All’interno della setta brigatista, iniziarono a manifestarsi i primi veri disaccordi
In seguito al sequestro e alla morte di Moro, le BR continuarono gli attacchi, colpendo funzionari dell’antiterrorismo e continuando la campagna contro il trattamento carcerario dei prigionieri, uccidendo Girolamo Tartaglione, direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia e due agenti di polizia addetti alla sorveglianza esterna del carcere Le Nuove di Torino: Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu. Per tutto il 1978 nelle grandi fabbriche del nord Italia, le Brigate Rosse agirono contro le gerarchie e i dirigenti industriali: morirono Pietro Coggiola, capofficina torinese, e Sergio Gori, vicedirettore del Petrolchimico di Marghera (VE); l’omicidio di Gori, il 19 gennaio 1980, fu l’ultima azione delle Brigate Rosse inserita nel contesto di fabbrica. L’uccisione del sindacalista della CGIL Guido Rossa, avvenuta il 24 gennaio 1979, marcò l’inizio di un inesorabile declino delle Brigate Rosse: in quel contesto uscirono dall’organizzazione sette militanti, che confluirono nel Movimento Comunista rivoluzionario. Nel corso dell’estate del ’79, le BR, nel tentativo di far evadere i suoi militanti incarcerati all’Asinara, fecero pervenire all’Esecutivo brigatista un documento di 130 pagine in cui venivano esposte le tesi politiche che avrebbero dovuto indirizzare l’attività dopo il sequestro Moro.
Tra il giugno 1978 e la primavera 1980 venne condotta una campagna contro gli apparati dell’antiterrorismo, durante la quale vennero uccisi 12 militari di vario grado. Nel febbraio del 1980 venne arrestato a Torino Patrizio Peci, uno dei maggiori pentiti dell’organizzazione, che collaborando con le forze dell’ordine facilitò centinaia di arresti in tutta Italia. L’episodio scatenò anche la vendetta per la campagna contro l’antiterrorismo, per cui i carabinieri uccisero quattro brigatisti.
All’interno della setta brigatista, iniziarono a manifestarsi i primi veri disaccordi riguardo al futuro dell’organizzazione e su come procedere con le loro attività: l’Esecutivo brigatista non si trovava d’accordo con le tesi politiche esplicitate nel documento dell’Asinara, per cui vennero richieste le dimissioni dei suoi componenti; i principali dissidi riguardavano la questione operaia e, appunto, il problema della liberazione dei prigionieri. Per via delle contraddizioni interne all’organizzazione, per la prima volta le BR non furono presenti alla reazione della Fiat contro le vertenze operaie, che portò alla cassa integrazione di migliaia di operai e un centinaio di licenziamenti. Diverse colonne, dissentendo con Direzione Strategica, cominciarono ad agire in modo autonomo, e nel 1980 si verificarono le prime separazioni ufficiali. La prima colonna a distaccarsi dalla leadership brigatista fu la “Colonna Walter Alasia” il cui nome era un omaggio a un compagno caduto in azione a Milano: gestendo autonomamente l’omicidio dell’industriale Renato Briano, questa frangia uscì dal controllo politico dell’esecutivo Brigatista, separazione che venne ufficializzata nel dicembre del 1980 <107.
Nonostante questi conflitti interni, i media continuarono a riportare notizie sugli eventi legati alle Brigate Rosse. Nel dicembre 1980, fu ucciso il generale dei Carabinieri Enrico Galvagli, mentre il mese successivo si concluse il sequestro del Magistrato D’Urso in cambio della chiusura delle carceri speciali sull’isola dell’Asinara: fu proprio questa la campagna conclusiva del percorso unitario delle Brigate Rosse, nonostante i successivi tentativi di ripresa. Tuttavia, nell’aprile 1981, l’arresto di Mario Moretti, il leader incontrastato delle Brigate Rosse dal 1976, pose fine alle ultime speranze di un nuovo avvicinamento tra i brigatisti. Tutte le azioni successive, tranne il sequestro e l’assassinio dall’ingegnere Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimico di Mestre, rivendicati dai brigatisti, non furono più attribuite alla famosa sigla BR.
Nel corso degli anni successivi, vennero effettuati tentativi di riconciliazione tra i vari gruppi dissidenti, ma senza risultati significativi. Da quel momento in poi, le Brigate Rosse come un’organizzazione armata unitaria e diffusa su gran parte del territorio nazionale cessarono di esistere, dividendosi in BR-Walter Alasia, BR-Partito Guerriglia e BR-Per la Costruzione del Partito Comunista Combattente, che continuarono autonomamente il percorso di lotta armata.
Nel 1986 iniziò il cosiddetto processo Moro-ter, che pose fine alla storica organizzazione delle Brigate Rosse e portò alla luce molti degli eventi discussi in precedenza.
Nel gennaio del 1987, una serie di “lettere aperte” firmate da diversi militanti segnarono la conclusione dell’esperienza unitaria delle Brigate Rosse. Queste lettere enfatizzarono l’avvio di una nuova fase di lotta, focalizzata sulla risoluzione politica del conflitto degli anni Settanta, sulla liberazione di tutti i prigionieri detenuti a seguito delle azioni delle BR, e sulla facilitazione del ritorno degli esuli nel contesto sociale e politico italiano. Questo momento rappresentò una svolta significativa nella storia delle Brigate Rosse, poiché segnò la fine ufficiale dell’organizzazione e il passaggio a iniziative volte a raggiungere obiettivi politici attraverso mezzi pacifici <108.
[NOTE]
107 Bartali R., 2004, “L’inizio della fine: le BR dal 1978 al 1987”, http://www.robertobartali.it/cap07.htm
108 Bartali R., 2004, “L’inizio della fine: le BR dal 1978 al 1987”, http://www.robertobartali.it/cap07.htm
Lidia Puppa, La violenza politica degli anni di piombo: un confronto tra terrorismo rosso e terrorismo nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2022-2023
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