#ReArm

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2025-10-17

L’Europa spenderà in armi 76 volte in più che in aiuti all’Africa: la migrazione è un affare fantastico!

L'Europa stanzierà 381 miliardi per la difesa nel 2025, mentre destina solo 5 miliardi all'Africa, sfruttando la migrazione come opportunità politica.

ilfattoquotidiano.it/2025/10/1

#ReArm #ReArmEu #ReArmEurope #Immigrazione #Africa

𐌐𐌀Ꝋ𐌋Ꝋ :antifa:steek_hutzee@mastodon.uno
2025-10-17

Da ‘ReArm’ a ‘Preserving Peace’. Il piano di riarmo Ue cambia il pelo ma non il vizio: spremere i cittadini.

Il programma appena lanciato da Bruxelles vale più di mille miliardi di fondi pubblici. Dietro alla "pace" si nascondono missili, munizioni, droni e tanti debiti.

ilfattoquotidiano.it/2025/10/1

#ReArm #ReArmEu #ReArmEurope #Readiness2030 #PreservingPeace

𐌐𐌀Ꝋ𐌋Ꝋ :antifa:steek_hutzee@mastodon.uno
2025-10-15

Corsa al riarmo: nuova accelerazione sul 5% in Difesa.

Gli #Usa spingono sulla corsa al riarmo e #Nato e #Ue obbediscono, pronti ad accelerare sugli investimenti per la Difesa.

lanotiziagiornale.it/corsa-al-

#ReArm #ReArmEU #ReArmEurope #Readiness2030

𐌐𐌀Ꝋ𐌋Ꝋ :antifa:steek_hutzee@mastodon.uno
2025-09-10

Corsa al riarmo, al voto sulle mozioni. Da destra niente testi per evitare risse.

I #5Stelle: No agli obiettivi #Nato e stop alle armi ad #Israele. Nel #Pd i soliti equilibrismi per non irritare gli ex renziani.

lanotiziagiornale.it/corsa-al-

#ReArm #ReArmEu #ReArmEurope #M5s #Movimento5Stelle #PartitoDemocratico

𐌐𐌀Ꝋ𐌋Ꝋ :antifa:steek_hutzee@mastodon.uno
2025-09-10

#Landini: “#Cgil pronta a nuove mobilitazioni”.

“Da anni scelte mirate solo ai dividendi per gli azionisti. L’Europa e anche l’Italia si è impegnata ad aumentare la spesa per le armi, anche in deficit, ciò significa tagli ai servizi pubblici, a #sanità e #scuola, la totale assenza di politiche sui settori strategici che un Paese deve avere se vuole continuare a essere industriale”, ha detto il segretario generale #MaurizioLandini.

ilfattoquotidiano.it/in-edicol

#Sindacato #ReArm #Lavoro #Istruzione

2025-08-12

#FrugalsInTrenches be like:

(Who remembers when Finland tried to use its presidency of half of the EU legislator to gut the already tiny common defence budget France had to drag them to kicking and screaming?...)

#MyGrudgesAreMeasuredInEons #EUpol #EU #politics #Finland #ReArm #Europe #politics #frugals

Manufacturers have praised the ASAP programme. Thorstein Korsvold, a spokesperson for Norwegian-Finnish manufacturer Nammo, said it had been “instrumental in helping Nammo make critically important investments in production”.

Nammo received about €55mn under ASAP to boost manufacturing of shells, propellant and powder, and was part of another €41.4mn project with other manufacturers.
Significant expansion is clearly visible at Nammo’s Finnish production site in Vihtavuori.
2
Similar programmes in other areas were needed, Korsvold said, pointing out that “air defence missiles as well as high explosives are currently produced only in very small quantities”.
Experts also believe that long-range strike capabilities remain a serious issue for Europe and Nato more broadly, as Russia is outpacing its adversaries.

La guerra cercata

img generata da IA dominio pubblico

di M. Minetti

L’articolo è stato pubblicato su Transform Italia il giorno 16 luglio 2025.

Scrivere oggi di pacifismo, in questo particolare momento storico, obbliga a giuste e sensate argomentazioni, che però non spiegano affatto perché si vada in tutt’altra direzione. Cercherò quindi di spiegare le ragioni della guerra e, visto che appare inevitabile, delle possibili azioni evolutive per affrontarla prendendo spunto dalla storia passata, visto che non è la prima volta che i governanti ci trascinano convintamente in questa volontaria catastrofe.

Le guerre non si sono mai fermate

All’interno dei confini europei non si combattono guerre dichiarate da circa 80 anni. Ciò non significa che si respirasse un’aria di pace Europa e nel resto del mondo, semplicemente le operazioni militari non si chiamano più guerre e non vengono dichiarate. L’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968 non possono essere considerate guerre solo perché non vi fu una prolungata e consistente resistenza armata. La Francia combatté per quasi dieci anni, fino al 1962, per impedire l’indipendenza dell’Algeria, mentre perdeva anche la guerra per conservare le colonie in Indocina. Nel 1991 assieme alla NATO partecipammo all’invasione dell’Iraq e nel 2002 a quella del Afghanistan e di nuovo in Iraq nel 2003. Nel 1995 la NATO intervenne militarmente contro la Serbia nei conflitti che stavano frammentando la ex Jugoslavia. Nel 2011, dopo i raid americani su Tripoli del 1986, una coalizione militare francese e statunitense attaccò la Libia, supportando dei gruppi armati insorti, facendo uccidere il colonnello Muʿammar Gheddafi, per consegnarla ai signori della guerra. Dal 2011, una dinamica simile ha portato alla destabilizzazione della Siria, in cui però la guerra civile è durata fino al 2024, anno della caduta del Presidente Bashar al-Assad e della presa del potere da parte dei membri dello organizzazione islamista salafita Tahrir_al-Sham, come l’attuale Presidente Ahmad_al-Shara, tuttora in lotta con le altre fazioni armate per estendere il controllo sull’intero paese. Non considero le recenti operazioni dello Stato di Israele contro la sua popolazione Palestinese una guerra bensì uno sterminio condotto contro civili per lo più inermi al solo scopo di pulizia etnica e deportazione, per altro dichiarati. La presenza di guerriglieri armati di Hamas fra la popolazione non giustifica i bombardamenti a tappeto e le uccisioni di civili. Più simmetrici invece i conflitti fra lo Stato ebraico supportato dagli USA e il Libano, lo Yemen, la Siria e l’Iran in cui si confrontano forze armate riconoscibili e ben equipaggiate.

Sullo sfondo di questi scontri più documentati perdurano in tutto il mondo circa altri cinquanta conflitti regionali di cui riceviamo notizie minime e vaghe.

Il fatto che quelle guerre, anche molto sanguinose, si svolgessero lontano dal centro dell’Impero e solo marginalmente ci coinvolgessero con attentati o per l’invio di contingenti di “pace”, ci ha permesso di mantenere quella distanza e tranquillità che solo nelle persone più sensibili veniva turbata, suscitando indignazione e manifestazioni di protesta. Eppure, è evidente a ognuno che quei conflitti avevano una funzione, oggi diremmo geopolitica. Si trattava di impiegare il capitale accumulato in eccesso per garantire l’approvvigionamento di materie prime, soprattutto petrolio, stabilire il controllo su rotte e mercati e ostacolare l’espansione di altri attori che avrebbero potuto praticare la stessa influenza. Motivazioni che non possiamo non riconoscere come imperialismo.

La pistola di Čechov

La celebre regola drammaturgica dell’autore russo è che”non si dovrebbe mettere un fucile carico sul palco se non sparerà. È sbagliato fare promesse che non si vuole mantenere”(1). Nel momento in cui l’Unione Europea annuncia ai quattro venti un piano di riarmo epocale e la NATO incassa la promessa di un aumento delle spese militari al 5% del PIL per gli stati membri, sta mostrando l’arma ai suoi avversari ma soprattutto al suo pubblico, quello che la dovrà pagare. Il copione prevede che queste armi dovranno essere usate, se non altro a scopo deterrente, in futuri conflitti con nemici sempre più potenti. L’antagonista è fondamentale nello sviluppo di una narrazione, non se ne può fare a meno. L’antagonista è essenziale anche nella costruzione dell’identità, individuale e sociale, per questo le guerre rinsaldano la comunità nazionale attorno ai leader, anche ai peggiori.

Il conflitto tuttavia è già iniziato e le armi si stanno già confrontando su diversi scenari che sono quello Ucraino, Israeliano, Siriano, Libanese, Iraniano, Yemenita, Libico e altri. La brutta notizia è che non stiamo vincendo. Dopo il ritiro dall’Afghanistan e dall’Iraq, la perdita di un alleato che era Gheddafi, a cui vendevamo le dismissioni militari in cambio di petrolio, siamo scesi a patti con le milizie Libiche che gestiscono la tratta dei migranti, abbiamo dovuto abbandonare le relazioni con la Russia, innamorata del Made in Italy e delle vacanze in Versilia, per comprare Gas Naturale Liquefatto dagli USA e dal Qatar, nota democrazia liberale (emirato) del Golfo Persico, da rigassificare a Piombino.

Come abbiamo imparato dalla guerra russo-ucraina, oggi non si scontrano grandi eserciti di massa coesi ma piccoli gruppi in rete, dissimulati, in cui le specializzazioni tecnologiche, come i piloti di droni e gli analisti di immagini satellitari e da ricognitori, gli esperti informatici, sono fondamentali. Lo scontro diretto esiste ancora ma l’uso di munizioni guidate, e guidate da IA che individua autonomamente il bersaglio, sono sempre più diffuse. Il destino dei soldati di oggi come di ieri è essere investiti da una esplosione senza neppure capire da dove provenga, anche a centinaia di chilometri dal fronte.

Noi, e non intendo noi personalmente ma i nostri rappresentanti politici, democraticamente eletti, come anche il nostro Presidente della Repubblica, hanno ben chiaro quale sia il nostro schieramento alleato, anche se sempre più scricchiolante, e quali i nostri nemici da combattere con ogni mezzo. Molto meno chiari sono i buoni motivi per cui dovremmo schierarci, e a cui sinceramente credono in pochi, anche fra quelli che ascoltano diligentemente i notiziari della NATO e dell’IDF.

La guerra come fattore destabilizzante

Le guerre sono potenti fattori di cambiamento in quanto vi emergono nuovi equilibri e gruppi egemoni, prime fra tutte le élite militari vincenti. Anche dal punto di vista economico le guerre sono un grande reset (talvolta anche per chi le vince) del debito pubblico e una occasione immensa di accumulazione per i settori economici necessari allo sforzo bellico (talvolta anche per chi le perde). La tecnologia e l’organizzazione sociale vengono stravolte dallo sforzo estremo di un conflitto spazzando via il mondo precedente. Per questo il filosofo G.W.F. Hegel scriveva nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia: “pure quando consideriamo la storia come un simile mattatoio, in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli stati e la virtù degli individui, il pensiero giunge di necessità anche a chiedersi in vantaggio di chi, e di qual finalità ultima siano stati compiuti così enormi sacrifici”(2). Attraverso il tribunale della storia Hegel pensava che emergesse la razionalità dello Spirito. Anche per Eraclito, suo ispiratore della dialettica, “Polemos è padre di tutte le cose, di tutto é il re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi”(3). La mancanza della prospettiva cristiana permetteva al sapiente efesino di non di leggere in queste mutazioni un giudizio morale o un destino progressivo. Gli esiti dei conflitti sono quindi oscuri, anche per chi li scatena.

Solo per citare la storia italiana, la Prima Guerra Mondiale, vinta, ci ha consegnati al fascismo dopo una importante crisi bancaria e la concessione del suffragio universale maschile con l’emergere dei partiti di massa. La Seconda Guerra Mondiale, persa, ha segnato il passaggio dalla monarchia sabauda, con la sua dittatura fascista, alla repubblica antifascista, con il suffragio universale e un ampio Stato sociale ereditato dal fascismo e sviluppato durante il boom economico. Ancora più grandi sconvolgimenti hanno accompagnato le ultime due guerre mondiali in Europa e nel mondo, segnando la fine degli imperi coloniali e l’instaurarsi di forme indirette di neo-colonialismo, nonché la contrapposizione USA-URSS denominata Guerra Fredda, i cui strascichi viviamo tuttora.

Le guerre, come le rivoluzioni o i colpi di stato, intervengono quando i vecchi equilibri non sono più sostenuti da un potere militare sufficiente ad arginare le nuove forze che si manifestano, sia economiche, che politiche e militari. Il tentativo odierno di riarmare la Fortezza Europa per la prontezza al combattimento è chiaramente una reazione conservatrice per mantenere le precedenti sfere di influenza, a fronte delle spinte centrifughe dei paesi più poveri e periferici, che cominciano a non essere più così poveri da non potersi permettere un esercito efficiente e armi altamente tecnologiche o nucleari. Un caso a parte è costituito dalla Russia che ha ereditato l’enorme arsenale militare sovietico, modernizzandolo e che ha male accolto l’allargamento a est della NATO, nelle ex-repubbliche sovietiche, avvenuto negli ultimi trenta anni.

Cosa resterà dei paesi europei dopo la prossima guerra non possiamo saperlo. Di certo le attuali élite verranno soppiantate da altre, i capitali finanziari e i crediti verso gli Stati enormemente indebitati si volatilizzeranno alle prime esplosioni sulle strutture industriali. La proprietà privata sarà fortemente subordinata alla totale dipendenza dalle commesse pubbliche e limitata dal blocco del libero commercio internazionale. Probabilmente il pensiero dei nostri illuminati Commissari europei è che solo affrontando una guerra, che potrebbe anche spaccare di nuovo in più parti l’Europa, si riuscirà a costituire uno Stato federale europeo, con una difesa comune unica, abbastanza esteso da poter rimanere indipendente, separandosi da quel residuo della Seconda Guerra Mondiale e dei Patti di Yalta che è la NATO.

Disertare

Oggi come ieri il pacifismo radicale è necessario ma non sufficiente a fermare le guerre.

Di fronte alla macchina della propaganda, alle buone paghe per i volontari e i corpi scelti, alla coscrizione obbligatoria, alla presentazione del nemico come inumano e malvagio, alla paura della repressione, dell’esclusione e dello stigma per chi si sottrae al servizio militare, tutti i paesi riescono a costituire un esercito. Ne fanno parte i pochi esaltati nazionalisti, qualche ingenuo idealista e la gran massa di poveri senza prospettive che non riescono a sottrarsi in tempo.

Pensiamo a quanti giovani hanno svolto un periodo di Ferma Volontaria nelle forze armate pur di garantirsi uno stipendio. Dopo congedati potrebbero diventare riservisti pronti al combattimento, idonei per la prima linea, con loro notevole stupore.

Anni di edonismo consumista ci hanno abituati a goderci le esperienze nel benessere, non certo a sacrificare i nostri arti alla patria, e questo sano senso di autoconservazione individuale è quello che ha sempre fatto odiare la guerra alla maggior parte di chi l’ha vissuta veramente. Questa naturale repulsione per l’ammazzamento industrializzato, la sofferenza indicibile vissuta e imposta, spogliati di qualsiasi romantica idealità, per gretti interessi economici di pochi cinici speculatori, fornisce l’unità immediata di chi si oppone a tutte le guerre non vedendo nel nazionalismo o nella difesa delle tradizioni o della religione un valido motivo per il sacrificio di sé e dei suoi cari. Questo amore per la vita ci unisce, come il rispetto per le forme altrui del vivere, anche quelle che non ci piacciono. Quindi uniamoci e organizziamoci nel segno della pace, della vita, del dialogo fra i popoli. Molti uomini e donne saranno capaci di riconoscersi in questi obiettivi semplici anche superando le convinzioni e le identità di origine. “Pane e pace” scriveva Lenin nel 1917 malgrado la Germania continuasse a mietere vittime sul fronte russo. Mentre con “Vincere! E vinceremo,…” Mussolini nel 1940 ci portava al disastro della guerra senza che nessuno ci avesse attaccato. Noi sappiamo da che parte stare ma oggi come ieri la dinamica democratica è sospesa. L’informazione obbedisce all’industria militare di Stato e alla pioggia di finanziamenti che investirà i settori della difesa e della sicurezza: si parla quasi solo di caldo e omicidi, tennis e telefoni bianchi.

Abbiamo bisogno di un fronte comune pacifista, italiano, europeo e mondiale che ci permetta di riconoscerci, incontrarci e aiutarci internazionalmente, anche attivando canali di accoglienza e di espatrio in paesi non coinvolti dai conflitti, reti di solidarietà economica e scuole di formazione per ricostruire la società futura. Quelli che ora siamo portati a considerare solo come pericolosi scenari a venire sono già attuali e avere un vantaggio di qualche mese o qualche anno rappresenta la differenza tra l’aver costruito delle infrastrutture di salvataggio e supporto, ma anche di intervento politico efficace, e ritrovarsi a pensare dopo che sarebbe stato utile, anzi vitale, averlo fatto.

Sul come costruire queste organizzazioni sarebbe il caso di ragionare da subito, prima ancora di parlare di alleanze elettorali e programmi condivisi sperando di invertire il corso della storia, visto che sul rifiuto della guerra imperialista penso siamo tutti concordi, se ci consideriamo di sinistra.

 

 

 

 

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rizomatica logoCommando di incursori con armature robotiche procede con le armi puntate in uno scenario urmano futuristico
2025-07-29

La guerra cercata

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Nel momento in cui l’Unione Europea annuncia ai quattro venti un piano di riarmo epocale e la NATO incassa la promessa di un aumento delle spese militari al 5% del PIL per gli stati membri, sta mostrando l’arma ai suoi avversari ma soprattutto al suo pubblico, quello che la do

#Rassegna #droni #europa #gaza #guerra #imperialismo #investimenti #israele #italia #leonardo #minetti #rearm #ucraina

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2025-07-18
2025-07-10

Nick Smith: Rather than defense or growth, #ReArm Europe aims to enhance Europe’s geopolitical power and prestige within a volatile international order. While the geopolitical and economic impact of rearmament strategy remains uncertain, one outcome is already clear: national budgets will take on new debt burdens, and cuts to social and other public spending are likely to follow. 🤔

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