NEMMENO UN CHIODO
“Se anche solo per 20 minuti perdiamo il contatto con le nostre barche, noi blocchiamo l’Europa. Non faremo uscire più nemmeno un chiodo.”
Un camallo del porto di Genova, dal palco della Global Sumud Flotilla, prende il microfono e spara parole come lame. Non slogan, non retorica: un avvertimento. Se toccate le barche della spedizione per Gaza, qui dal porto di Genova non parte più nulla.
È la forza operaia che ritorna, in un mondo che finge di averla sepolta. È la minaccia di chi conosce il proprio potere e lo sa esercitare. Basta una gru ferma, basta un porto bloccato, e il capitalismo - che vive di container, scali, catene logistiche - va in apnea.
Mentre i governi complici chinano la testa davanti allo strapotere del sionismo, i camalli ricordano che il baricentro del mondo, quando vuole, è nelle mani callose di chi solleva e scarica merci, di chi tiene in vita la circolazione delle cose, di chi può decidere che quelle cose restino ferme.
Il tono è stato netto, irriducibile: “Non faremo uscire più nemmeno un chiodo.” Non una frase, ma un giuramento. Non una promessa, ma un rovesciamento dei rapporti di forza.
Dal porto di Genova al Mediterraneo, dalla solidarietà con la Palestina alla dignità operaia, questo messaggio rimbomba chiaro: senza i lavoratori nulla si muove. Non un carico, non una nave, non un chiodo.
Chi movimenta merci non deve movimentare complicità. E i camalli lo hanno gridato, inchiodando i signori della guerra e i complici del massacro.
Senza i lavoratori non si muove nulla.
Nemmeno un chiodo.
Alfredo Facchini
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