Adriano Maini

Pensionato di Bordighera

2025-07-15

Ma questa donatrice è in pessime acque blogger.com/feeds/691431825143
Fonte: Sanremo Storia e TradizioniDue casi emblematici: il Premio Mediterraneo e il Premio San Remo Nato nella primavera del 1932 entro la cornice sanremese, il “Mediterraneo” è stato un premio letterario istituito dai giovani scrittori Giovanni Comisso e Adolfo Franci (fondatore anche del Premio Bagutta a Milano), con la collaborazione di Bianca Maria Brayda, la

2025-07-14

Con la strage di Piazza Fontana, invece, comparve una violenza politica radicale mai apparsa fino a quel momento storiaminuta.altervista.org/co

2025-07-14

Non ci sono documenti che ci rendano testimonianza del ruolo della classe operaia astigiana nei giorni dell’insurrezione condamina.wordpress.com/2025/0

2025-07-13

Cavillare sulla strage di Piazza Fontana collasgarba.wordpress.com/2025
Cavillare sulla strage di Piazza Fontana Il terrorismo italiano, come sottolineato in precedenza, è peculiare rispetto ad altre forme terroristiche contemporanee. Lo scontro invase la scena politica, sociale privata e pubblica, dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta. Nei primi anni Settanta, la debolezza … Continua a leggere →

2025-07-13
2025-07-12

Dissidenza di sinistra durante la lotta di Liberazione collasgarba.wordpress.com/2025
Dissidenza di sinistra durante la lotta di Liberazione A Torino, nel 1943, molto attivo nelle fabbriche, con un’adesione quasi pari a quella del PCI (duemila militanti) operava il Partito Comunista Integrale. A partire dal nome stesso, questo gruppo si considerava il depositario del vero marxismo, distinguendosi dal PCI, … Continua a leggere

Adriano Maini boosted:

Dissidenza di sinistra durante la lotta di Liberazione

A Torino, nel 1943, molto attivo nelle fabbriche, con un’adesione quasi pari a quella del PCI (duemila militanti) operava il Partito Comunista Integrale. A partire dal nome stesso, questo gruppo si considerava il depositario del vero marxismo, distinguendosi dal PCI, che sarebbe invece venuto meno ai compiti che si era proposto al momento della sua fondazione. Il Partito Comunista Integrale lavorava per la costituzione di un vero partito “leninista”, formato da quadri educati al rigore ed alla disciplina della lotta. Gli esponenti di spicco del gruppo erano Pasquale Rainone, operaio Fiat, licenziato dalle Ferrovie per la sua attività politica, molto conosciuto nelle fabbriche e nella Barriera Torinese per la sua presenza attiva nelle lotte. Insieme a lui operava Temistocle Vaccarella, di professione cappellaio, originario di Avellino. Essi non condividevano appieno le analisi della situazione (Vaccarella era molto più critico verso il PCI, più intransigente), ma erano accomunati dal medesimo impegno politico nelle fabbriche. Il gruppo pubblicava il giornale Stella Rossa, e i suoi militanti furono i primi a formare, dopo l’8 settembre, le bande armate contro i nazifascisti, rivendicando un antifascismo rivoluzionario, al di fuori di ogni alleanza con le forze borghesi. Nelle fabbriche avevano anche organizzato i loro GAP, distinti da quelli del PCI. Fra i gruppi dissidenti erano i soli a tentare una distinzione di classe tra nazisti e proletari tedeschi, anche se questa differenziazione era sostenuta solo a livello teorico. La critica, dai toni anche molto duri, che rivolgevano al PCI, definito “centrista”, era di partecipare al tentativo borghese di cloroformizzare le masse, attraverso la democrazia, che non era altro che la maschera borghese del capitalismo, allo stesso modo del fascismo. La contraddizione di fondo della loro impostazione politica, che caratterizzava tutti i gruppi dissidenti con l’unica eccezione del PCint., era il giudizio sull’URSS. Il PC integrale si riteneva il rappresentante del socialismo sovietico in Italia: nessuna critica era mossa allo stalinismo e all’URSS, anzi, gli attacchi portati al PCI erano condotti in nome del “paese del socialismo”, del quale offrivano un’immagine creata da loro stessi. Di conseguenza, la critica al PCI investiva l’operato del partito dalla caduta del fascismo in poi. A Stella Rossa non furono risparmiati gli attacchi diffamatori del PCI. Il grosso seguito che il gruppo aveva nella situazione operaia torinese lo rendeva pericoloso agli occhi dei dirigenti del PCI. Al PC integrale erano rivolte le solite accuse di attendismo. Le invettive erano rivolte prevalentemente contro il “sinistro” Vaccarella, ma nei suoi confronti si andò oltre gli attacchi verbali.
[…] Un altro gruppo di dissidenti era quello riunito attorno al giornale Il Lavoratore di Legnano. Legnano era una città a forte tradizione operaia, c’erano nuclei attivi di operai comunisti, che dopo la caduta del fascismo si trovarono su posizioni più a sinistra del PCI. Il gruppo de Il Lavoratore criticava l’accordo politico del PCI con le forze borghesi, ma non metteva in discussione il suo ruolo e accettava la coalizione dei CLN. Essi ritenevano che la lotta del proletariato contro il nazifascismo, dovesse avere un carattere essenzialmente anticapitalistico e non propugnavano alcuna “democrazia progressiva” o “popolare”, ma la lotta prima contro il nazifascismo e poi contro il capitalismo. Rispetto agli altri gruppi, non esaltavano l’URSS. I personaggi più rilevanti dell’organizzazione erano i fratelli Venegoni; Carlo era stato fra i costitutori del Comitato d’Intesa ed in seguito si era schierato con Gramsci. <23 Nel 1942 aveva avuto, al momento della formazione del PCint., dei contatti con Maffi, il quale gli aveva proposto di entrare nel partito, ma egli aveva rifiutato. Il gruppo era vicino al PCI ma era da esso attaccato al pari degli altri dissidenti, in particolare per i contatti avuti con Prometeo e Stella Rossa. Esso fu riassorbito nel partito nel luglio 1944. Molto vicino al gruppo de Il Lavoratore, con il quale intratteneva anche rapporti di collaborazione, c’era un gruppo di esponenti della sinistra del PCd’I formato da vecchi militanti del partito, Repossi, Fortichiari, Mario Lanfranchi, Della Lucia. <24 Essi si incontravano già negli anni ’30 e avevano stilato documenti a volte firmati a nome di un “Gruppo comunista” o “Sinistra comunista”. Essi lavoravano parallelamente agli altri gruppi, con i quali concordavano su molti aspetti. Nel 1943, Fortichiari aveva chiesto di entrare nel PCI dove fu ammesso solo dopo il 25 luglio, insieme a Repossi era stato contattato da Damen e anche da Maffi per un confronto su alcune questioni politiche. Egli non credeva nella politica del PCI, ed era molto critico sull’URSS, ma riteneva possibile cambiare qualcosa solo agendo all’interno del partito.
[NOTE]
23 Ibid., p. 205 e sgg.
24 Mario LANFRANCHI fu in un certo senso il finanziatore della Frazione, possedeva una azienda concessionaria di macchinari agricoli tedeschi esclusiva per la Francia. Nella stessa fabbrica lavorava Della Stella e suo figlio. Egli permise alla figlia di Damen di proseguire i propri studi. (Testimonianza di Piero Corradi).
25 B. FORTICHIARI, cit., pp. 170-176.
Angela Ottaviani, La sinistra comunista dai Fronti Popolari alla Resistenza, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 1990-1991

A livello ufficiale, il Partito comunista tacciava con un termine dall’odore di anatema tutti coloro che si ponevano alla sua sinistra: ‘sinistrismo’, variabile di ‘estremismo’ e, ancora più antico, ‘trotzkismo’. Famoso resta l’infelice articolo di Pietro Secchia dal titolo “Sinistrismo maschera della Gestapo” <296, con il quale alcuni storici hanno ipotizzato si era giustificata dalle pagine de l’Unità la condanna a morte di alcuni leader partigiani di gruppi trotzkisti o antisovietici, ma non solo: il dubbio di una simile condanna pesa anche sulla figura di Lelio Basso, socialista rivoluzionario, tra i più agguerriti oppositori alla politica di unità ciellenista a tutti i costi <297. Scritto peraltro da un esponente di primo piano del PCI sospettato più avanti egli stesso di estremismo interno, esso sembra rivolto anche a un certo sinistrismo proprio di quadri e militanti del partito; in questo caso il termine utilizzato è ‘settarismo’, per indicare un senso di appartenenza tale al partito e alla classe operaia da incrinare la linea stessa del partito. Infatti “L’estremismo entrava più nel merito e proponeva contenuti diversi e tempi veloci facendo coincidere la grandiosità dell’obiettivo con l’immediata possibilità di realizzarlo. Non si trattava tanto di malattia infantile, quanto di intensità della richiesta. Nella realtà avveniva un complicato gioco di relazioni fra settarismo ed estremismo, che dava vita a forme varie di ‘sinistrismo’ “. <298 Significativo, da questo punto di vista, il gruppo milanese riunito attorno ai fratelli Venegoni e al giornale “Il Lavoratore”: “La sola formazione esterna al Pci presente con solidi legami di massa è quella che si esprime attraverso ‘Il Lavoratore’: è un gruppo locale, ed opera nel circondario di Legnano dove il suo ascendente è molto forte. Dal giornale emergono molto forti le riserve sullo stalinismo del Pci, e dai rapporti conservati nell’archivio del Pci si desume anche che un’aspra polemica lo contrapponeva al partito perché quest’ultimo sarebbe stato presente troppo debolmente negli scioperi di marzo [1943, nda]”. <299
Anche se, nel giudizio espresso da Luigi Longo a Roma, il gruppo è orientato in senso estremista, ma non antipartito. <300 E ancora più importante risulta il gruppo bassiano del Movimento di unità proletaria fondato il 10 gennaio 1943 e che per lungo tempo, dopo il rientro di Basso nel PSI (nel settembre ’43), rappresentò l’unica formazione antiattendista in campo socialista <301. La figura di Basso è piuttosto particolare: esponente di un socialismo operaista dichiaratamente rivoluzionario, favorevole all’unità di intenti con il PCI e al tempo stesso critico da sinistra sulle posizioni di compromesso che la dirigenza comunista assume dopo la svolta di Salerno.
[NOTE]
296 Ricordiamo, per correttezza, nonostante la palese asimmetria organizzativa, che anche nel fronte estremista ci sono state prese di posizione radicalmente antagoniste, come quella comparsa il 1° marzo 1945 nell’articolo ‘Sulla guerra’ sul giornale bordighista Prometeo in cui si affermava che ‘alle tre maschere del nemico di classe (democrazia, fascismo, sovietismo), il proletariato risponde trasformando la guerra in rivoluzione’.
297 Cfr. G. Monina, Il Movimento di Unità Proletaria (1943-1945), Carocci Editore 2005
298 C. Pavone, Una guerra civile, op. cit., p. 367
299 L. Ganapini, op. cit., p. 67
300 Lettera del 6 dicembre 1943, in C. Pavone, Una guerra civile, op. cit., pp. 370-71
301 Se consideriamo che le Brigate Matteotti, legate appunto al PSI, furono fondate solo dopo la metà del 1944.
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017

«Le formazioni che si svilupparono alla sinistra del Pci e del Partito socialista, oltre a contrastare i due partiti sul piano politico, riuscirono a conquistarsi un seguito alquanto notevole, anche se solo per alcuni mesi. La “dissidenza” di sinistra, se così si può definire, non era tipica di alcune zone d’Italia ma si estendeva su tutto il territorio occupato e travalicava i confini militari per ripresentarsi nell’Italia liberata dalle truppe alleate» <26.
Queste parole aiutano a comprendere quale sia stata l’effettiva espansione e l’incidenza di questo fenomeno, i cui strascichi possono essere individuati a fasi alterne anche per un lungo periodo del dopoguerra.
La nascita di queste esperienze può essere collocata nel periodo compreso tra l’8 settembre e l’effettiva occupazione del territorio italiano dalle truppe tedesche, quando il governo monarchico di Badoglio rese esplicita, ancora una volta, la volontà di proseguire la guerra, questa volta schierato al fianco dell’esercito alleato.
Le agitazioni e gli scioperi che si susseguirono in questo momento di transizione costrinsero le autorità centrali a coinvolgere nell’azione di governo i partiti antifascisti appena usciti da una clandestinità durata vent’anni. L’azione di quest’ultimi, se in qualche modo fornì maggiore legittimità alle istituzioni, venne vista da sinistra come un tradimento rispetto alle aspettative rivoluzionarie delle classi lavoratrici e come un modo per inserire la guerra di liberazione entro gli argini di una non meglio identificata lotta democratica.
«Per il Pci e il Psi non si trattava infatti di mettere in discussione il potere di quella borghesia che aveva convissuto col fascismo nel ventennio appena trascorso, ma di allearsi con quei settori che ne accettavano la guerra democratica. Era in pratica la riproposizione delle guerre risorgimentali per riconquistare l’unità del territorio nazionale, con una differenza sostanziale: questa volta la classe operaia, ormai diventata “classe nazionale”, doveva porsi come forza d’avanguardia e d’esempio alle altre classi» <27.
In questo contesto ebbero dunque gioco facile i proclami oltranzisti che avevano caratterizzato la componente massimalista del PSI e quella bordighista del PCI in seguito al congresso di Livorno nel 1921. Branditi con entusiasmo dalle generazioni più anziane di militanti, queste dichiarazioni ebbero l’effetto di una calamita per quei tanti che non avevano soppresso i propri ideali durante i lunghi anni di dittatura fascista.
Al settarismo di questa componente, che legava alla militanza un forte richiamo simbolico alla tradizione <28, si affiancò un estremismo dettato dalla volontà di fare tutto e subito, di segno differente rispetto alle velleità dei
vecchi militanti. Era la spinta in avanti di quei giovani che intravedevano nella guerra partigiana un’occasione di riscatto, un afflato rivoluzionario che andava colto nella sua interezza prima di essere soffocato dalla reazione delle forze borghesi.
«Dell’aspettativa che la caduta del fascismo travolgesse con sé anche il capitalismo non esisteva soltanto una versione dotta, catastrofica e terzinternazionalista […]. Esisteva anche una versione vissuta attraverso l’immediata identificazione del fascista con il padrone e l’aspettativa di un mondo nuovo, del socialismo o del comunismo (la distinzione fra i due termini, nettissima sul piano pragmatico e di partito, sul piano dei principi ideali sfumava fino a dissolversi)» <29.
L’alternanza tra queste due anime, il cui contrasto non è così netto come potrebbe sembrare, si aggregò nei gruppi dissidenti, pur formando elaborazioni ideologiche differenti: secondo Pavone <30 ci fu infatti chi si attestò su posizioni di attendismo messianico in nome della purezza della lotta di classe, e chi si lasciò trasportare da una sorta di “settarismo militare”.
Nessuna di queste posizioni, d’altronde, era estranea all’humus militante del PCI, ma creò un precedente allarmante nel momento in cui diede origine alla nascita di organizzazioni dissidenti.
Questa “area grigia” della dissidenza faceva capo a una moltitudine di riferimenti ideologici, che passavano dal sindacalismo anarchico al cosiddetto “bordighismo” (i cui confini teorici rimangono molto sfocati) per approdare allo scissionismo trockista. Il “sinistrismo”, come verrà definito dai vertici del PCI, comprendeva vaste aree di delusi dalla politica centrista, e venne pesantemente attaccato dagli organi ufficiali del CLN e dei partiti che vi facevano parte.
La sua presenza e la sua intensità furono tanto maggiori in quelle aree in cui il radicamento dei partiti ufficiali era più difficoltoso, soprattutto nelle grandi metropoli industriali come Torino e Milano. Nel sud Italia prese forma soprattutto tramite la ricostituzione della Confederazione Generale del Lavoro e scontò una forte avversione anche da parte del governo badogliano, laddove la presenza degli alleati avrebbe dovuto garantire un “ritorno alla normalità” tramite una spietata repressione nei confronti dei moti popolari.
Nel Nord, infatti, la contiguità tra le lotte operaie e la guerriglia partigiana aiutò in qualche modo a saldare il mito della liberazione nazionale con quello del “balzo in avanti” delle classi lavoratrici, accentuando anche le aspettative nei confronti di quella che si andava prospettando come “insurrezione finale”; nel Sud, partendo da Roma, l’insofferenza per la monarchia e il nuovo fascismo “mascherato” rinsaldarono la consapevolezza di dover superare le ambiguità della politica di unità nazionale e pretendere da subito alcune priorità: risoluzione delle urgenze economiche dei braccianti agricoli, maggiori agevolazioni in campo politico e smantellamento del vecchio ordinamento fascista.
In certi casi, le parole d’ordine altisonanti e la condotta meno politica e più spontanea di alcuni gruppi dissidenti può sembrare anacronistica o improduttiva ai fini del nuovo orizzonte politico che andava delineandosi in Italia, ma non va dimenticato come questi atteggiamenti fossero sicuramente condivisi da buona parte di quel segmento di popolazione che aveva intravisto nel PCI e nel PSI una concreta prospettiva di rinascita rivoluzionaria a guerra conclusa.
«E’ la voce di piccole sette, di gruppi già “dormienti” e che ora, illudendosi che stia per scoccare l’ora suprema dei conti con la borghesia, esprimono tutto il loro estremismo infantile? E’ un’azione di provocatori più o meno inconsci? E’, se non proprio una maschera della Gestapo <31, almeno una maschera dell’opportunismo attendista? Anche se esistono questi connotati, compresa la provocazione, il fenomeno indica piuttosto che all’inizio della lotta di liberazione emerge uno stato d’animo, tornano alla luce convinzioni dottrinali, tradizioni, impulsi di radicalismo classista, che sono più generalizzabili. Li troveremo per esempio nel Sud nelle file del Partito comunista e del Partito socialista, difesi dai quadri oltre che dalla base, li avvertiamo in nuclei operativi del Nord, tra gli intellettuali, i giovani, li sentiamo trapelare nei dibattiti dei gruppi dirigenti. E non è qui che sia dato di vedere una forte differenza tra Milano e Roma» <32.
E’ più che verosimile che queste dissidenze non costituirono mai una reale alternativa ai partiti di sinistra, soprattutto a causa della loro forte repulsione verso le politiche centriste del CLN, così come è un dato che, allo stesso tempo, esse «non furono in grado di recidere fino in fondo il cordone ombelicale che le legava alle ideologie della sinistra istituzionale» <33. E’ però vero che esercitarono un’effettiva influenza sulle masse più politicizzate della penisola, e il loro contributo di elaborazione teorica fu a sua volta riutilizzato dal PCI per assorbire il dissenso e mantenere una certa credibilità anche sul fronte delle aspettative rivoluzionarie.
I tentativi di questi gruppi di andare verso una piattaforma allargata e condivisa che si ponesse come un reale contraltare alla sinistra del CLN furono per lo più infruttuosi e scontarono, oltre alle divergenze ideologiche, anche una ferma opposizione sia da parte del governo centrale che dai militanti del “centro”.
E non sono ormai più un mistero nemmeno i tentativi (spesso riusciti) da parte del PCI di mettere a tacere una volta per tutte queste voci scomode tramite agguati e omicidi, per lungo tempo attribuiti alla rappresaglia fascista.
L’indebolimento che ne conseguì, unito all’assottigliamento delle divergenze teoriche tra le dissidenze e i partiti ufficiali della sinistra, convinse buona parte dei militanti che un “fronte unico” durante la guerra avrebbe favorito in larga parte una riorganizzazione della società in senso comunista a guerra terminata. L’assimilazione dei gruppi dissidenti divenne realtà anche prima dell’aprile 1945, ad esclusione di quei movimenti, decisamente minoritari, già precedentemente organizzati in partiti e le cui strutture potevano vantare una certa organicità. Il loro contributo subì una rimozione forzata all’interno dell’immaginario collettivo, per poi manifestarsi ciclicamente sotto nuove forme per un lungo periodo del dopoguerra, a dimostrazione del fatto che, se alcune voci erano state poste sotto silenzio, non valeva il medesimo discorso per i tanti militanti di base ancora illusi che l’alba nuova del socialismo non avrebbe tardato ad arrivare anche in Italia, magari accompagnata dalle divisioni dell’Armata Rossa sovietica.
[NOTE]
26 PEREGALLI A., La sinistra dissidente in Italia nel periodo della Resistenza, cit., p.63
27 Ibidem, p.61
28 «Settarismo, superiorità, saluto con il pugno chiuso, stella rossa, politica integrale, sfiducia e critica a tutto e tutti […]». PAVONE C., Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, cit., p.366
29 Ibidem, p.351
30 Ibidem, pp.366-370
31 Il sinistrismo e la maschera della Gestapo, in “La nostra lotta”, a.I, n.6, dicembre 1943, pp.16-19 è un articolo quasi sicuramente redatto da Pietro Secchia in cui vengono attaccati i più famosi gruppi dissidenti del nord Italia con l’accusa di essere agenti provocatori al soldo dei nazifascisti. Tornerò ad occuparmi più approfonditamente di questo articolo nel secondo capitolo.
32 SPRIANO P., Storia del Partito comunista italiano, cit., p.102
33 PEREGALLI A., L’altra Resistenza. Il Pci e le opposizioni di Sinistra, Graphos, 1991, cit., p.11
Tommaso Rebora, Oltre il PCI: “Stella Rossa” e i gruppi dissidenti nella Resistenza italiana, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2012-2013

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2025-07-12

Quando si chiedeva lo scioglimento del MSI blogger.com/feeds/767784513969
Una diversa percezione del pericolo proveniente dalla destra neofascista da parte della DC era iniziata nella primavera del 1974, con la strage di Brescia, anche se il governo aveva iniziato a muoversi con maggiore fermezza contro l’estremismo neofascista già dall’anno precedente <232.A Brescia, il 28 maggio, durante una manifestazione antifascista organizzata dai

2025-07-12

Con il congresso, dunque, Lotta Continua, si dette una struttura tradizionale di partito casamaini.altervista.org/con-i
Con il congresso, dunque, Lotta Continua, si dette una struttura tradizionale di partito Le indicazioni di Pajetta relative alla necessità di dare più spazio ai gruppi della sinistra extraparlamentare sulla stampa del partito ebbero un riscontro immediato. Sull’«Unità» dell’8 gennaio

2025-07-12

Con il congresso, dunque, Lotta Continua, si dette una struttura tradizionale di partito casamaini.altervista.org/con-i

Adriano Maini boosted:

Aldo Moro lasciò la corrente dorotea della Dc

L’Autunno caldo era solo la miccia della bomba presente nella polveriera italiana. Il resto dell’ordigno, che avrebbe dato il via ad anni di terrore, scoppiò poco dopo. Il 12 dicembre del 1969 all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana a Milano, si verificò un attentato nel quale rimasero uccise 16 persone e ferite oltre ottantotto. Del fatto furono frettolosamente incolpati gli anarchici, quando in realtà si scoprì seppur con ritardo che la mano dietro il detonatore era quella dei neofascisti e delle forze reazionarie del paese. La strage di Piazza Fontana, come scrive Salvadori, “aprì un capitolo tragico della storia italiana, segnato dal gonfiarsi sia di gruppi terroristici di destra sia di quelle extraparlamentari di sinistra votatisi entrambi all’eversione delle istituzioni” <196. Due movimenti anti-stato <197 presentatisi con ambizioni diverse, uno mirante all’instaurazione di uno stato autoritario e l’altro alla rivoluzione del proletariato, ma che finirono entrambi a condividere l’attacco al cuore dello stato, che avrebbe dovuto mettere al bando un sistema politico e partitico che non aveva saputo più rispondere all’esigenze di un paese insofferente sotto il profilo sociale ed economico.
Il secondo governo Rumor chiuse la sua esperienza nel febbraio del ‘70 circa due mesi dopo la strage di Milano. Il democristiano fu però reincaricato di formare un terzo esecutivo che guidò il paese fino al luglio dello stesso anno: vi parteciparono democristiani, repubblicani, socialisti e socialdemocratici. Le quattro forze politiche sottoscrissero in quei mesi una sorta di preambolo <198, redatto dal nuovo segretario Dc Forlani, che prevedeva l’allargamento della formula del centrosinistra anche alle amministrazioni locali. Una linea che ribadiva come obiettivo delle alleanze del centro-sinistra l’esclusione dal dialogo politico del Pci. Una scelta quella di escludere i comunisti che non apparve più accettabile agli occhi di Aldo Moro. L’ex segretario democristiano lasciò la corrente dorotea parlando di “tempi nuovi” <199 che dovevano mirare ad affrontare i problemi che avevano condotto operai e studenti a non sentirsi più veramente partecipi nella società. E fu su questa scia che Moro varò la “strategia dell’attenzione” <200 verso i comunisti al fine di aprire “un impegnativo confronto con il Partito comunista in ordine ai problemi vitali della società” <201.
Dopo Piazza Fontana, primo atto della “strategia della tensione”, una serie di azioni eversive iniziarono a farsi largo nel paese complici anche le incapacità di intervento dei governi. Nel dicembre del 1970, Junio Valerio Borghese già comandante della X Mas nella Repubblica di Salò insieme ad alcuni neofascisti, guardie forestali e con la complicità dei servizi segreti tentò l’occupazione del Viminale per dare luogo ad un golpe che però non riuscì. L’eversione della destra si fece ulteriormente sentire nelle rivolte di Reggio Calabria e dell’Aquila tra l’estate del 1970 e gli inizi del 1971 e al contempo andava sempre più rafforzandosi l’arcipelago di organizzazioni <202 della sinistra extraparlamentare che, complice anche l’erronea valutazione della loro pericolosità da parte dei vertici comunisti e socialisti, finirono ben presto per divenire un vero e proprio partito armato <203 che iniziò a macchiarsi di rapimenti e omicidi.
Nell’estate del 1970 a Rumor successe, alla guida di Palazzo Chigi, Emilio Colombo che diete vita a una “versione sempre più stanca del centro sinistra”204 che riuscì, nonostante le fortissime ostilità delle gerarchie democristiane, ad approvare la legge sul divorzio che era stata proposta dal socialista Fortuna e dal liberale Baslini e sostenuta da Pri, Psi, Psiup e Pci. L’approvazione della sola legge sul divorzio non appariva comunque sufficiente per valutare positivamente le esperienze dei governi di centro-sinistra succedutisi a partire dal 1968. A non sostenere affatto gli esecutivi furono anche i partiti che al loro interno, dopo l’avvio della V legislatura, registrarono scontri e situazioni difficili. Primi tra tutti i socialisti i quali dopo la sconfitta del Psu e la mancata partecipazione al governo di Giovanni Leone tornarono a sciogliere il partito ricostituendo il Psi e Psdi. La faticosa tela <205
intessuta da Nenni e Saragat iniziò a lacerarsi dopo meno di un anno proprio perché i socialisti e i socialdemocratici avevano voglia di tornare di nuovo alle urne – le amministrative e le regionali del 1970 – con i vecchi simboli e assetti politici. “Non è però possibile cancellare con un tratto di penna un percorso politico e fingere che nulla sia successo” <206 scrive la Colarizi a proposito del ritorno alle vecchie bandiere del Psi e Psdi. I socialdemocratici decisero di virare verso “destra” convinti che fosse giunto il momento di frenare la corsa delle sinistre più radicali e di ricostruire un argine al comunismo con un percorso diametralmente opposto alla nuova “strategia dell’attenzione” <207 varata da Moro e sposata dal Psi. Ovviamente lo scontro tra socialdemocratici e socialisti si consumava all’interno del governo determinando così “l’instabilità permanente della coalizione” <208.
Nel Psi l’uscita di scena di Nenni lascerà spazio a due nuovi leder: Mancini e De Martino i quali ritenevano necessario un nuovo percorso per far ripartire il partito senza però uscire dalla dimensione del governo che assicurava posizioni di potere <209 anche se queste non si rivelarono fruttuose al livello di voti. Per quanto concerneva l’area nella quale rintracciare nuovi consensi le idee di Mancini e De Martino sembrarono distanziarsi seppur mai entrare in contraddizione. Il primo riteneva che si dovesse guardare alle spinte moderne che arrivavano per lo più dall’elettorato giovanile, mentre il secondo guardava ai settori “più marcatamente politicizzati della sinistra” <210. Mancini e De Martino erano infatti convinti di riuscire a ottenere vantaggi politici ed elettorali dagli umori trasgressivi delle piazze con l’obbiettivo di “abbattere la barriera del centro-sinistra delimitato e apre il dialogo con il Pci” <211. La “strategia dell’attenzione” non sembrava lasciar dubbi sul fatto che l’isolamento del Partito comunista fosse ormai destinato a concludersi.
Il ritrovato spirito di collaborazione tra socialisti e comunisti giunse in un momento davvero cruciale per le vicende del partito-chiesa comunista il quale si trovava a dover fronteggiare la sempre più ampia radicalizzazione violenta della sinistra extraparlamentare che lo gettò, per tutta la V legislatura, nell’occhio del ciclone <212. Le scomuniche <213 non apparvero sufficienti a bloccare e riassorbire i fronti deviazionisti interni alla sinistra e per questo il riavvicinamento del Psi e la sempre più vicina fine dell’isolamento, dettata anche dall’inizio del dialogo con la sinistra cattolica, apparvero di fondamentale importanza per i vertici di via delle Botteghe Oscure che erano forti anche della costante crescita elettorale che gli proponeva come interlocutori ideali <214 seppur impossibilitati dal sedersi tra i banchi dell’esecutivo.
Simona Colarizi a questo proposito scrive: “La conventio ad excludendum resta insormontabile per i comunisti legati a Mosca […]. È però possibile ricercare intese sul programma, come sembra suggerire Moro con la fumosa formula della strategia dell’attenzione; governare attraverso preventivi accordi con l’opposizione che garantiscono alle leggi e ai provvedimenti varati dal centrosinistra un consenso o quanto meno un gradimento di quel 27% della popolazione controllato dal Pci <”215. Un’idea quella di Moro che troverà sponda nel mondo comunista dopo il 1972 quando, al XIII Congresso del Pci, venne eletto segretario Enrico Berlinguer che si presentò al mondo politico affermando: “In un paese come l’Italia una prospettiva nuova può essere realizzata solo con la collaborazione tra le grandi correnti popolari: comunista, socialista, cattolica. Di questa collaborazione l’unità di sinistra è condizione necessaria ma non sufficiente. […] Noi siamo disposti ad assumerci le nostre responsabilità” <216.
La Dc riteneva ben accetti <217 i voti comunisti seppur non tutti i vertici del partito condividessero la linea della sinistra cattolica e questo perché era sempre più evidente e forte la preoccupazione per i fermenti che si registravano all’interno del paese e la tensione crescente anche nell’estrema destra interna ed esterna al partito cattolico. Nel 1971 la Democrazia Cristiana aveva portato a casa l’importante risultato dell’elezione al Quirinale di Giovanni Leone che, scrive Gervasoni, “non era mai stato un grande sostenitore del centro-sinistra” <218. Leone introdusse nel dibattito politico temi importanti come quello della “saldatura tra coscienza morale e istituzioni” <219 ma la sua ascesa al Colle non diede nuova linfa né una ritrovata stabilità al governo Colombo. Proprio per queste ragioni nel febbraio del 1972 Giulio Andreotti venne chiamato a formare un nuovo governo che però non ottenne la maggioranza al Senato e costrinse Leone a sciogliere le camere e indire elezioni anticipate “diventando il primo presidente a far terminare una legislatura prematuramente” <220.
La fine non naturale della V legislatura, unitamente alle proteste sempre più violente e incontrollate interne al Paese, mise in evidenza la crisi di un sistema politico incapace, nonostante i reiterati tentativi del centro-sinistra, di dare risposte ad una società in continuo mutamento. Il terrore degli anni di piombo e gli eventi internazionali, verificatesi in luoghi molto lontani dalla penisola durante gli anni ‘70, posero i partiti dinanzi alla necessità, non più procrastinabile, di dare una svolta politica in grado di rinvigorire la democrazia italiana e mettere al riparo il sistema dal terrorismo nero e rosso.
[NOTE]
196 M. L. SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p. 402.
197 Ibidem.
198 M. L. SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p. 415.
199 Ibidem.
200 Ibidem.
201 Ibidem.
202 Ivi, p. 417.
203 Ibidem.
204 Ivi, p. 418.
205 S. COLARIZI, Storia politica, cit., p. 99.
206 Ibidem.
207 Ivi, p. 100.
208 Ibidem.
209 Ibidem.
210 Ibidem.
211 Ivi, p. 101.
212 S. COLARIZI, Storia politica, cit., p. 103.
213 Ibidem.
214 M. L. SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p. 103.
215 Ibidem.
216 II testo della relazione in D. e O. PUGLIESE (a cura di), Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito Comunista Italiano, Edizioni del Calendario-Marsilio, Venezia, 1985, pp. 275-314.
217 S. COLARIZI, Storia politica, cit., p. 104.
218 M. GERVASONI, op. cit., p. 85
219 Ivi, p. 84.
220 Ibidem.
Marco Martino, Italia, Cile: destini politici e percorsi partitici alla base del Compromesso Storico tra PCI e DC
, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2019-2020

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2025-07-11

Altri due elementi contribuiscono a mettere in crisi l’egemonia democristiana e la sua capacità di governo negli anni settanta collasgarba.wordpress.com/2025
Altri due elementi contribuiscono a mettere in crisi l’egemonia democristiana e la sua capacità di governo negli anni settanta Consapevole della necessità di rompere l’impasse – considerato anche il

2025-07-11
2025-07-09

L’importanza dell’accordo di marzo si sarebbe mostrata appieno durante il dibattito interalleato collasgarba.wordpress.com/2025
L’importanza dell’accordo di marzo si sarebbe mostrata appieno durante il dibattito interalleato La restituzione al governo italiano delle prime province liberate nel febbraio del 1944 acutizzava la consapevolezza nell’amministrazione centrale di dover

Adriano Maini boosted:

Inseguito dai tedeschi riuscii a nascondermi rannichiandomi dietro una roccia

Buggio, Frazione del comune di Pigna (IM)

Pagasempre [n.d.r.: Arnolfo Ravetti, in seguito capo di Stato Maggiore della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”], che doveva far parte del gruppo di Fragola-Doria [n.d.r.: Armando Izzo, comandante, poco tempo dopo i fatti qui narrati, della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”], era riuscito a scappare dal campanile [n.d.r.: della Chiesa Parrocchiale di Pigna] e a raggiungere il gruppo di retroguardia [n.d.r.: l’autore non mette date, ma qui dovrebbe trattarsi del 10 ottobre 1944, quando la Repubblica Partigiana di Pigna era ormai caduta e la maggior parte dei patrioti combattenti imperiesi, non solo quelli attestati in Alta Val Nervia, ma anche coloro del resto della provincia, si erano ormai avviati, per sfuggire ai rastrellamenti nazifascisti, verso Fontane in Piemonte, in quella che è rimasta nella storia come un’epica ritirata strategica]. È lui, il testimone oculare dei fatti che sto per narrare.
«Stavo per raggiungere il gruppo di Fragola-Doria, dopo aver visto dall’alto del campanile i vari gruppi dirigersi verso Langan. Erano riusciti a sganciarsi bene ed il ripiegamento avveniva con ordine, anche merito mio che sparavo dal campanile e del gruppo di Fragola-Doria che compiva eccellentemente il compito di retroguardia».
«Hai visto il gruppo di Carabalona? [n.d.r.: Stefano “Leo” Carabalona, già comandante di Distaccamenti, era di lì a diventare capo della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato a Nizza]».
«L’ho visto dirigersi verso il cimitero e scomparve alla mia vista».
«Continua nella tua narrazione».
«Inseguito dai tedeschi riuscii a nascondermi rannichiandomi dietro una roccia e vidi Fragola-Doria, che ad una curva sul ciglio di un dirupo si era fermato, aveva fatto un passo indietro per caricare il mitra e mettersi in migliore posizione di tiro, ma aveva messo un piede in fallo, mentre una raffica mi parve l’avesse colpito, e precipitò nel burrone sottostante. Eravamo presso la Madonna di Passoscio. Quando lo andai a prelevare, alcuni giorni dopo, mi disse che era stato ferito e nel rotolare, ridotto all’inazione, non sapeva orientarsi anche perchè aveva rotto gli occhiali. Due ausiliari tedeschi, probabilmente polacchi o cecoslovacchi, lo avevano raggiunto in fondo alla scarpata e lo avevano piantonato in attesa di ordini dal loro comandante, sulla sua sorte. Era stordito, dolorante, esausto, quasi semincosciente e gli pareva di udire i nazisti che gli chiedevano di portarli con lui perchè volevano farsi partigiani. Ma il loro comportamento dichiarò le loro intenzioni. Lo abbandonarono lasciandogli la pistola e la borsa con le carte topografiche».
Intanto Pagasempre, rimasto solo, all’alba, dopo aver passato la notte al riparo degli alberi, si avviava verso Buggio. Sentiva sopra, verso il Torraggio, le mitragliatrici, che lui pensava fossero di Moscone [n.d.r.: Basilio Mosconi, comandante di un Distaccamento, poi comandante del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata], attestate all’incrocio della strada militare del Torraggio, verso Pietravecchia, che respingevano i tedeschi.
Giunto a Spegli fu accolto da alcuni carbonari, dove incontrò il maggiore Zoroddu, con la moglie e le due bambine.
Era stato un pastore, un suo conoscente che lo aveva guidato là, ritenendo la posizione sufficientemente sicura. Fu quello stesso pastore che nei giorni successivi li avvertiva delle posizioni dei tedeschi, e di aver visto i partigiani camminare con passo normale e ben affardellati verso Langan, da diverse strade.
Rimanevano però nei dintorni di Pigna e di Castelvittorio molti uomini sbandati ed il rastrellamento nazista insisteva. Bisognava abbandonare la zona.
Zoroddu e Pagasempre decisero di raggiungere alcune campagne di Castelvittorio, dove il maggiore contava degli amici. Con prudenza il gruppo viaggiava di buon mattino e la sera, per non essere visti. Raggiunsero Gordale.
Qui li raggiunse il partigiano Ammiraglio (Rebaudo Stefano) ad annunciare che Fragola-Doria era stato raccolto da un pastore, in cattive condizioni di salute. Rivolgendosi in particolare a Pagasempre. lo pregava di organizzare un suo recupero. Fu un abitante di Castelvittorio, il paese degli uomini generosi, che si prestò, col suo mulo ad andare a prendere Fragola-Doria. Lo trovarono in vere condizioni pietose. Ciò che più lo affliggeva era il non aver più gli occhiali. Aveva una larga ferita alla coscia destra ed era in suppurazione.
Riprende Fragola-Doria:
«Le ragazze che mi assistevano, mi portarono dei libri, da leggere, di Nino Salvaneschi. La notizia che io fossi lì si sparse. Devo ancora narrare un episodio che denotava il mio stato febbrile. Le ragazze mi portavano delle fette di pane biscottato all’olio e me le mandava la madre di Ammiraglio, un nostro partigiano. Nel mio rifugio vi erano dei grossi topi ed una notte ebbi l’impressione che mi volessero aggredire. Per allontanarli presi un pane e lo scaraventai contro di loro. Ho visto che i topi si erano precipitati su quel pane. Allora ho capito che i topi sentivano l’odore del pane condito impastato con l’olio. In quella grotta sentivo dei dolori acuti in tutto il corpo. Pagasempre seppe del mio rifugio e venne con dei muli e mi portò dove lui si trovava, in Gordale, dove fui visitato e curato dal dottore Prof. Moro, che mi disse: “Tu fisicamente ora sei guarito, ma sei ridotto a sole ossa. Devi curarti”. Mi curarono Pagasempre ed il maggiore Zoroddu ed altri partigiani che non avevano seguito gli altri in Piemonte».
A conferma di questo continua Pagasempre.
«Fu il Prof. Moro di Castelvittorio che si prestò a medicare e a curare Fragola-Doria. Egli, da una narrazione del tempo, era stato, dopo l’abbandono dei due ausiliari tedeschi, per qualche giorno immobile. Solo la notte si trascinava attorno in cerca di castagne per cibarsi. Gli occorse un mese per guarire».
Rio Gordale
In Gordale si radunarono molti sbandati e formarono il distaccamento del tenente Lilli [Fulvio Vicàri, medaglia d’argento alla memoria], ma non avevano mezzi di sussistenza, né collegamenti con il grosso delle forze avviate verso il Piemonte.
I tedeschi avevano occupato tutta la zona e bisognava stare in guardia.
Il maggiore Zoroddu incarica Pagasempre di recarsi a Poggio di Sanremo con un biglietto di presentazione per i signori Nino Ghersi e Corrado Mancini, facenti parte del C.L.N. onde avere mezzi di sussistenza. Altro scopo della missione
era di procurare gli occhiali a Fragola-Doria.
Il viaggio fu lungo e non privo di avventure, degno di un racconto a parte. Ecco il suo racconto:
« Giunto a Poggio e fattomi riconoscere, mi portarono in una casa di campagna sopra il campo sportivo di Sanremo. Stetti tre giorni. Mi consegnarono gli occhiali per Fragola-Doria ed una forte somma di danaro da consegnare a Zoroddu. Giunto a Gordale, con quello che avevo portato, l’esistenza divenne più umana. Comperammo un vitello per sfamare il distaccamento e farina e pane. Curammo Fragola-Doria che con una alimentazione buona si rimise in forze. I tedeschi si erano accorti dell’esistenza del gruppo di Gordale. Lo aveva comunicato un tale di Castevittorio, che aveva osservato un ufficiale tedesco che teneva puntato un cannocchiale sul luogo. I tedeschi a Pigna e a Castelvittorio erano molti, ma anche i partigiani di Castevittorio erano rimasti sul luogo ed avevano rafforzato il distaccamento, tenendosi sbandati ma ben collegati. I tedeschi, per la sempre misteriosa voce di informatori prezzolati, sapevano che a Gordale viveva Zoroddu, che essi credevano il capo dei partigiani della zona ed erano anche a conoscenza che Fragola-Doria era ferito. Inoltre sapevano che il dott. prof. Moro curava i feriti partigiani e lo ricercavano. Partì da Castelvittorio una spedizione tedesca. I partigiani di Gordale fecero in tempo a rintanarsi. Lilli non aveva voluto seguirli e fu scoperto una mattina con la sua donna. Si salvò per aver lanciato alcune bombe a mano e fuggì con alcuni dei suoi uomini.
Per ritorsione i tedeschi catturarono tredici persone trovate nei campi a lavorare. Vi erano tra essi donne e bambini. Il parroco del luogo, Don Aldo Caprile, si offerse vittima per loro, ma i tedeschi fucilarono [3 dicembre 1944] i tredici, senza pietà, su un costone sopra il paese».
don Ermando MichelettoLa V ^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” – Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975, pp. 199-202

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2025-07-08

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