggiù dove andrò, remoto», cui segue tutta una infiorettatura di pensierini irrisori, irrisolti e gratuiti estrapolati dalla camera più segreta «nell’ultimo conato» dell’io.

Ecco, qui siamo in presenza di quello che intendevo dire quando parlavo di «parole piene», di parole ad uso di tutti, di parole faccendiere, affaccendate in quanto proiezione di un “io” che non nutre neanche del beneficio del dubbio cartesiano; un “io” nascosto, ascoso in chissà quale profondità della mente. Lo dice il testo stesso, all’io «piace… assaporare la più elementare forma di dominio». Sì, è vero, questa volta ha ragione Cucchi, qui si tratta del «dominio» vero e proprio, del dominio delle «parole piene», risolutorie che si rivelano, al contrario, nei testi essere parole vacue, ingorde, irrisorie, fideiussorie: Le parole della poeticità debole nell’epoca del presentismo mediatico.

di Maurizio Cucchi

Troppo spesso – pensavo – troppo,
troppo spesso noi animali ci affidiamo
alla bontà curiosa della nostra indole.

E laggiù dove andrò, remoto,
nella patetica smorfia verticale muore
l’impronta, e non lo sa, e replica
se stesso, ancora, nell’ultimo conato
costruttivo. Del resto
ci piace assaporare, puerili,
la più elementare forma di dominio,
espressione del nostro costume
e la natura ci ingombra, ci pesa ma consiglia
le terre più estreme, dove l’attrito procede
e si consuma ancora più violento
e fisico, più naturale.

Se si legge con attenzione, ci accorgiamo che non è citato nemmeno un oggetto, tutte le espressioni appartengono al genere “astratto” del si dice di ciò che non si dice, del non si dice di ciò che si dice. Parole che appartengono ad una vecchia ontologia del novecento rimasticata e rispolverata, riverniciata di fresco. Parole che appartengono al genere della decrescita culturale felice, felice in quanto acritica, del soliloquio che è sito in un angolo remoto della mente: nell’Io plenipotenziario. Una ruminazione fine a se stessa che parla di «dominio», che vorrebbe riuscire moralistica, che ci parla con il suo tono assertorio, regolatorio, che in realtà parla a se stessa, non parla mai al lettore. È un testo che non conosce gli oggetti. Non gli interessano gli oggetti. Retropensieri di una retropia, o retropie di retropensieri, fate voi. Anzi, mi correggo, retrovie di retropie…

Senza l’Immaginario il Reale non sarebbe abitabile

È questa riflessione di Lacan che mette a soqquadro la posizione geometrale cartesiana di un soggetto logico che abita uno spazio neutro. Il Reale per poter funzionare come oggetto del godimento e della rappresentazione deve essere supportato dall’Immaginario. Per la nuova poesia e il nuovo romanzo il Reale va vestito, mascherato, fantasmatizzato. Appunto, fantasmatizzato. Abitare il Reale presuppone sempre abitare l’Immaginario, implica la possibilità di abitare più temporalità e più spazi, moltiplicare l’Io tramite la convocazione di sosia e di avatar. Assegnare alle spazialità proprietà propulsive implica poter riconoscere i bordi, le sfrangiature, le cuciture, i confini, le cicatrici dello spazio, e sarà su questo spazio che il linguaggio poetico può operare delle piegature, delle cuciture, dei tagli, delle foderature, dei nodi.

Il periscopio della nuova poesia

dovrà quindi necessariamente virare dalla vita intima a quella esterna. l’interiorità del soggetto non è altro che una esteriorità rovesciata su se stessa. Il linguaggio poetico critico dovrà appuntare la sua attenzione non solo sulla vita interiore ma anche e soprattutto sugli abiti, sulle maschere, sui soprabiti, sui cappelli ornamentali, sulle passamanerie fantasmatiche e passare dalla vita presuntuosamente intima del soggetto a quella dell’extimità del soggetto stesso, di ciò che sta al di fuori del soggetto, in lontananze che per la geometria cartesiana sarebbero abissali ma che per la geometria degli spazi topologici invece sono vicinissime. L’abito come manufatto linguisticamente topologico implica che esso è fatto di proiezioni dell’Immaginario, con conseguenti attese, rimozioni, ribaltamenti, deviazioni del desiderio, deviazioni del godimento; abito inteso come costumi, comunità di linguaggi, esoscheletro. In ultima analisi abito linguistico come abito del Politico. In una parola: abito come creazione da parte di una particolarissima sartoria teatrale, allestimento plurilinguistico, plurifantastico e plurifantasmatico. Perché un nuovo abito linguistico designa sempre un nuovo soggetto politico.

Maurizio Cucchi è nato nel 1945 a Milano, dove vive. Ha pubblicato i libri di poesia: Il disperso (Mondadori, 1976, e Guanda, 1994), Le meraviglie dell’acqua (Mondadori, 1980), Glenn (San Marco dei Giustiniani, 1982, Premio Viareggio), Donna del gioco (Mondadori, 1987), Poesia della fonte (Mondadori, 1993, Premio Montale), L’ultimo viaggio di Glenn (Mondadori, 1999), Poesie 1965-2000 (Mondadori, 2001), Per un secondo o un secolo (Mondadori, 2003), Jeanne d’Arc e il suo doppio (Guanda, 2008), Vite pulviscolari (Mondadori, 2009), Malaspina (Mondadori, 2013), Paradossalmente e con affanno (Einaudi, 2017), Sindrome del distacco e tregua (Mondadori, 2019). In prosa: Il male è nelle cose (2005), La traversata di Milano (2007), La maschera ritratto (2011), L’indifferenza dell’assassino (2012). Ha inoltre curato un’antologia di “Poeti dell’Ottocento” (1978), il “Dizionario della poesia italiana” (1983 e 1990), e, con Stefano Giovanardi, l’antologia “Poeti italiani del secondo Novecento” (1996). Ha diretto per due anni la rivista “Poesia” (1989-1991).

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L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionalelombradelleparole.wordpress.com@lombradelleparole.wordpress.com
2025-03-20

Una poesia kitchen di Lucio Mayoor Tosi interpretata dalla Intelligenza Artificiale Gemini, In diretta su Alfa Centauri – Cambio di paradigma e la rivoluzione dei linguaggi presso la nuova poesia, La IA generativa Copilot interpreta versi di Francesco Paolo Intini

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In diretta su Alfa Centauri.
Boschi e casette, confezioni di ribes, molti silenzi;
prati che si allontanano, nonni sulla porta; mamme
danzano a piedi nudi, spose attente al vestito giocano
con bambini imbarazzati. Non manca il cane dei vicini.
Il bosco sottratto, Arcangeli registri bollette scadute.

Riposo. La vita inutile. Bella vedetta, spalline, aquilotti,
zeri con faccina. Povera me. A Capri con la mamma.
Silvia ha il vaiolo. Questo scrive, l’altro si mangia
le parole.

Olga rimane, abbiamo fatto tanta strada.
– Lista dei cocktail, lista delle pizze, liste
abat-jour, tutte le notti.

Commento dalla IA Gemini interpellata da Giorgio Linguaglossa

Prendiamo in esame questi frammenti:

Riposo. La vita inutile. Bella vedetta, spalline, aquilotti,
zeri con faccina. Povera me. A Capri con la mamma.

Sono frasi rigide, lasciate in sospeso, che lasciano intendere che le azioni sarebbero potute continuare chissà come. I frammenti così assemblati lasciano un debito al lettore, debito che il lettore dovrà estinguere, pena il pagamento di una ammenda per ciò che è stato tenuto in sospeso. Ha scritto Giorgio Linguaglossa: «Le parole irrigidite, raffreddate, iperbarizzate sono quei molluschi dell’aria, quelle meduse dell’atmosfera in rapporto alle quali non possiamo fare altro che disabitarle, abbandonarle, lasciarle andare; le parole già reificate dei nostri parlari una volta costrette e costipate nello spazio neutro della nuova reificazione della scrittura poetica, cessano ogni eloquenza, restano mute, non abitano più alcun condominio di parole e se ne vanno ramengo nell’universo rumoroso».
In questa frammentologia vi si trova in grande abbondanza il banale del quotidiano divenuto turistico, con il bello sguardo di Capri: «boschi e casette», «bollette scadute», «Lista dei cocktail, lista delle pizze, liste/ abat-jour, tutte le notti». Sembra la cornice della pubblicità della Buitoni con annesso il quadretto idillico delle mucche e dei pastorelli felici; ci sono anche frammenti di parlato telefonico: «Silvia ha il vaiolo», interferenze, rumori di fondo, intermittenze, cambi di passo:

«Boschi e casette, confezioni di ribes, molti silenzi».

Sintesi:

La sintesi potrebbe essere questa: non c’è altro da fare che fare yoga o seguire i seminari di teologia, fare jogging nei parchi, fare rime e antirime, dedicarsi alla flat-tax delle parole della superficie. Il discorso poetico di Lucio Tosi si nutre delle parole di superficie che vengono pronunciate nel quotidiano, non c’è nessuna verità in esse, nessun altrove, nessun emozionalismo.

Ha scritto infatti l’autore:

Vivere nella realtà è mortificante. Starò più attento al consumo delle risorse pubbliche. Il mondo incantato di cui scrivo è ben piantato nella mia mente. Non so dove altri piantino il loro. Il mio lavoro adesso consiste nell’inscatolare parole. Le parole mi arrivano col contagocce, e per collaborazione. Non do consolazione, se tento un insegnamento, subito ne rido. Piuttosto bravo nel lasciar perdere. Poeta, se poeta, occidentale.
(Lucio Mayoor Tosi)

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.Cambio di paradigma e la rivoluzione dei linguaggi presso la nuova poesia

Metri e linguaggio nella poesia kitchen nell’epoca della IA genearativa cessano di designare un rapporto, ovvero il legame tra un genere poetico e il Reale, è questo il punto. Indicano piuttosto l’assenza di qualsiasi rapporto con il Reale. Condivido appieno il rilievo di Tiziana Antonilli, la IA Gemini ha fallito in toto l’approccio, l’ermeneutica della poesia di Tiziana Antonilli per la semplice ragione che QUELLA ermeneutica dei testi è stata addestrata sulla poesia tradizionale, accademica, che nulla ha a che fare con la poesia della nuova ontologia estetica. Le relative implicazioni che derivano sul piano stilistico e tematico da questa rivoluzione sono le nuove forme e il nuovo linguaggio poetico (con relative distassia e dismetria) che non sono più «simboliche», (Panofsky, Cassirer fino a Lacan e Slavoj Zizek etc.) ma vuote. Da qui l’apertura di immense praterie di possibilità stilistiche e linguistiche. Dal punto di vista della nuova ontologia estetica, la metrica e la lingua poetica tradizionali sono un reperto archeologico da guardare con distaccato senso dell’alterità e della distanza. Resta il fatto che la IA più evooluta è, ad oggi, ancora incapace di articolare una valutazione tecnica, stilistica e linguistica, nonché delle ragioni di fondo, storiche, ontologiche ed epistemologiche che sorreggono l’attività della IA riguardo alla lettura della nuova poesia.2

Nella poesia kitchen si possono scrutare, come in un microcosmo, al microscopio il cambio di paradigma e le trasformazioni epocali che sono avvenute negli strati sociali più profondi e nelle crisi di rappresentatività delle democrazie parlamentari dell’ex Occidente, ovvero, dell’Europa quale anello debole delle democrazie parlamentari su scala planetaria proprie del periodo storico che stiamo vivendo. Derivano da qui i grandi processi di trasformazione della forma poetica e dei suoi linguaggi che sono in corso nella nuova poesia.2. Il fallimento della Intelligenza Artificiale generativa parla chiaro. Era proprio questo il punto ascoso del mio discorso che avevo lasciato in sospeso e dietro il sipario: la incapacità la inadeguatezza della Intelligenza Artificiale generativa a capire qualcosa della nuova poesia.2.

Ho chiesto alla IA Copilot di interpretare questi versi di Francesco Paolo Intini:

Così beato non s’era mai visto il miliardo
E se cade un F16 è perché uno stormo di banconote
È finito nel motore.

Ma oggi sciamano stormi dappertutto
E battaglioni di centesimi assaltano le trincee.

Napoleone e Nelson giocano a tresette
Mi trovo al Purgatorio?

Domanda: quale è il rapporto con il Reale di questi versi?

Risposta: Non riesco a vedere alcun rapporto tra questi versi e il Reale

Domanda: Secondo te le immagini distopiche contenute nei versi come possiamo descriverle?

Risposta: Non saprei con precisione, dammi tempo per riflettere.

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“La musica di oggi non è peggiore di quella di prima, la musica di oggi non esiste”. La musica è finita, l’elettronica l’ha avvelenata, il computer l’ha uccisa e ora l’intelligenza artificiale la seppellisce. Si potranno comporre, forse si compongono già, musiche di buon livello senza bisogno di compositori. Basterà il il nerd che scrive il prompt. Componi un quartetto per archi 80% Mozart e 20% Haydn! E la macchina, che ha ascoltato tutti i quartetti di Mozart e tutti i quartetti di Haydn e può smontarli e rimontarli in infiniti modi diversi, rapidamente esegue. Ovvio che presto il valore di tutta la musica post-IA si avvicinerà allo zero. Resterà il repertorio. In futuro chi vorrà vivere un’autentica esperienza musicale dovrà andare ai concerti in cui persone fisiche suonano vecchi brani di Mozart con strumenti di legno, o antichi brani di Scarlatti con canne di piombo. Diventeremo post-umani ascoltando violoncelli e organi a canne. (Camillo Langone, da “Il Foglio” 19 marzo 2025)

Il motto di Heidegger: «Quando ci sentiamo spaesati, iniziamo a parlare» (1924), cento anni più tardi, nel mondo capovolto della IA generativa, può essere riscritto così: «Quando ci sentiamo spaesati, iniziamo a tacere». (Giorgio Linguaglossa)

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