#baudelaire

Violette - K.I.S.SViolette@cyberpunk.lol
2025-10-07

Charles Baudelaire
Du vin et du haschich

"Je termine cet article par quelques belles paroles qui ne sont pas de moi, mais d’un remarquable philosophe peu connu, Barbereau, théoricien musical, et professeur au Conservatoire. J’étais auprès de lui dans une société dont quelques personnes avaient pris du bienheureux poison, et il me dit avec un accent de mépris indicible : « Je ne comprends pas pourquoi l’homme rationnel et spirituel se sert de moyens artificiels pour arriver à la béatitude poétique, puisque l’enthousiasme et la volonté suffisent pour l’élever à une existence supra-naturelle. Les grands poëtes, les philosophes, les prophètes sont des êtres qui, par le pur et libre exercice de la volonté, parviennent à un état où ils sont à la fois cause et effet, sujet et objet, magnétiseur et somnambule. »

Je pense exactement comme lui."

Charles #Baudelaire
#haschisch #vin #drogue

2025-10-05

Ihr wisst doch immer alles: diese #Situationisten / #Lettristen Crew hatte doch einen Referenzautor aus der dunkle Romantik Ecke, der so gotteslästerliche, sehr körperliche und sexualisierte Prosagedichte geschrieben hatte. Bisschen #Baudelaire Fleurs du male mäßig aber noch bisschen doller. Wie hieß der? Ich grabe seit ner halben Stunde und komme nicht weiter.
#fedihelp

Florence Cochet auteureflorence_cochet_auteure
2025-09-12

Vous habitez à (ou pas loin) ?
Vous aimez la littérature ? Le ? ? Les romans qui vous malmènent un peu (mais pas trop) ?
Vous avez envie de soutenir les librairies indépendantes et les maisons d'édition locales ?
Alors rendez-vous à L'Alchemist jeudi prochain pour le vernissage de .
Bises, les gens.

L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionalelombradelleparole.wordpress.com@lombradelleparole.wordpress.com
2025-08-29

Dino Villatico, L’Anconitana – Un po’ come scrive Baudelaire (che guaio che l’Italia non abbia avuto niente di simile – Leopardi è un apax legomenon) Lo sforzo di tessere un discorso sensato per dire che ogni discorso è insensato è tremendo

Un po’ come scrive Baudelaire (che guaio che l’Italia non abbia avuto niente di simile – Leopardi è un apax legomenon) Lo sforzo di tessere un discorso sensato per dire che ogni discorso è insensato è tremendo. Ma stranamente era già l’idea del Doni, morto pazzo a Rovigo.
I Mondi contrappongono un’utopia alla Tommaso Moro all’insensatezza della vita, ai bisogni materiali mai coperti. Ma il fatto che l’idea mi è venuta ad Anconia mi ha fatto ricordare una commedia del Ruzante che
ho molto amato, proprio per la sua invenzione linguistica, L’Anconitana.
Sai che Borsellino si occupava della commedia del Cinquecente e mi ha contagiato la malattia. Il nostro teatro prima di Alfieri non ha nessuna tragedia degna di questo nome, ma un repertorio comico che interessò anche Shakespeare, The Twelft Night nasce dagli Ingannati, commedia bellissima, scritta in cooperativa dall’Accademia degli Intronati di Siena. Va dato merito a Ronconi di avere portato qualcosa sulla scena di questo immensio repertorio, per esempio il bellissimo Candelaio di Giordano Bruno. Ma bando alle citazioni dotte, anche se il testo che ti mando ne è pieno. Volutamente, quasi un crittogramma all’insipienza e smemoratezza attuali. Rileggendo mi è parso che non ci potesse essere altro detinatario di un simile crittogramma che te. Perciò te la dedico.
Non so a che genere ascriverla, di quelle della tradizione, all’epistola? al sermone? alla satira? Boh. Forse tutte queste insieme. A qualcuno parrà troppo dotta, a qualcun altro poco emotiva, a qualcun altro ancora un manifesto in versi che non è cosa che va più (ah no? e Brecht?), ma comunque nemmeno mi sono posto la questione. Salvo quella di entrare e uscire dalle riflessioni con episodi aneddotici. Ci sono
allusioni anche alla Poetry kitchen, ma senza abbracciarla, e tuttavia tenendone presente la necessità e le implicazioni. Prendo invece le distanze da troppo poesia autocronachistica. In fondo, dopo Leopardi – e
sono passati due secoli! – che senso ha raccontare i propri fatti a meno che non siano spunto di una riflessione generale? Quel matto di Goethe lo aveva capito più di ogni altro: riesce a scrivere un poema sul
distacco – qualunque distacco, anche dalla vita – dalla frustrazione del rifiuto di una diciassettene a lasciarsi scopare da un settantenne, e nasce quella che forse, prima di Baudelaire, è il primo esempio di
poesia “moderna”: la Marienbader Elegie. C’è già la crisi del linguaggio a dire l’inappartenenza: Fehlt am Begriff. Manca il concetto! Scusami lo sproloquio, ed eccoti la poesia, il poemetto, la satira, As you like it
(Eh già, perché poi c’è anche lui!)

Dino Villatico

Perché g’intrighi d’assé fate, e i schiapuçi del mondo in purassé
vie, e muò el çelibrio e le fantasie de go uomeni va volzanto e
revoltanto e sbragagnanto; e perzòntena el se ve’ che uno ha
piasere de andar co le bieste e diventa boaro, un altro vacaro,
un altro pegoraro; un altro arà piasere de laorar in campagna,
un altro de essere massaro de ca’ e de smassarizare, quel’altro
de guagnar roba, quel’altro de costionizare e farse braoso. E
l’altro, che sarà stò sbolzonò d’Amore, no zarlerà mé d’altro, e
se penserà sempre mé a che muò el porae menar via la so
morosa… E perzòntena mo mi, che ‘a son mi mo, e che a’ sè
quelo che se pò saere, de Amore a’ vuogio rengare, e no de altro.
(Angelo Beolco, detto il Ruzante, L’Anconitana, prologo, detto
da Ruzante)

Dino Villatico

L’Anconitana

a Giorgio Linguaglossa

Esaspero per niente la distanza
tra ciò che vede l’occhio e le parole
che ci pretenderebbero ridare
un’immagine netta e circoscritta
della visione. Quanto tuttavia
l’inchiostro mi registra sulla carta
non è che una parvenza, l’illusione
di un’idea che suppongo correlata,
ma che non è che questa mia visione
ora trascritta dalle mie parole.
Nemmeno mia, né la visione, certo,
né tanto meno l’invenzione a lungo
ricercata di qualche trascrizione
dall’occhio alla parola che abbia forza
questa visione di restituirla
con la stessa evidenza dello sguardo
che l’aveva raccolta. Il mondo è sempre
altro dalla parola che lo dice.
La consapevolezza d’inventare
ciò che riproduciamo come esempio
fedele di realtà offre più spazio
all’invenzione o a una presunta fede
di equivalenza tra ciò che si dice
e la cosa ch’è detta? Ma fedele
quanto un linguaggio di macerie al fatto
che non è mai maceria ciò che vedo,
residuo, scarto, di una disgregata
pienezza, ma materia tuttavia
che si offre intatta, ricomposta, il mondo,
all’occhio che ne coglie il trasmutarsi
di forma in forma di una stessa cosa,
mentre non è che liquido riflusso
la diluizione in una e in altra lingua
delle parole di una stessa lingua
quando il confronto è tra parola e cosa.
Finzione, forse, ciò che nominiamo,
e spudoratamente, la fissione
di un concetto, se d’atomo o parola,
che differenza quando le parole
non sono più che gli atomi impazziti
di qualche tradizione che si finge
– oh sì! quanta finzione anche nel senso
comune di parole quotidiane! –
o, meglio, che s’inventa di lasciarla
agli epigoni, alla melanconia
dei nostalgici, la sopravvalutata
inerzia di una lunga tradizione.
Ma se fare i moderni, i distruttori
dell’evidenza colloquiale, i nuovi
e astuti giocolieri del non senso,
pensiamo forse che da qualche abisso
dell’insignificanza per prodigio
di qualche trucco, qualche nuovo gioco,
ritroveremo più significati,
riscopriremo anzi un significato,
oppure – eureka! – il significato?
Ci penso, e qui, dal Duomo, guardo il golfo,
il porto delle navi da crociera,
guardo il molo della Fincantieri,
odo il vociare dei turisti: fammi
la foto con il campanile, o meglio
con il mare alle spalle, con la nave
che dalla Grecia attracca qui in Ancona,
così ricorderò la vita, i miei
fantastici rimpianti del domani
che non venne, dell’oggi che si perde.
La vista fino al Guasco – un tempo sede
di un’acropoli greca, con un tempio
ad Afrodite, e sopra i bizantini
con quelle stesse pietre di una nuova
basilica innalzarono le mura,
Santo Stefano fu chiamata e un sasso,
dicono, della sua lapidazione
si venerava sotto il santo altare.
Ma poi da quella chiesa fu innalzato
un Duomo a San Ciriaco, di forme
romaniche su base bizantina,
dal pronao mirabile si guarda
il golfo e giù lontane, oltre la costa,
sull’altra sponda, d’inverno innevate,
oltre l’azzurro mare, le montagne
delle Alpi Dinariche, in Croazia –
la vista fino al Guasco, coglie un arco
di tempo che trasuda cancellate
memorie di avventure di pirati,
e d’ibridi connubi tra Latini
e Piceni, con Greci e con Messapi,
stagioni che nell’oggi hanno disperso
qualunque traccia, dalle terrecotte
villanoviane, agli ossi di cinghiale
lavorati, o da questa nuova rabbia
di furiosi predoni bombardate,
liberatori, certo, dai fascisti,
ma distruttori anche di ogni passato,
come la chiesa di San Pietro, bella
costruzione romanica di cui
solo resta una foto, e qualche pietra
della facciata. Il fuoco delle bombe
l’ha dissolta, come dissolve anche oggi
l’Ucraina e la città di Gaza.
E come fu dissolta, nel passato,
superba e bella, la città di Dresda.
La dipinse un pittore veneziano,
il genero del Canaletto, come
il suocero pittore di vedute,
ma Lorenzo Bellotto ebbe la sorte
di farsi testimone e documento
di una ricostruzione. Ricostruita
fu Dresda – dai liberatori rasa
al suolo, con selvaggia furia, morte
donando per la morte dei nazisti
a chi credeva che sarebbe giunta
la libertà: collaterale il danno,
terminale la soluzione, quasi
come quella che aveva sterminato
gli ebrei di Europa, prefigurazione,
chi sa, d’altri conflitti, di una nuova
e più feroce contrapposizione –
ma Lorenzo Bellotto fu la chiave
magica che ai tedeschi apriva nuove
vie di vita, fu la restituzione
della città distrutta. Le figure
dipinte modellarono le nuove
costruzioni, nasceva, come prima
dello sterminio, la bellezza di una
città, che si era spenta, che qualcuno,
anzi l’aveva spenta. Rinasceva
memoria dell’antica, e dolorosa
testimone di un duplice sterminio.
Di non altro sembra oggi testimone
la storia. Che lo si ricordi, o, peggio,
che lo si viva. E lo viviamo ancora.
Poesia che documenta ancora scrivi
la storia del passato e del presente?
Hanno tuttora senso i documenti?
Io documento solo la costanza
con cui dovunque, sempre, l’homo sapiens
,
che con maggiore pertinenza, forse,
oggi dovremmo noi chiamarlo insipiens
,
coltiva l’arte della distruzione.
Distrugge il mondo, distrugge la propria
storia, distruggerebbe, se potesse,
l’universo. E distrutto ha ormai perfino
ciò che dalle altre specie di animali
lo distingue: il linguaggio. Non sa dire
che un vaniloquio autocelebrativo.
Aristotele scrive che le cose
le conosciamo solo perché abbiamo
inventato lo strano marchingegno
che riesce a racchiuderle in un nome.
Ogni parola un segno, che lui chiama
simbolo, dell’oggetto che vogliamo
definire. Chi sa se Baudelaire
volesse dire questo quando dice
che camminiamo dentro una foresta
di simboli. Ma i simboli non sono
le cose. Camminiamo dunque dentro
una foresta che restituisce
al nostro sguardo, anzi alla nostra mente,
non già le cose che vediamo, quanto
l’immagine apparente delle cose,
il fantasma di un nome, solo un nome,
che crediamo, come Eliot supponeva
della poesia, non il significato
che racchiude la cosa, non il vero,
ma una parola, un fantasma, ch’è il suo
sosia, la copia, il suo correlativo
oggettivo, la fantasia di un folle,
che solo la follia può ritenere
correlato, oggettivo, ciò ch’è solo
l’ombra che noi vediamo proiettarsi,
da un fuori che c’è ignoto e ch’è il confine
della nostra prigione, sopra il muro
di una caverna. Prigionieri, certo,
ma ignari di guardare solo un’ombra.
Ebbene sì, voglio cantare questa
dissoluzione del linguaggio, un canto
che ci canti la nostra sparizione
dalla storia: che lascia agli animali,
alle piante, alle pietre le parole,
se ci sono, di una sopravvivenza.
L’Anconitana è una commedia in cinque
atti che scrisse intorno agli anni trenta
del Cinquecento Angelo Beolco
detto il Ruzante, regolare è solo
la divisione in cinque atti, come
avrebbe in altro modo mai potuto
un attore occupare di Venezia,
di Padova le scene, senza qualche
scarto di omaggio all’imperante moda
del classicismo, allora come adesso,
uno straccio di ossequio era dovuto
alle regole imposte dal bisogno
di successo e di spiccioli di spesa
per imbandire dal mattino a sera
un pasto, uno qualunque, che permetta
di circolare al sangue nelle vene.
Nella commedia se ne ascolta detto
più volte questo bisogno elementare
di un liquido che scorra nelle vene,
qualunque tipo, e non soltanto sangue,
e non soltanto nelle vene, basta
che due bocche s’incontrino, ed è fatta,
la lingua parla, ma sa fare molte
altre cose, di queste cose parla
continuamente la commedia, sempre,
dal prologo al finale provvisorio.
Non soltanto per il piacere sconcio
delle bestie. Ma per l’impertinenza
di una lingua che mescola l’insulto
del buzzurro con la facondia eletta
del coltivato allievo di Terenzio.
Quale facondia alletta oggi l’eletto
figlio di una poesia strasvalorata?
Non scriverla sarebbe più opportuno,
ma scrivere non è una scelta, quando
scrivere ripropone la sconfitta
che senza la scrittura da nessuno
sarebbe conosciuta. Non l’idea
di un mondo, ma l’impossibilità
di una qualunque idea del mondo. Vera,
falsa, inventata, ma comunque idea,
e idea del mondo. Allora in questo abisso,
non già di conoscenza, ma dell’assenza
di una qualunque conoscenza, io guardo
nell’abisso, e dal fondo di quel niente
estraggo la discordia che diverge
ciò che dico da ciò che l’altro ascolta.
Che importa se ne inzeppo il becco e poco
l’orecchio ne trascrive? Il troppo è ancora
poco per questo universale niente
che abbindola i più furbi. Io, questo niente,
lo modello a piacere, lo trasformo
nel tutto che non sa oggi più dire
la parola. Ne cerco la mia fuga,
ma ne trovo la mia liberazione.
Le dolci rime d’amor ch’i’ solia
cercar nei miei pensieri,
convien ch’io lasci; non perch’io non speri
ad esse ritornare;
ma perché li atti disdegnosi e feri,
che nella vita mia
sono appariti, m’han chiusa la via
de l’usato parlare.
Perfino Dante visse la distanza
che separa la vita e le parole.
La distanza, più aspra, del presente
dalla felicità solo supposta
del passato. Succede anche alla lingua
che con il tempo invecchia e si consuma:
cambia costume, l’oggi non perdona
mai gli sbagli che ieri commettemmo
e che hanno generato questo assiduo
ritorno degli stessi opachi sbagli.
Dante cerca una fuga, e non la trova
se non nell’utopia di un paradiso
in cui perennemente si attua la Giustizia.
La verità che canta non è quella
dell’ultima visione, ma la muta
insufficienza a raccontarla. Resta
questa la sua più grande confidenza.
Che un’utopia ci salva. Ma nessuna
utopia si è mai visto che potesse
realizzarsi. Se non nella poesia.
Si pensa, da qualcuno, che staccare
la connessione che arbitrariamente
è stata stabilita – ma da quando,
e da chi? l’australopiteco, forse,
già l’aveva connessa? o già l’erectus? –
tra il suono che si dice e che si ascolta
della parola e il suo significato,
potrebbe ricondurre ogni discorso
a ritessere il filo di un accordo
che si è perduto, o perché troppo noto,
e dunque logorato, o perché troppo
specialistico, e dunque a molti ignoto.
La verità è che parlare è un atto
di comunicazione, ed è perduto,
oggi, non già il contatto tra noi tutti,
ma la necessità di quel contatto.
Disordinare dunque il nesso usato
tra la parola e il suo significato,
potrebbe prospettare la conquista
di un nuovo nesso, o quanto meno dire
l’indicibile che si vuole dire.
Ma se invece la via non fosse questa,
ma esasperare appunto la distanza
tra ciò che vede l’occhio e la parola?
Dagli spalti del piccolo piazzale
che s’apre e guarda il mare, sul davanti
del Duomo, Ancona, intorno, tra colline
e mare, è una città di strati, faglie
del tempo, dalle ruvide capanne
villanoviane, ai templi greci, ai nuovi
culti, dentro basiliche e palazzi.
Il Museo Archeologico più sotto
ne registra i passaggi ad uno ad uno.
E che distingue questi strati, alcuni
anch’essi divenuti una memoria
che non ha testimoni, di materia,
rocce, pietre, giardini, case, strade,
dalla materia che si scioglie in aria
delle parole? Quale differenza
tra la città e la lingua che si sente
parlare per le strade? Che materia
distingue la materia delle cose
da quella inafferrabile del dire?
Anche l’azzurro che mi vedo in mare
è un’illusione del mio occhio, il bianco
dei palazzi, del Duomo, il verde intenso
dei pini tra le case. Che distingue
i colori del mio guardarli, il fuoco
della luce nel cielo, dalla cosa
che io vedo tutta intrisa di colore
ma che non ha colori se non quelli
che vede l’occhio di ciascuno? Ancona.
l’angolo, come vollero chiamarla
i Greci, è proprio un angolo, la vista
così la inquadra tra le schiene verdi
delle colline, il bianco luccicare
delle case, e l’azzurro che si stende
dal porto all’orizzonte, l’incresparsi
dell’onda che biancheggia, e quando il giorno
è sereno, più trasparente l’aria,
in fondo in fondo appare la Dalmazia.
Io che ci faccio qui? e che descrive
la mia parola? o quando mai descrive
qualcosa la parola? Ut pictura
poesis, dice Orazio. Lungo spazio
di tempo ebbe fortuna questo stigma:
il linguaggio ci salva dall’abisso
del niente, un niente infatti, se ci pensi,
è tutto ciò che ignori. Ma che cosa
sarebbe dunque il mondo che vediamo,
che tocchiamo, per noi, se la parola
non ce lo nominasse, non ne desse
una riconoscibile sembianza,
una connotazione decifrata?
Guardo di là dal mare, all’orizzonte,
l’ombra scura del limite, il confine
tra terra e mare o, forse, tra la vista
del mare e l’altro mare che non vedo.
Tra le montagne di quei territori,
decenni fa, solo decenni, e sembra
lo spazio di più secoli, millenni,
proprio un confine, il limite nemmeno
della lingua, nemmeno della razza –
che termine abusare se non questo
per un contrasto cieco di razzisti ? –
ma solo di confini, tra cristiani
cattolici romani ed ortodossi,
e tra cristiani e musulmani, il cippo
divisorio tra turchi ed europei,
tra Bosniaci e Serbi, tra Croati
e Sloveni, Macedoni, le chiese
di Podgorica, tra le sinagoghe,
i minareti, e le preghiere, i canti,
di ortodossi e cattolici, le danze
per le strade di Sarajevo, i morti
dell’una e l’altra parte, quale strazio
di lingua può lo strazio raccontare
dei reciproci eccidi, del superbo
ululato che insulta la montagna
dove fratelli uccisero i fratelli?
Io credo, io spero, che una lingua ancora
esista, ma non già che lo racconti,
bensì che lo ricordi. Perché storia,
ma quale, quella che per il credente
comincia con un fratricidio, Abele
ogni fratello ucciso, e l’assassino
suo fratello Caino, ma per l’altro,
di un’altra fede o di nessuna, quale
storia quella che dall’inizio scrive
la soppressione di una specie? Sapiens,
Neanderthal, Erectus, quanti nomi
l’Insipiens ha inventato per il suo
catalogo di estinti! perché un giorno,
chi sa, l’estinto, posso immaginare,
sarà lui stesso. Il virus sopravvive.
E sopravvive il microbo, le piante,
gli altri animali. E sopravvive
nei fiumi l’acqua, restano le pietre,
si sparge dappertutto, azzurro, il mare.
Il pianeta potrà ruotare in pace
intorno al sole, senza una parola.

(Ancona, 24 agosto – Fiano Romano, 28 agosto 2025)

Dino Villatico. Sono nato a Roma nel 1941, il 28 aprile. Infanzia trascorsa a Roma, infuriava la guerra: il ricordo più remoto è, infatti, il bombardamento di Centocelle, e per anni sono vissuto con il terrore del rombo dei motori di un aereo. Dagli 8 ai 15 anni ho frequentato le scuole argentine (elementari e Colegio Nacional, il nostro liceo) a Bahía Blanca, Provincia di Buenos Aires, forse il periodo più felice della mia vita. L’apprendimento di un’altra lingua, lo spagnolo, mi aprì la mente all’esperienza di pensare in molte lingue. Devo a questa iniziazione l’attuale familiarità, più o meno stretta, con lo spagnolo, il francese, l’inglese, il tedesco, il greco, antico e moderno, il latino.  Tornata in Italia la mia famiglia, ho frequentato il liceo classico e poi l’Università, iscrivendomi in un primo tempo a Medicina, con l’intento di diventare psichiatra, ma traslocando ben presto a Lettere. L’Università di Roma, allora, era una fucina di idee e di sperimentalismo. Conobbi Federico Chabod, Nino Perrotta, Natalino Sapegno, Nino Borsellino, Aurelio Roncaglia, Bruno Migliorini, Ettore Paratore, Ugo Spirito, Gustavo Vinay (indimenticabile il suo corso su Abelardo ed Eloisa), Alberto Asor Rosa. Mi laureai con Sapegno redigendo una tesi su un poligrafo fiorentino del ‘500, Antonfrancesco Doni, ma relatore fu Nino Borsellino, che restò poi un caro amico, e correlatore fu Asor Rosa. Perfezionavo intanto i miei studi di pianoforte con Vera Gobbi-Belcredi e di composizione da autodidatta, ma, appena laureato, posto al bivio tra musica e letteratura, vinse la seconda. Non ho ancora raccolto in volume né i miei saggi letterari e musicali né i miei racconti (alcuni su riviste) né la maggior parte delle mie poesie, alcune uscite su Nuovi Argomenti e una raccolta dal titolo Ecografia di un Congedo presso Ladolfi, 2021, e un’altra, Paesaggio, nell’Edizione del Mediterraneo, 2020. Saggi musicologici in atti di convegni e riviste musicali. Affido talora scritti e riflessioni sul mio blog: Dionysos41 blog di Dino Villatico. Attualmente sono in pensione, e vivevo, fino al 2013, nel Parco di Veio, alle porte di Roma, in un sobborgo della cittadina di Sacrofano, Monte Caminetto. Mi sono poi trasferito a Fiano Romano, in una villetta in cima a una collina, in mezzo agli olivi, vista a ovest del Monte Soratte, a Est scorre tra verdi brughiere il fiume Tevere. Ma continuo a scrivere critica musicale e altri scritti di vario genere. Latino e greco non sono per me lingue morte, ma le lingue vive dei miei padri.

#AngeloBeolco #Baudelaire #candelaio #DinoVillatico #epistola #GiordanoBruno #giorgioLinguaglossa #LAnconitana #Leopardi #poetryKitchen #Ruzante #satira #sermone

j43147 :pentagram:j43147
2025-08-24

Les Fleurs du Mal... the Frisians are the flowers of evil... the flowers, not the evil. I grew up with count Olaf.

2025-08-20

(1/2) :
- Révolte des cipayes (cf 1859).
- France : publication Les Fleurs du Mal de Charles -> procès/amende/suppression pour outrage à la morale et aux bonnes mœurs.mastodon.social/@cobrate/11377
-> Baudelaire exhorte les artistes à représenter l'"héroïsme de la vie moderne" au lieu de continuer à perpétuer l'art académique.

Suite : mastodon.social/@cobrate/11530

Los Desastres de la – 54, Clamores en vano (Vaines clameurs), 1862-1863, de Francisco de

Christophe Sanchezchsanchez
2025-08-15

📖 EDGARD POE

Histoires extraordinaires
Traduction de Charles Baudelaire
Le Livre de Poche / classiques

2025-08-04

Mikäs se olikaan se yleinen "mainostan esitystä" -häsä?

Meinaan vaan että mainostan esitystä. Teen siihen valot. Tai siis tein, tämä on uusinta ja kalusto vaatii roimaa yksinkertaistamista eli valoshown toivossa ei kannata tulla. Muun shown kylläkin. Koska kun Baudelaire ja barokkisoittimet sekoittuvat, niin onhan se nyt jotain! Ja absinttia on juotu harjoitusperiodin aikana, tunnelmaan pääsemiseksi. Tervetuloa!

kansallisteatteri.fi/esitys/vi

#teatteri #runous #Baudelaire

Read By Monsieur B. 🔞 🫠🎙😏ReadByMonsieurB@masto.thefword.club
2025-07-30

'I sink myself in hair upon my lover.'
-- Massive Attack

The Head of Hair - Charles Baudelaire #ReadByMonsieurB

O Fleece, foaming to the neck!
O curls! O scent of laziness!
Ecstasy! This evening, to people the dark corners
Of memories that are sleeping in these locks,
I would wave them in the air like a handkerchief!

Languorous Asia and burning Africa,
A whole world, distant, absent, almost extinct,
Lives in the depths of your perfumed jungle;
As other souls sail along on music,
So mine, O my love, swims on your scent.

I shall go over there where trees and men, full of sap,
Faint away slowly in the passionate climate;
O strong locks, be the sea-swell that transports me!
You keep, O sea of ebony, a dazzling dream
Of sails and sailormen, flames and masts:

A resounding haven where in great waves
My soul can drink the scent, the sound and color;
Where ships, sliding in gold and watered silk,
Part their vast arms to embrace the glory
Of the pure sky shuddering with eternal heat

I shall plunge my head, adoring drunkenness,
Into this black ocean where the other is imprisoned;
And my subtle spirit caressed by the sway
Will know how to find you, O pregnant idleness!
In an infinite cradle of scented leisure!

Blue hair, house of taut darkness,
You make the blue of the sky seem huge and round for me;
On the downy edges of your twisted locks
I hungrily get drunk on the muddled fragrances
Of coconut oil, of musk and tar

For a long time! For ever! Amongst your heavy mane
My hand will strew the ruby, pearl and sapphire
To make you never deaf to my desire!
For are you not the oasis where I dream, the gourd
Where in great draughts I gulp the wine of memory?

— Geoffrey Wagner, Selected Poems of Charles Baudelaire (NY: Grove Press, 1974)

fleursdumal.org/poem/203

#Poetry #Baudelaire #Accessibility #poem #smut #adult #audioporn #erotic

2025-07-23

[Archive — 2016] Spleen IV – La revanche

Baudelaire en version (très librement) illustrée. Personnellement je trouve ça vachement décousu…

▶️ Lire cette BD : grisebouille.net/spleen-iv-la-
📗 Le livre best of : editions.ptilouk.net/gb10ans
❤️ Soutien : ptilouk.net/#soutien

#archive #BD #GriseBouille #humour #poésie #Baudelaire #Spleen

« Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis, »

Un couvercle de poubelle plane sur un fantôme qui gémit : « Gnaaaahaaah… Gnaaahaaarrrg ! » Il ajoute : « C'que j'peux me faire ch#er… » Le smiley, en réalisateur avec son mégaphone : « Coupé ! Elle est bonne, on la garde. »«
2025-07-21

Au lycée, la prof de lettres m'éreinta vertement à ma récitation d'Une Charogne de #Baudelaire ... 47 ans après serait-elle aussi dure ? On touche pas aux monuments ! Mais j'ai osé

vincentbreton.fr/une-charogne-

Florence Cochet auteureflorence_cochet_auteure
2025-06-10

🎻 Nouvel article sur le blog 🎻 : florence-cochet.com/post/desac

Je vous y présente Désaccordée, né d'innombrables réécritures, alimentées de quantités astronomiques de chocolat au lait.

Ce roman parle de musique, de littérature, d’amitié et de ces frontières qu’on franchit parfois sans s’en rendre compte.

Mapi_María Pilar Menoyo Díazmapimd.bsky.social@bsky.brid.gy
2025-06-05

Alucinante escucharla y ver q la👏👏 Ponga en práctica el art.3 de la Constitución y no siembre odio "El odio ha causado muchos problemas en el🌍 pero no ha ayudado a solucionar ninguno" #MayaAngelou El Odio es 1 borracho al fondo de 1 taberna, q constantemente renueva su sed con la bebida #Baudelaire

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Muschio // Moss

II est des parfums frais comme des chairs d'enfants,
Doux comme les hautbois, verts comme les prairies,
- Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,

Ayant l'expansion des choses infinies,
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens,
Qui chantent les transports de l'esprit et des sens.

(C. Baudelaire)

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„Wenn man sagen kann, daß das moderne Leben bei #Baudelaire der Fundus der dialektischen Bilder ist, so ist dabei eingeschlossen die Tatsache, daß Baudelaire dem modernen Leben ähnlich gegenüber stand wie das siebenzehnte Jahrhundert der Antike.“ Zentralpark #Benjamin #Baudelaire #Barocktheorie

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