Recensione “La Zona d’Interesse”: Il Male Quotidiano
Anche il male ha una sua quotidianità, una sua routine, una vita apparentemente normale. Jonathan Glazer ci dimostra che un’atrocità può avere molte forme e può essere perfettamente mostrata pur trasferendo tutta la sua agghiacciante potenza dall’occhio alle orecchie dello spettatore. Spesso, se non sempre, il cinema ha raccontato la Shoah sottolineando la violenza, la brutalità, la sofferenza. Un orrore che il cinema non poteva e non doveva ignorare. La Zona d’Interesse parte dal presupposto contrario: ignorare visivamente l’atrocità per rendere ancor più dirompente il suo messaggio. Glazer infatti non ha alcun bisogno di portare la macchina da presa al di là di quell’enorme muro di cemento, ci bastano i suoni: grida, cani che abbaiano, spari, mentre sullo schermo intanto vediamo annaffiare i fiori o bambini che giocano.
La Zona d’Interesse non fa altro che raccontare la quotidianità della famiglia di Rudolf Hoess e la routine, apparentemente tranquilla, in un ridente villino attiguo al campo di concentramento di cui lo stesso Hoess è il comandante: Auschwitz. Le giornate scorrono normalmente, tra faccende domestiche e momenti di intimità, mentre al di là delle mura di casa c’è, come detto, ben altro muro, quello del campo, dal quale provengono continuamente suoni agghiaccianti, che restituiscono tutta la sofferenza a cui ci ha preparato la Storia, oltre che lo stesso immaginario cinematografico (da Schindler’s List a La Vita è Bella, solo per citarne un paio). Così vediamo tuffi in piscina e bambini che giocano, mentre intorno percepiamo, letteralmente, l’inferno. Le uniche concessioni visive di Glazer al dolore sono il fumo di una ciminiera e del filo spinato posto in cima al muro, oltre ad una sequenza finale che non è il caso di accennare qui.
Non ci sono svolte narrative di particolare rilievo, non ci sono personaggi che si rendono conto dell’orrore (o meglio, uno forse sì, ma non incide sulla narrazione in senso stretto), c’è semplicemente la banalità del male, prendendo a prestito la definizione coniata da Hanna Arendt. Il regista, tra l’altro, ha piazzato diverse macchine da presa dentro l’abitazione della famiglia Hoess per poi manovrarle da remoto, in modo tale che gli attori si potessero muovere liberamente all’interno della scena, illuminata soltanto da luce naturale. Un film stupendo, in senso prettamente artistico, ma soprattutto agghiacciante: nel bene (il Cinema) e nel male (la Storia).
#auschwitz #banalitàDelMale #Cinema #commenti #daVedere #diCheParla #film #glazer #laZonaDInteresse #recensione #significato #spiegazione #storia #trama