#EruzioneVesuvio

2025-11-18

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🔎 Il 21 e 22 novembre studiosi da tutto il mondo si riuniscono all’Antiquarium di Boscoreale per discutere metodi, fonti e nuove evidenze sulla data effettiva dell’eruzione.

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storiearcheostorie.com/2025/11

2025-09-10

A Pompei scoperta la “panchina d’attesa” davanti alla Villa dei Misteri: i clienti aspettavano il padrone di casa tracciando graffiti | IL VIDEO

Elena Percivaldi

Non erano i visitatori in fila per ammirare i celebri affreschi dionisiaci, come accade oggi nelle giornate a ingresso gratuito, ma i clientes del padrone di casa ad affollare la strada davanti alla Villa dei Misteri a Pompei. Gli ultimi scavi condotti lungo il fronte nord-occidentale del complesso hanno riportato alla luce una panchina in cocciopesto posizionata proprio davanti al portone principale, sulla cosiddetta Via Superior.

Veduta dello scavo della Villa dei Misteri. Sotto, la foto zenitale (foto: ©Parco Archeologico di Pompei)

Un dettaglio che apre una finestra sorprendente sulla vita sociale e politica dell’antica Pompei: la panchina serviva ad accogliere coloro che, secondo l’usanza della salutatio, si recavano al mattino dal loro patrono per chiedere favori, prestiti o aiuto giudiziario in cambio di sostegno politico.

La Villa dei Misteri e la pratica della salutatio

La panca affacciata sulla via Superior (in basso in vista frontale) (foto: ©Parco Archeologico di Pompei)

Celebre in tutto il mondo per il ciclo di affreschi a tema dionisiaco scoperto nel 1909-10, la Villa dei Misteri era una delle residenze più prestigiose dell’area suburbana di Pompei. Qui il padrone riceveva clienti e supplici, mentre i più sfortunati – braccianti, mendicanti, viaggiatori diretti verso Boscoreale – potevano attendere anche per ore senza la certezza di essere ricevuti.

«Qualcuno, durante l’attesa, lasciava graffiti sui muri – racconta il direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – piccoli segni, date, forse nomi: un gesto di noia e di presenza che oggi possiamo ancora leggere».

Le panchine, spiega, erano un vero e proprio “biglietto da visita”: più erano affollate, maggiore era il prestigio del dominus.

Uno dei graffiti (foto: ©Parco Archeologico di Pompei)

Gli scavi recenti e le nuove scoperte

Le indagini, riavviate grazie alla demolizione di costruzioni abusive che gravavano sulla villa, hanno portato alla luce non solo la panca, ma anche il monumentale ingresso con arco e paracarri, ambienti decorati in terzo stile pompeiano con raffinati fondi neri e gialli, e una cisterna collegata a un articolato sistema idrico.

Straordinaria anche la documentazione stratigrafica dell’eruzione del 79 d.C.: pomici di caduta, flussi piroclastici e persino un paleosuolo agricolo sistemato “a conchette”, che testimonia le tecniche di coltivazione e gestione del paesaggio in età romana.

L’eccezionale sequenza stratigrafica dell’eruzione (foto: ©Parco Archeologico di Pompei)

Un progetto di ricerca e tutela

Lo scavo fa parte di un programma più ampio di tutela e valorizzazione, condotto dal Parco Archeologico di Pompei in sinergia con la Procura di Torre Annunziata. L’obiettivo è duplice: contrastare gli scavi clandestini e completare le ricerche iniziate oltre un secolo fa da Amedeo Maiuri, restituendo finalmente la parte ancora sepolta della villa, compreso il quartiere servile.

L’antica planimetria della Villa

«Ciò che un tempo era un privilegio di pochi – osserva Zuchtriegel – oggi è accessibile a tutti, anche gratuitamente ogni prima domenica del mese».

La scoperta è stata pubblicata sull’E-Journal degli scavi di Pompei, consultabile in OpenAccess (disponibile QUI).

IL VIDEO | Scoperta “panchina d’attesa” davanti alla Villa dei Misteri di Pompei, parla il direttore Zuchtriegel

https://youtu.be/5l0GgrKmNtk

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Scavi archeologici alla Villa dei Misteri a Pompei, con attrezzature e operai in campo.Vista aerea della Villa dei Misteri a Pompei, mostrando le recenti scoperte archeologiche e le strutture circostanti.Vista del pavimento in pietra della Villa dei Misteri a Pompei, con un'area scavata e strumenti di misura visibili.
2025-03-15

Pompei, uno studio sui pigmenti svela i colori della città vesuviana

Elena Percivaldi

Pompei, si sa, era un mondo tutto a colori. Lo dimostrano gli sgargianti affreschi che adornavano le ricche dimore della città vesuviane, riportati alla luce durante gli scavi – gli ultimi, spettacolari, nella cosiddetta Casa del Tiaso – ed esaltati dai restauri. A raccontare l’affascinante mondo dei pigmenti pompeiani è lo studio appena pubblicato sul Journal of Archaeological Science, che ha svelato dettagli inediti e straordinari sulle tecniche pittoriche degli antichi romani. La ricerca, condotta dal Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con il gruppo di Mineralogia e Petrografia dell’Università degli Studi del Sannio e il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse dell’Università Federico II di Napoli, ha analizzato i pigmenti pompeiani dal III secolo a.C. fino all’eruzione del 79 d.C., esplorando la ricca tavolozza cromatica utilizzata dagli artisti attivi nella città vesuviana.

(C)Parco Archeologico di Pompei

La gamma dei colori di Pompei

Tra i pigmenti studiati, tutti documentati nei contesti di scavo, figurano materiali naturali come l’ematite e sintetici come il celebre blu egizio (CaCuSi₄O₁₀), coprendo una gamma che spazia dai rossi intensi ai blu profondi. L’approccio analitico non invasivo, basato su microscopia ottica e spettroscopia Raman portatile, ha permesso di preservare i reperti mentre si identificavano le loro composizioni chimiche. Gli autori hanno scoperto che i pittori romani miscelavano pigmenti come il rosso piombo (minio, Pb₃O₄) e il bianco di calcio con proporzioni precise, ottenendo sfumature personalizzate. Ad esempio, nello studio della stanza rossa della Casa del Tiaso, è emersa una miscela di rosso piombo con tracce di cinabro (HgS), un pigmento costoso che denota un’attenzione al lusso.

(C)Parco Archeologico di Pompei

Un risultato straordinario è l’identificazione di un grigio innovativo, prodotto con barite (BaSO₄) e alunite (KAl₃(SO₄)₂(OH)₆), qui documentato per la prima volta nel Mediterraneo antico. Gli autori suggeriscono che questo pigmento, rilevato in campioni della Regio V, potrebbe derivare da una lavorazione locale di minerali vulcanici, evidenziando l’ingegnosità degli artigiani pompeiani.

Tra ricerca e restauro

(C)Parco Archeologico di Pompei

Lo studio non si limita alla scoperta scientifica, ma supporta il restauro degli affreschi. Il direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel, sottolinea: “La conoscenza della composizione chimica, come la presenza di rame (Cu) nel blu egizio o di piombo (Pb) nel rosso, è cruciale per interventi conservativi mirati”. Le analisi sulla megalografia dionisiaca di recente scoperta, ad esempio, hanno confermato l’uso di blu egizio mescolato a terre verdi, offrendo dati cruciali per preservarne i colori originari. Questo approccio, coordinato con i restauri in corso, rappresenta un’eccellenza italiana nella tutela del patrimonio.

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I pigmenti di Pompei: testimonianze di un’arte raffinata

I risultati evidenziano una padronanza tecnica avanzata: il blu egizio, prodotto riscaldando silicati di rame a temperature tra 850 e 1000°C, era spesso diluito con fillers come il calcite per ridurre i costi, mentre il rosso piombo mostrava tracce di impurità vulcaniche, probabilmente legate all’ambiente di Pompei. Il grigio a base di barite, con un contenuto di bario quantificato tra il 5-10% nei campioni analizzati, suggerisce una sperimentazione locale, forse ispirata ai depositi minerali del Vesuvio.

(C)Parco Archeologico di Pompei

Dalla scienza alla storia

Disponibile su ScienceDirect (a questo link), lo studio apre dunque nuove prospettive per gli scavi in corso, il restauro e la conservazione a lungo termine. Le tecniche non invasive, come la spettroscopia XRF portatile, garantiscono un’analisi dettagliata senza compromettere i reperti, mentre i dati raccolti arricchiscono il dialogo tra archeologia e scienza. Pompei si conferma un laboratorio vivente, dove ogni pietra – e ogni pigmento – racconta davvero una storia.

Per saperne di più:

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2025-02-27

Ercolano, 79 d.C.: così la nube di cenere bollente del Vesuvio trasformò il cervello di un uomo in vetro

Elena Percivaldi

Tra le tante scoperte archeologiche legate all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., una delle più significative è senza dubbio quella relativa al materiale organico vetrificato conservatosi nel cranio di una delle vittime di Ercolano. I resti del cervello, appartenenti a un giovane adulto di sesso maschile trovato disteso in un letto all’interno del Collegium Augustalium, rappresentano un caso unico nel suo genere.

Sebbene la scoperta sia stata già resa nota da tempo (era stata pubblicata su PLOS One nell’ottobre 2020 ), il fenomeno viene ora descritto e analizzato per la prima volta in maniera esaustiva da un team italo-tedesco di ricercatori guidato dal vulcanologo Guido Giordano del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre. Lo studio, appena pubblicato su Scientific Reports in Open Access, dimostra come il fenomeno abbia richiesto condizioni di temperatura e raffreddamento specifiche, mai documentate prima d’ora.

L’immagine dei neuroni dallo studio pubblicato su Plos One ©Petrone 2020

Come si forma il vetro organico?

In natura, la formazione del vetro è rara, poiché richiede un raffreddamento rapidissimo dallo stato liquido per impedire la cristallizzazione. La trasformazione di materiale organico in vetro è ancora più insolita, dato che i tessuti umani sono prevalentemente composti da acqua, che normalmente evapora o si degrada a temperature elevate.

Il frammento vetrificato del cervello rinvenuto a Ercolano (Petrone copyright 2020)

Le analisi condotte dal team multidisciplinare italo-tedesco guidato da Giordano hanno dimostrato che il cervello della vittima di Ercolano è stato esposto a temperature di almeno 510°C, seguite da un raffreddamento rapidissimo, permettendo la formazione del vetro organico e la preservazione delle microstrutture cerebrali.

Lo studio multidisciplinare

Gli scienziati hanno impiegato tecniche avanzate come la microscopia elettronica, la spettrometria Raman e analisi calorimetriche per comprendere il processo di vetrificazione. I risultati indicano che il materiale cerebrale non si sarebbe potuto vetrificare se l’individuo fosse stato riscaldato esclusivamente dai flussi piroclastici che hanno seppellito Ercolano, “poiché i depositi di questi flussi, le cui temperature non hanno superato i 465°C, si sono raffreddati molto lentamente e avrebbero totalmente distrutto il materiale organico, a meno che esso non si fosse già trasformato in vetro”.

Collegio degli Augustali (copyright: Petrone 2020)

La scoperta del cervello di Ercolano e il suo impatto sulla scienza

Secondo il prof. Guido Giordano, la chiave del processo risiede nella dinamica dell’eruzione. Dopo le prime ore, i flussi piroclastici hanno colpito Ercolano con nubi di cenere diluita, letali per la loro temperatura superiore ai 510°C. Tuttavia, l’impatto termico fu abbastanza breve da lasciare intatto il tessuto cerebrale, che si raffreddò rapidamente, innescando la vetrificazione. Solo successivamente, nella notte, la città fu completamente sepolta dai depositi vulcanici più densi.

Video – Lapilli sotto la cenere del Parco Archeologico di Ercolano: i neuroni del cervello vetrificato.

“Sulla base delle nostre scoperte e dell’analogia con moderne osservazioni sulle eruzioni vulcaniche – racconta il prof. Guido Giordano – ipotizziamo che nel 79 d.C. si sia verificato questo scenario. Dopo le prime ore di eruzione che produssero la colonna eruttiva osservata e descritta da Plinio il Giovane, nella notte del 24 agosto (o forse 24 ottobre come recenti scoperte suggeriscono) iniziarono i primi flussi piroclastici che progressivamente distrussero Ercolano. Il primo di essi raggiunse la città solo con la sua parte di nube di cenere diluita ma caldissima, ben oltre i 510 gradi Celsius. Lasciò a terra pochi centimetri di cenere finissima, ma l’impatto termico fu terribile e mortale, seppur sufficientemente breve da lasciare – almeno nell’unico caso del ritrovamento nel Collegium Augustalium – resti di cervello ancora intatti.

La nube deve essersi poi altrettanto rapidamente dissipata, consentendo a questi resti di raffreddarsi così rapidamente da innescare il processo di vetrificazione. Solo più tardi nella notte la città fu completamente seppellita dai depositi dei flussi piroclastici.

Questo scenario è di grandissima importanza non solo per la ricostruzione storica e vulcanologica, ma anche ai fini di protezione civile, perché definisce un’altissima pericolosità anche per flussi molto diluiti che non hanno grandi impatti sulle strutture ma che possono essere letali per le loro temperature, la cui conoscenza può tradursi in efficaci misure di prevenzione e mitigazione”.

Veduta del sito archeologico di città di Ercolano (Foto P.P. Petrone)

Il dott. Danilo Di Genova ha sottolineato l’importanza delle analisi sperimentali che hanno consentito di definire la storia termica del materiale:

“Per comprendere il processo di vetrificazione abbiamo condotto delle analisi sperimentali riportando i frammenti di cervello alle temperature a cui si sono trasformati in vetro con cicli di riscaldamento e raffreddamento a velocità variabili con apparecchiature molto sofisticate, grazie ad una collaborazione tra CNR-ISSMC, il Dipartimento di Scienze di Roma Tre e la Technische Universität Clausthal”.

Dal canto suo, il prof. Pier Paolo Petrone (Università di Napoli Federico II) sottolinea l’importanza del ritrovamento:

“Un materiale cerebrale e spinale come questo, vetrificato, non solo non è mai stato trovato in nessun’altra delle centinaia di scheletri di vittime dell’eruzione vesuviana del 79 d.C., ma costituisce l’unico esempio del genere conosciuto al mondo. È probabile che le particolari condizioni verificatesi all’inizio dell’eruzione nel luogo di rinvenimento, nonché la protezione delle ossa del cranio e della colonna vertebrale dell’individuo abbiano creato le condizioni perché il cervello e il midollo osseo sopravvivessero all’impatto termico, permettendo poi di formare questo vetro organico unico”.

Le implicazioni della ricerca sulle emergenze di oggi

Il caso del cervello di Ercolano, davvero, straordinario apre nuove prospettive nella bioarcheologia e nella comprensione delle interazioni tra alte temperature e tessuti organici. La scoperta, però, non solo offre un’opportunità unica per lo studio dei processi di vetrificazione organica, ma come ha chiarito il prof. Giordano, ha anche rilevanza per la vulcanologia e la protezione civile. La ricerca dimostra che anche nubi piroclastiche diluite possono essere letali e portare a fenomeni fisici estremi. Comprendere la loro dinamica potrebbe migliorare la gestione del rischio vulcanico e la prevenzione di catastrofi future.

Video – La preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa.

Il team coinvolto nelle ricerche

Del gruppo di ricerca, coordinato da Guido Giordano (Università Roma Tre), fanno parte gli studiosi Alessandra Pensa (Roma Tre e Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Italia), Alessandro Vona (Roma Tre, Italia), Danilo Di Genova (CNR-ISSMC Istituto di Scienza, Tecnologia e Sostenibilità per lo sviluppo dei Materiali Ceramici, Italia), Raschid Al-Mukadam (Technische Universität Clausthal, Germania), Claudia Romano (Roma Tre, Italia), Joachim Deubener (Technische Universität Clausthal, Germania), Alessandro Frontoni (Roma Tre, Italia) e Pier Paolo Petrone (Università di Napoli Federico II, Italia).

Per saperne di più:

Immagine in apertura:  Lo scheletro del guardiano nel suo letto di legno presso Collegium Augustalium, nel Parco Archeologico di Ercolano. (particolare). Foto di P.P. Petrone

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