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2025-09-08

Moussa Balde, a processo l’ex direttrice e l’ex direttore sanitario del CPR radioblackout.org/2025/09/mous #L'informazionediBlackout #processi #razzismo #cpr

Le brigate Garibaldi della Lombardia furono tra le più efficienti nella cattura dei presunti collaborazionisti

Il decreto legislativo n.° 142 emanato il 22 aprile 1945 toccò un nervo scoperto di chi aveva conosciuto le asprezze del governo di Salò e il fardello dell’occupazione tedesca.
Molti cittadini si dimostrarono pronti a collaborare con le istituzioni preposte per attuare i provvedimenti sanzionatori sporgendo denunce contro i collaborazionisti. A Liberazione avvenuta, svanito il timore delle repressioni e delle persecuzioni da parte di nazisti e saloini, nulla più ostacolò l’iniziativa della popolazione di “farla pagare” ai precedenti oppressori e profittatori.
La mole e lo stato attuale dell’archiviazione delle fonti a disposizione rende difficoltosa, al momento, la ricostruzione dell’effettiva consistenza di tutte le denunce sporte a carico dei collaborazionisti nella provincia di Milano <124.
Dalle informazioni reperibili a partire dagli atti processuali si desume che la maggior parte delle persone accusate di collaborazionismo per cui fu istruito il processo furono segnalate tra la fine di aprile e la fine di giugno 1945. Nella seconda metà dell’anno le denunce continuarono con una minore intensità fino a cessare nella primavera successiva <125.
Gli autori delle denunce furono in molti casi i parenti o i conoscenti delle vittime o coloro che avevano direttamente subito i torti o le violenze. E’ il caso, ad esempio, dell’avvocato Alfonso Mauri, il quale due giorni dopo la liberazione di Milano denunciò il portinaio dello stabile dove esercitava la professione, Stefano Barlocco, per aver provocato il suo arresto da parte della polizia tedesca <126. E’ invece la vedova Anna Abanassino a denunciare, il 20 maggio 1945, Norberto Ficini quale delatore del marito Ferruccio Bolognesi, morto in Germania dopo esservi stato deportato <127. Analogamente, il commerciante di origine argentina Santiago De Filippi, processato “per aver denunciato alle SS Germaniche il sig. Goldfluos Enrico, segnalandolo come israelita e detentore di armi destinate ai partigiani nonché di apparecchio radio ricevente trasmittente, provocandone l’internamento a Dachau”, è stato segnalato dal figlio dell’internato <128.
Anche i gruppi partigiani attivi sul territorio investirono le proprie energie nella ricerca e denuncia dei fascisti di Salò che, in molti casi, vennero dalle stesse bande fermati e arrestati.
Alcuni esempi: l’ufficiale della Gnr Alberto Guzzi fu prelevato il 26 aprile da un corpo di Volontari della Libertà, Maria Ferlat, interprete, venne arrestata il 30 aprile dai volontari della sezione romana-vigentina del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Alcuni agenti di pubblica sicurezza del comando generale della VIII brigata Matteotti fermarono il 3 maggio Tommaso Cacciapuoti, arricchitosi grazie a traffici illegali con i tedeschi, mentre il Commissario nazionale per l’Opera Nazionale Combattenti Luigi Russo fu arrestato qualche giorno dopo (12 maggio) da una formazione di “Giustizia e Libertà” e Ugo Franzolin, cronista di guerra della X Mas, da un gruppo garibaldino della Lombardia <129. Le brigate Garibaldi della Lombardia furono tra le più efficienti nella cattura dei presunti collaborazionisti. Oltre ad esse e a quelle citate nei precedenti esempi si misero in azione la brigata “giovanile Matteotti”, la brigata “San Giusto”, la brigata “Migliarini” e gruppi del Corpo Volontari della Libertà come la brigata “Biancardi” e il gruppo “Montezemolo”.
Altre volte le segnalazione di sospetti collaborazionisti arrivarono da colleghi di lavoro <130 o coinquilini <131, mentre in rari casi – concentrati nei giorni immediatamente successivi al 25 aprile – si registrano costituzioni spontanee <132.
A tener desti gli animi della popolazione sulla punizione dei delitti commessi in nome del fascismo contribuirono, nei primi mesi dopo la liberazione, gli organi di stampa. I giornali del tempo ospitarono, infatti, articoli che, con toni più o meno infervorati e con considerazioni più o meno polemiche, mantennero la vicenda sanzionatoria al centro dell’interesse pubblico.
A partire dalla fine di maggio, sulla pagina milanese del Corriere d’Informazione apparvero costantemente aggiornamenti sugli ex-fascisti arrestati <133 e resoconti dei processi che si svolgevano davanti alla Corte d’Assise Straordinaria di Milano <134.
Parallelamente, i cittadini furono febbrilmente invitati collaborare con i Cln e le pubbliche autorità per avviare più celermente possibile i processi sanzionatori. Già nei primissimi giorni successivi alla liberazione apparvero incoraggiamenti a sporgere “denuncie dettagliate, indicando le persone, i fatti, i danni subiti e le prove documentali od orali” facendo pervenire “uno scritto senza alcuna formalità alla Commissione intestata sedente presso il Palazzo di Giustizia, via Freguglia” <135.
Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, i numerosi articoli sull’argomento divennero veri e propri appelli indirizzati alla popolazione a darsi da fare per “stanare” gli ex fascisti che si nascondono <136 o che tentano di riciclarsi come partigiani <137 e coloro che hanno approfittato dell’occupazione tedesca per godere di posizioni di potere o per portare a termine affari e profitti personali <138. La risposta dei cittadini ai frequenti appelli sembrò essere positiva, tanto da incalzare il lavoro della polizia e dell’apparato giudiziario <139.
In genere i querelanti indirizzarono i propri esposti alla Questura, ai Carabinieri o direttamente alla Corte d’Assise Straordinaria mediante l’ufficio del PM o l’autorità inquirente. Moltissimi furono anche coloro che si rivolgono ai Cln che, in questa fase di “caccia al nemico” dimostrarono grande energia ed operosità.
Tra la primavera e l’estate del 1945 i Comitati di Liberazione regionali e provinciali ricevettero una pioggia di denunce, segnalazioni, aggiornamenti e indicazioni <140.
Al Cln della città di Milano privati cittadini denunciarono, ad esempio, alcuni impresari nel campo edile per essersi messi a servizio dell’occupante.
Gino Ferrari, appaltatore edile operante a Molinazzo di Cormano, venne denunciato perché “Sostenitore e difensore e propagandista del verbo fascista – prima e dopo l’8 settembre 1943 – particolarmente ai propri dipendenti, collaborazionista dei fascisti e dei tedeschi per i quali ha fatto lavori diversi per conto della Todt, di Milano e provincia”. Inoltre, “ha minacciato ripetutamente i dipendenti di invio in Germania se questi manifestavano la loro avversione ad essere impiegati sui lavori per i tedeschi e per le loro organizzazioni. Sollecitava i nipoti all’iscrizione nell’esercito repubblichino e brigava presso Farinacci per far ottenere una ricompensa al valore militare ad un nipote ferito nella lotta contro i Patriotti sul fronte italiano”. Infine: “E’ già stato segnalato da diversi dipendenti come elemento fazioso, e ricercato dopo il 26 luglio 1943 per una giusta punizione, ma si era reso irreperibile. Ha fatto discreta fortuna durante il periodo di guerra immagazzinando rilevante quantità di materiale venuto da vie traverse della Todt”. Insieme a lui, anche la moglie, Maddalena Lireque Ferrari, di nazionalità francese, fu segnalata in quanto “coadiuva, segue ed incita il marito, tipico esempio di degenerazione dei caratteri francesi, fascista, opportunista, denigratrice del proprio paese” <141.
Di un altro appaltatore edile operante nel milanese, Aldo Cardani, si comunicò: “Sostenitore fascista e propagandista di prima e dopo il 26 luglio. Tacciava pubblicamente di antitaliani dei semplici antifascisti, provocando noie e richiami polizieschi per questioni seguite da minacce da parte delle autorità politiche fasciste” <142.
Un’ulteriore denuncia riguardò l’Ingegner Guido Piazzoli, titolare della ditta “Fr. Ing. Piazzoli” di Milano. In essa si dichiarò che l’ingegnere, al momento irreperibile, usava mettere a disposizione dei tedeschi le proprie risorse e la propria professionalità eseguendo lavori di fortificazioni, bunker, fori da mine nel tratto stradale Ventimiglia-San Remo, e che in più si vantava della ingente fortuna che queste attività gli avevano procurato <143.
Anche i soldati tedeschi rimasti in territorio italiano dopo il 25 aprile furono oggetto delle denunce dei cittadini.
Nel luglio 1945 l’artista lirico Luigi Stellasi informò il Clnai che Alf Rauch, cittadino tedesco e nazista, circolava in Milano con falsi documenti e suggerì di rivolgersi all’impresario del teatro Carcano per testimonianze circa i suoi trascorsi <144. Negli stessi giorni, venne denunciato anche il Dr. Wilhelm Vogel, proprietario o comproprietario della ditta “Primo aghificio italiano S.A. Lecco-Laorca”.“Il dott. Wielhelm Vogel – si legge nella denuncia – è spia di pace e di guerra, lui e sua moglie Gina Fabbri di Ravenna, ove ha parenti fascisti e già gerarchi e ove avranno forse nascosto denaro e gioielli e altro. Questa canaglia del dott. Vogel, come tutti gli altri tedeschi che sono in Italia e “nessuno li tocca” <145, quanto siamo imbecilli noi Italiani, e sono migliaia che infestano Milano e tutta l’Italia e tutti da fucilare perché tutti quanti complici (spie ladri assassini) coi comandi tedeschi e in futuro proibire per legge la residenza in Italia a tutti i tedeschi, questo spione del dott. Voghel ha diversi indirizzi …” <146.
La spirale delle denunce cominciata alla fine dell’aprile 1945 divenne per qualcuno una ghiotta occasione da sfruttare per disfarsi di elementi sgraditi. Risale al 4 settembre 1945 una lettera firmata dal Cln di Pantigliate in cui si chiede al Clnai di intercedere presso il Comando dell’Arma dei Carabinieri per ottenere la sostituzione del Brigadiere Fogliani, Comandante la Stazione locale dei Carabinieri. Il motivo della richiesta fu la sua “scandalosa condotta”. Egli “gozzoviglia, e da tempo, con tutti i signoretti esponenti dell’ex PFR diminuendo il principio d’autorità e giustizia che dovrebbe essere integro in un Comandante dei CC.RR. […] Inoltre è un uomo che non ha nessuna parola, che girella a seconda dell’opportunità e non gode ne stima né fiducia tanto dalle Autorità quanto dal popolo” <147.
[NOTE]
124 Le denunce a carico dei collaborazionisti non sono raccolte in modo sistematico e unitario ma sparpagliate tra le denunce giunte ai vari commissariati di Polizia e alla Questura di Milano per tutti i tipi di reato. Cfr. ASM, QUESTURA DI MILANO, Casellario permanente di polizia giudiziaria (bb 523), Commissariati di pubblica sicurezza di zona (bb 558), Commissariati di pubblica sicurezza distaccati (bb 33). A queste bisogna poi aggiungere le segnalazioni fatte al Clnai e alle sue varie sezioni provinciali della Lombardia, di cui è reperibile solo una miscellanea nei fondi Cln Alta Italia e Cln città di Milano dell’INSMLI.
125 L’ultimo esposto registrato è quella a carico di Franco Gandini, denunciato il 4 aprile 1946 dal dott. Weinelberger Emanuele, di nazionalità ebraica e suo creditore, per averlo precedentemente segnalato all’ufficio politico del gruppo Oberdan di Milano. ASM, Cas Milano, 10.05.1947, Sez. Terza, Pres. Emanuele Giovanni, vol. 10/1947.
126 ASM, Cas Milano, 06.07.1945, Sez. Prima, Pres. Marantonio Luigi, vol. 1/1945.
127 ASM, Cas Milano, 19.09.1945, Sez. Terza, Pres. Marano Matteo, vol.2/1945.
128 ASM, Cas Milano, 08.08.1945, Sez. Prima, Pres. Mottino Gianbattista, vol.1/1945.
129 Nell’ordine: ASM, Cas Milano, 08.06.1945, Sez. Prima, Pres. Marantonio Luigi; 23.05.1945, Sez. Prima, Pres. Marantonio Luigi; 06.07.1945, Sez. Prima, Pres. Marantonio Luigi; 01.06.1945, Sez. Prima, Pres. Marantonio Luigi ; 13.06.1945, Sez. Seconda, Pres. Modugno Domenico, vol.1/1945.
130 Edgardo Matisek, ad esempio, Commissario per la gestione straordinaria della società per azioni “Philips Radio e Metalix” è denunciato per illeciti affari con gli occupanti dai colleghi di lavoro. ASM, Cas Milano, 09.07.1045, Sez. Prima, Pres. Mottino Gianbattista, vol. 1/1945.
131 De Rossi Maria, casalinga, è accusata di delazione dal coinquilino Enzo Imbriani. ASM, Cas Milano, 03.07.1945, Sez. Seconda, Pres. Gurgo Luigi, vol. 1/1945
132 Mario Nasini, ufficiale dell’esercito poi passato alla milizia volontaria della sicurezza nazionale e al servizio della Rsi, si consegna spontaneamente alla polizia alla fine di aprile mentre Giuseppe Dalla Croce si costituisce al Cln di Cusano Milanino per essere stato capitano della Gnr e aver svolto la funzione di Pubblico Ministero presso il Tribunale Speciale per la difesa dello stato, nella sezione VII con sede in Milano. Nell’ordine: ASM, Cas Milano, 11.06.1945, Sez. Seconda, Pres. Modugno Domenico; 13.07.1945, Sez. Prima, Pres. Mottino Gianbattista, vol. 1/1945.
133 “Quasi quattro mila “politici” nel carcere di San Vittore” e “Spie e aguzzini fascisti tratti in arresto” in Corriere d’informazione, 28 maggio 1945; “Tristi figuri fascisti tratti in arresto”, in Corriere d’informazione, 09 giugno 1945.
134 “Il processo a Rolandi Ricci. Un clamoroso incidente”, in Il Corriere d’informazione, 24 maggio 1945; “Trent’anni ad Attilio Teruzzi e quindici e Rolandi Ricci”, Ibidem, 25 maggio 1945; “L’istruttoria contro Graziani”, Ibidem, 27 maggio 1945; “Buffarini Guidi e Uccelli condannati alla pena capitale”, Ibidem, 29 maggio 1945; “Escandescenze dell’ex gerarca durante l’interrogatorio”, Ibidem, 8 giugno 1945; “Cesare Rossi condannato a quattro anni di reclusione”, Ibidem, 9 giugno 1945.
135 “Le Commissioni di giustizia al lavoro”, in L’Unità, 28 aprile 1945.
136 “Centinaia restano da prendere ancora annidiati nelle case o ricomparsi in strada sotto i travestimenti più impensati. Tenete gli occhi aperti. Segnalateli subito ai Comandi”, in “Un collaborazionista”, Ibidem, 11 maggio 1945.
137 “Bisogna stare in guardia, bisogna impedire che questa gente giunga a infiltrarsi nei partiti antifascisti”, in “Mimetizzazioni”, Ibidem, 12 maggio 1945.
138 “Punire i collaborazionisti”, Ibidem, 30 aprile 1945.
139 “alla pressione delle masse, che diventa sempre più intensa, corrisponde un risveglio, sia pure ancora insufficiente, dell’apparato giudiziario e dell’attività degli organi di polizia”, in “La questione partigiana davanti al Consiglio dei Ministri”, Ibidem, 13 maggio 1945.
140 Il fervore e lo slancio dei cittadini a partecipare alla punizione dei fascisti è testimoniato dalla mole della documentazione reperita. Numerosi sono gli incartamenti conservati all’Archivio dell’Istituto INSMLI di Sesto San Giovanni in cui sono conservate centinaia di denunce e segnalazioni. Cfr. Archivio INSMLI, Fondo Cln Alta Italia, b. 49, fasc. 606, 607, 608, b. 51, fasc. 679, b. 52, fasc. 688, b. 58 fasc. 765, b. 59, fasc. 787 e 789; Fondo Cln città di Milano, b. 3, fasc. 19. Lo stesso dato è messo in luce per l’Emilia Romagna da Mirco Dondi in M. Dondi, La lunga liberazione, p. 41.
141 Archivio INSMLI, Fondo Cln Alta Italia, busta 59, fasc. 787.
142 Ivi
143 Ivi
144 INSMLI, Fondo Clnai, b. 49, fasc. 606.
145 Corsivo suo.
146 INSMLI, Fondo Clnai, b. 49, fasc. 606.
147 INSMLI, Fondo Clnai, b. 59, fasc. 793.
Lucia Reggiori, Collaboratori e collaborazionisti a Salò: i processi per collaborazionismo nelle sentenze della Corte d’assise straordinaria di Milano (1945-1947), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2014

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Era quindi essenziale non destabilizzare i tedeschi appena sconfitti

Le stragi e le uccisioni commesse dai nazifascisti nel comune di Massarosa sono rimaste impunite, come del resto la grande maggioranza di quelle avvenute per mano tedesca e italiana nella penisola durante la Seconda guerra mondiale.
La storia delle indagini e dei processi a carico dei colpevoli – in pratica conclusasi nel gennaio del 1960 con il provvedimento di «archiviazione provvisoria» di tutti gli atti processuali relativi alle stragi – è lunga e complessa, ma è doveroso accennarne almeno le parti salienti.
Le indagini iniziarono già prima della fine della guerra, con il punto di partenza che è possibile far risalire alla dichiarazione di Mosca del 31 ottobre – 1° novembre 1943. Con essa gli Alleati stabilirono che coloro accusati di crimini di guerra sarebbero stati giudicati dai tribunali dei paesi nel quale essi avevano commesso i crimini. Pochi giorni prima era stata istituita una United Nations War Crimes Commission, composta dai rappresentanti di 17 nazioni alleate, e avente il compito di raccogliere documentazione sui crimini di guerra. Iniziò i lavori l’11 gennaio 1944 a Londra <669.
Il caso italiano presentava alcuni problemi particolari, in quanto si trattava di una nazione nemica sconfitta che aveva commesso essa stessa crimini di guerra, ma che adesso si trovava sotto la brutale occupazione del vecchio alleato.
Ciononostante con il decreto ministeriale del 26 febbraio 1945 il governo Bonomi nominava una «Commissione Centrale per l’accertamento delle atrocità commesse dai tedeschi e dai fascisti dopo il 25 luglio 1943», presieduta dal liberale Aldobrando Medici-Tornaquinci, sottosegretario di Stato del ministero dell’Italia Occupata. Nel maggio dello stesso anno la commissione entrò in contatto con le autorità alleate per stabilire una linea di condotta e le fu permesso di visionare i risultati delle indagini anglo-americane, anche se non sarebbero state concesse persone in stato di arresto <670. Per il momento evidentemente pesava ancora lo status di nazione sconfitta.
In agosto gli alleati, dopo la stesura del Report on German Reprisials for Partisan Activity in Italy <671, proposero di celebrare due grandi processi. Il primo relativo alla strage delle Fosse Ardeatine e il secondo che avrebbe visto imputati i comandanti d’armata, di corpo e di divisione per aver organizzato la grande rete di rappresaglie dal giugno al settembre del 1944. Entrambi questi procedimenti sarebbero stati condotti da autorità militari britanniche, mentre a quelle italiane veniva concesso di processare i gradi più bassi. La questione, nascosta dalla motivazione che gli italiani non sarebbero stati in grado di portare avanti processi troppo complessi, era in realtà politica. Se si fosse permesso alle autorità italiane di processare gli alti gradi dell’esercito tedesco, si sarebbe legittimata la richiesta di estradizione di militari italiani accusati di crimini di guerra in paesi quali la Jugoslavia e la Grecia. Questo veniva giudicato inaccettabile dagli Alleati perché avrebbe minato il morale e la fiducia delle FF.AA. italiane, ora cooperanti con quelle alleate <672.
Con l’anno successivo gli Alleati modificarono leggermente la loro linea di condotta e decisero di procedere con un processo per la strage delle Fosse Ardeatine e con uno al singolo feldmaresciallo Kesselring. Quest’ultimo, vista la caratura dell’imputato, avrebbe assunto un ruolo simbolico molto importante, ma un procedimento penale a carico di una decina o più di alti ufficiali della Wehrmacht e delle SS avrebbe avuto un ben altro impatto. Questa decisione segnò una svolta nella politica giudiziaria alleata <673. Kesselring venne processato a Venezia tra il febbraio e il maggio del 1947 e condannato a morte. Nello stesso anno altri processi minori videro condannati il generale Edward Crasemann,
comandante della 26. Panzer-Division (condannato a 10 anni di reclusione) e il generale Max Simon, comandante della 16. SS-Panzergrenadier-Division, «Reichsführer-SS» (condannato a morte) <674. È significativo che sia Kesselring che Simon vennero quasi immediatamente graziati.
Questi furono gli ultimi processi ad alti ufficiali tedeschi portati avanti da corti militari britanniche. Il clima politico era infatti cambiato e la guerra fredda era alle porte. In questo contesto la Germania occidentale assumeva un ruolo molto importante nel nuovo assetto europeo, trovandosi in prima linea di fronte alla nuova minaccia sovietica. Era quindi essenziale non destabilizzare i tedeschi appena sconfitti, sottoponendoli a lunghi e laceranti processi che avrebbero riaperto le ferite di una guerra persa <675.
La palla adesso passava alle autorità italiane, le quali aprirono una stagione di processi durata una quindicina d’anni, ma che vide solamente 13 sentenze. I procedimenti più importanti riguardarono Herbert Keppler e cinque tra ufficiali e sottufficiali per la strage delle Fosse Ardeatine; Jospeph Strauch, responsabile della strage del Padule di Fucecchio, e Walter Reder, imputato per una notevole serie di crimini <676. Questa stagione di processi si concluse in pratica con la sentenza a carico di Reder, pronunziata il 31 ottobre 1951. Fino agli anni ’90 verranno infatti portati avanti soltanto altri due procedimenti – uno del 1952 e uno nel 1962 -, per di più contro imputati latitanti <677.
La parola fine ai processi venne definitivamente pronunciata dal Procuratore Generale Militare Enrico Santacroce con la sua «archiviazione provvisoria» del 14 gennaio 1960. Con questo provvedimento, assolutamente privo di significato giuridico, Santacroce di fatto obliterò quasi 700 fascicoli inerenti a crimini di guerra commessi in Italia. Le motivazioni che portarono il Procuratore Generale a questa decisione furono in buona parte additabili alla «ragion di stato», cioè alla necessità di evitare alla Germania, che in quel periodo di grave tensione internazionale con il blocco orientale stava ricostruendo il suo esercito. Accanto ad essa c’era l’imbarazzo, da parte del governo italiano, di dover da una parte richiedere l’estradizione di cittadini tedeschi, mentre al contempo negare quelle di presunti criminali di guerra italiani avanzate da paesi stranieri quali la Jugoslavia e la Grecia <678. Ulteriori motivazioni possono essere ricondotte al coinvolgimento con il ventennio fascista che avevano avuto vari esponenti di punta nella gestione dell’archiviazione – quali Santacroce stesso -, al reclutamento da parte dei servizi segreti occidentali di alcuni dei vecchi criminali di guerra nazisti e, in ultimo, dalla volontà di non incrinare i rapporti con la Repubblica Federale Tedesca, che si stava dimostrando un ottimo partner commerciale per l’industria italiana in piena ripresa <679.
[NOTE]
669 Relazione di minoranza della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, p. 57.
670 Pezzino, Guerra ai civili, cit., pp. 27-28.
671 In questo rapporto venivano considerati privi di qualsiasi legittimità la cattura indiscriminata di innocenti, l’incendio di paesi e l’uccisione di anziani, donne e bambini.
672 Pezzino, Guerra ai civili, cit., pp. 29-30.
673 Ivi, 32-33.
674 Relazione di minoranza, cit., pp. 137-138.
675 Ivi, p. 138.
676 Ivi, paragrafo 12.
677 Ivi, p. 183.
678 Ivi, p. 423.
679 Ivi, p. 424.
Jonathan Pieri, militari, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014

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2025-06-24

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All’interno della setta brigatista, iniziarono a manifestarsi i primi veri disaccordi

In seguito al sequestro e alla morte di Moro, le BR continuarono gli attacchi, colpendo funzionari dell’antiterrorismo e continuando la campagna contro il trattamento carcerario dei prigionieri, uccidendo Girolamo Tartaglione, direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia e due agenti di polizia addetti alla sorveglianza esterna del carcere Le Nuove di Torino: Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu. Per tutto il 1978 nelle grandi fabbriche del nord Italia, le Brigate Rosse agirono contro le gerarchie e i dirigenti industriali: morirono Pietro Coggiola, capofficina torinese, e Sergio Gori, vicedirettore del Petrolchimico di Marghera (VE); l’omicidio di Gori, il 19 gennaio 1980, fu l’ultima azione delle Brigate Rosse inserita nel contesto di fabbrica. L’uccisione del sindacalista della CGIL Guido Rossa, avvenuta il 24 gennaio 1979, marcò l’inizio di un inesorabile declino delle Brigate Rosse: in quel contesto uscirono dall’organizzazione sette militanti, che confluirono nel Movimento Comunista rivoluzionario. Nel corso dell’estate del ’79, le BR, nel tentativo di far evadere i suoi militanti incarcerati all’Asinara, fecero pervenire all’Esecutivo brigatista un documento di 130 pagine in cui venivano esposte le tesi politiche che avrebbero dovuto indirizzare l’attività dopo il sequestro Moro.
Tra il giugno 1978 e la primavera 1980 venne condotta una campagna contro gli apparati dell’antiterrorismo, durante la quale vennero uccisi 12 militari di vario grado. Nel febbraio del 1980 venne arrestato a Torino Patrizio Peci, uno dei maggiori pentiti dell’organizzazione, che collaborando con le forze dell’ordine facilitò centinaia di arresti in tutta Italia. L’episodio scatenò anche la vendetta per la campagna contro l’antiterrorismo, per cui i carabinieri uccisero quattro brigatisti.
All’interno della setta brigatista, iniziarono a manifestarsi i primi veri disaccordi riguardo al futuro dell’organizzazione e su come procedere con le loro attività: l’Esecutivo brigatista non si trovava d’accordo con le tesi politiche esplicitate nel documento dell’Asinara, per cui vennero richieste le dimissioni dei suoi componenti; i principali dissidi riguardavano la questione operaia e, appunto, il problema della liberazione dei prigionieri. Per via delle contraddizioni interne all’organizzazione, per la prima volta le BR non furono presenti alla reazione della Fiat contro le vertenze operaie, che portò alla cassa integrazione di migliaia di operai e un centinaio di licenziamenti. Diverse colonne, dissentendo con Direzione Strategica, cominciarono ad agire in modo autonomo, e nel 1980 si verificarono le prime separazioni ufficiali. La prima colonna a distaccarsi dalla leadership brigatista fu la “Colonna Walter Alasia” il cui nome era un omaggio a un compagno caduto in azione a Milano: gestendo autonomamente l’omicidio dell’industriale Renato Briano, questa frangia uscì dal controllo politico dell’esecutivo Brigatista, separazione che venne ufficializzata nel dicembre del 1980 <107.
Nonostante questi conflitti interni, i media continuarono a riportare notizie sugli eventi legati alle Brigate Rosse. Nel dicembre 1980, fu ucciso il generale dei Carabinieri Enrico Galvagli, mentre il mese successivo si concluse il sequestro del Magistrato D’Urso in cambio della chiusura delle carceri speciali sull’isola dell’Asinara: fu proprio questa la campagna conclusiva del percorso unitario delle Brigate Rosse, nonostante i successivi tentativi di ripresa. Tuttavia, nell’aprile 1981, l’arresto di Mario Moretti, il leader incontrastato delle Brigate Rosse dal 1976, pose fine alle ultime speranze di un nuovo avvicinamento tra i brigatisti. Tutte le azioni successive, tranne il sequestro e l’assassinio dall’ingegnere Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimico di Mestre, rivendicati dai brigatisti, non furono più attribuite alla famosa sigla BR.
Nel corso degli anni successivi, vennero effettuati tentativi di riconciliazione tra i vari gruppi dissidenti, ma senza risultati significativi. Da quel momento in poi, le Brigate Rosse come un’organizzazione armata unitaria e diffusa su gran parte del territorio nazionale cessarono di esistere, dividendosi in BR-Walter Alasia, BR-Partito Guerriglia e BR-Per la Costruzione del Partito Comunista Combattente, che continuarono autonomamente il percorso di lotta armata.
Nel 1986 iniziò il cosiddetto processo Moro-ter, che pose fine alla storica organizzazione delle Brigate Rosse e portò alla luce molti degli eventi discussi in precedenza.
Nel gennaio del 1987, una serie di “lettere aperte” firmate da diversi militanti segnarono la conclusione dell’esperienza unitaria delle Brigate Rosse. Queste lettere enfatizzarono l’avvio di una nuova fase di lotta, focalizzata sulla risoluzione politica del conflitto degli anni Settanta, sulla liberazione di tutti i prigionieri detenuti a seguito delle azioni delle BR, e sulla facilitazione del ritorno degli esuli nel contesto sociale e politico italiano. Questo momento rappresentò una svolta significativa nella storia delle Brigate Rosse, poiché segnò la fine ufficiale dell’organizzazione e il passaggio a iniziative volte a raggiungere obiettivi politici attraverso mezzi pacifici <108.
[NOTE]
107 Bartali R., 2004, “L’inizio della fine: le BR dal 1978 al 1987”, http://www.robertobartali.it/cap07.htm
108 Bartali R., 2004, “L’inizio della fine: le BR dal 1978 al 1987”, http://www.robertobartali.it/cap07.htm
Lidia Puppa, La violenza politica degli anni di piombo: un confronto tra terrorismo rosso e terrorismo nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2022-2023

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Andrea Lazzarottolazza
2025-05-22

Un condivisibile editoriale, non firmato, dalla redazione di Forensics Group:

"La non è un reality show: è un processo complesso, che richiede tempo, prove e rispetto per le persone coinvolte."

forensicsgroup.eu/2025/05/gius

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