Il “Memoriale di Yalta” non fu un tema di ampio dibattito nel mondo intellettuale statunitense
L’opera in due volumi curata da Griffith e pubblicata nel 1964 intitolata “Communism in Europe. Continuity, Change, and the Sino-Soviet Dispute” faceva parte di una collana intitolata “Studies in International Communism”, pubblicata dalla casa editrice del MIT, e legata al lavoro del Center for International Studies attivo al suo interno. Nel momento in cui vennero pubblicati, la situazione del CIS era ancora stabile. La Guerra fredda era già entrata, tuttavia, in una fase nuova. Così, mentre veniva avviato il processo di Distensione e mentre nel panorama dei Soviet Studies appariva più di un’analisi sulla frattura sino-sovietica, un evento era destinato a mutare la storia italiana e a generare discussioni, sebbene timide, nella comunità transatlantica che si dedicava allo studio del PCI: la morte di Togliatti e la pubblicazione, sulle colonne del settimanale comunista “Rinascita”, del testamento intellettuale del leader comunista, passato alla storia come il “Memoriale di Yalta”, nel settembre del 1964. In quel momento, all’interno del progetto “Studies in International Communism” guidato da Griffith, venne lanciato un progetto sul comunismo europeo, perlopiù grazie all’impegno di uno degli affiliati della prima ora del centro, Donald L.M. Blackmer, che stava contestualmente iniziando la ricerca per la sua tesi di dottorato sui legami internazionali del PCI. Blackmer si unì al centro di ricerca di Cambridge poco dopo la sua fondazione, in un primo momento per ricoprire l’incarico di assistente del direttore, Lucien Pye. Il suo primo lavoro con il CIS fu la curatela del volume “The Emerging Nations and the Politics of the United States”, con l’economista Max Millikan. Si trattava di un volume scritto a venti mani, un esperimento ambizioso e forse non perfettamente riuscito di dieci autori diversi del centro. Tradotto da Il Mulino nel 1962, il libro è in realtà piuttosto breve, e risulta quasi un manifesto delle declinazioni del concetto di “modernizzazione”: si fa ampio uso di categorie di “sviluppo” e “sottosviluppo”, “tradizione”, e naturalmente “transizione” alla modernità, sulla base dell’opera di Rostow “The Stages of Economic Growth”. Probabilmente, l’aspetto più innovativo del lavoro consiste nell’inserimento delle strategie politiche che gli Stati Uniti avrebbero dovuto adottare nei confronti delle “nazioni emergenti”: elargizione di aiuti economici, assistenza militare, informazione, con esplicito richiamo alla pletora di strumenti messi in campo con il piano Marshall in Europa. L’obiettivo era quello di favorire la formazione di élite democratiche, che «sappiano mantenere un governo efficiente e ordinato senza far ricorso a metodi totalitari […], che siano disposti a cooperare nelle misure internazionali di controllo economico, politico e sociale» <177. L’obiettivo del contenimento del comunismo, scrivevano gli autori, «è chiaramente implicito negli interessi positivi, costruttivi e più fondamentali che abbiamo definito» <178. Fu proprio la pubblicazione del Memoriale di Togliatti ad aprire una prima discussione tra la comunità accademica del MIT e Giorgio Galli: il 17 settembre 1964, Blackmer scrisse una lettera indirizzata al politologo italiano. Gli chiedeva di rivedere un manoscritto, che Galli aveva inviato a Griffith per la pubblicazione, per poter fornire una chiave di lettura adeguata al revisionismo italiano alla luce della pubblicazione del segretario del PCI <179. A Blackmer faceva eco, del resto, lo stesso Griffith che riteneva superata la tesi di Galli alla luce di quelli che definiva «two major events», la diffusione del Memoriale di Togliatti e la caduta di Chruscev. Sebbene, sottolineava l’autore, “I agree with most of Italian writers, including yourself, that the testament presents little that is new in PCI writings, it is, rather, a codification of them. Nevertheless, it does go farther than Togliatti ever did before in public criticism of the Soviet Union and, more importantly, whatever may be the actual degree of novelty of its contents, it is already quite clear that its reverberation within the international Communist movement will be great” <180. In ogni caso, l’eventuale dissidio tra Galli e Griffith venne superato dal fatto che quest’ultimo, per timore di proporre analisi parziali o affrettate, decise di rimandare la pubblicazione di un volume sul revisionismo italiano. Occorre mettere in evidenza, comunque, che il “Memoriale di Yalta” non fu un tema di ampio dibattito nel mondo intellettuale statunitense. Il 1964 risulta però importante anche perché fu proprio allora che vennero effettuate le prime ricerche sul PCI da parte di studiosi che non concordavano con le interpretazioni precedenti, figlie dell’anticomunismo liberale. Donald Blackmer, che grazie al suo lavoro all’interno del MIT decise di intraprendere il programma di dottorato, scelse di redigere una tesi sul comunismo italiano. Arrivò in Italia nel 1964 per effettuare una serie di interviste, come impongono le scienze sociali. Il volume frutto di quell’esperienza italiana, intitolato “Unity in Diversity: Italian Communism and the Communist World” uscì nel 1968. Membro del CIS dal 1956, Blackmer si era formato negli studi sull’Unione Sovietica. Si era avvicinato all’accademia, peraltro, piuttosto tardi: figlio di un professore del Philips College di Andover, in Massachusetts, cresciuto in un ambiente intellettuale stimolante, aveva avuto, molto giovane, una predilezione per lo studio delle lingue straniere. Ebbe modo di viaggiare in Europa subito dopo la Seconda guerra mondiale e di vedere con i propri occhi le città francesi e inglesi distrutte dal conflitto. Conosceva già francese e tedesco prima di iniziare l’università e, da undergrad, si dedicò allo studio del russo. Laureatosi in storia e letteratura russa sotto la supervisione di Richard Pipes presso il dipartimento di Russian Studies all’Università di Harvard, fu arruolato nell’esercito americano e coinvolto in attività di Intelligence a Washington nei primi anni della Guerra fredda: si dedicava all’intercettazione e decifrazione di conversazioni telefoniche tra Berlino est e Berlino ovest. Dopo il periodo passato a lavorare per l’Intelligence in Germania, prima a Salisburgo e poi a Francoforte, venne assunto presso il CIS nel 1956 come assistente di Millikan, che era un conoscente del padre. Circa cinque anni dopo decise di cominciare un dottorato sul legame del Partito comunista italiano con il movimento comunista internazionale. L’argomento era certamente, all’epoca, di interesse del governo statunitense: i fondi che Blackmer ricevette furono tuttavia quelli del CIS, che gli consentì di passare un breve periodo in Italia per fare ricerca sul campo <181.
Effettivamente, lo studio del PCI in quei termini era piuttosto innovativo negli Stati Uniti e, nella prospettiva di chi si apprestava a diventare uno scienziato sociale, la possibilità di passare un periodo nel paese oggetto della ricerca era senz’altro allettante. In URSS, dove comunque studenti e professori statunitensi venivano accolti già da qualche anno, sarebbe stato più difficile trovare persone da intervistare, specie se politicamente attive. Grazie, dunque, al tema della sua ricerca, Blackmer si trovò in Italia, precisamente a Roma, nel 1964 e, come impone la ricerca politologica, dedicò parte del suo tempo alla raccolta di interviste. Fu la giovane studiosa Gloria Pirzio Ammassari a fargli da tramite nel panorama italiano <182. La politologa romana, reduce da un soggiorno di ricerca alla Cornell University grazie alla vincita di una borsa di studio Fulbright, lavorava a quel tempo come assistente di Joseph LaPalombara, anch’egli a Roma. Proprio quest’ultimo fece da tramite tra Blackmer e Pirzio Ammassari, che aveva numerosi contatti nel mondo sindacale della capitale, e suggerì a Blackmer di coinvolgere nello studio Alberto Spreafico, sociologo dell’Università di Firenze <183.
Le poche note raccolte durante il viaggio indicano che Blackmer ebbe contatti con Bruno Trentin, Segretario generale della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), il sindacato italiano più grande e a maggioranza comunista. Blackmer definì Trentin uomo «extraordinarily open. Honest», e aggiunse che a suo avviso parlava liberamente, esprimendo opinioni personali <184. Il politologo ebbe modo di incontrare anche Spreafico e l’intellettuale e scrittore Fabrizio Onofri. Di fede antifascista, Onofri era stato vicino ai comunisti impegnati nell’attività clandestina di opposizione al regime di Mussolini durante il ventennio. Dopo la Liberazione aveva aderito al PCI, lavorando nella Sezione propaganda e nella Commissione culturale, fino ad essere eletto membro del Comitato centrale nel 1948. All’indomani della pubblicazione del rapporto Chruscev e soprattutto dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, Onofri animò un’accesa polemica nei confronti della linea del PCI, sino a essere espulso dal partito perché considerato ormai un oppositore interno. Nel 1956 fondò, assieme a Marco Cesarini Sforza, la rivista “Tempi moderni dell’economia, della politica, della cultura” con l’obiettivo di compiere revisione metodologica dell’esperienza della sinistra. Quando Blackmer lo conobbe, si dedicava ormai pienamente a “Tempi moderni”, attraverso la quale, nel frattempo, aveva stretto rapporti con la sinistra socialdemocratica e i sostenitori del federalismo europeo <185.
Il periodo che Blackmer prendeva in esame andava dalla morte di Stalin, nel 1953, alla morte di Togliatti. Mentre era difficile sottostimare l’importanza del PCI nella politica interna italiana, Blackmer riteneva che, alla luce dei suoi studi, il presunto carattere innovativo del partito rispetto al movimento comunista internazionale andasse ridimensionato: dopo aver analizzato la continua dialettica tra unanimità e divisioni all’interno del mondo comunista, Blackmer scrisse che il vero merito dei dirigenti del PCI, in particolare del segretario Togliatti, era stato quello di aver previsto l’emergere del policentrismo, molto più che aver contribuito a crearlo <186.
Il “Memoriale di Yalta” rappresentava così uno spartiacque non tanto per la novità del contenuto, che ribadiva una linea che il partito esprimeva già da qualche tempo, quanto per il fatto che metteva ancor più chiaramente in luce il ruolo indispensabile di Togliatti nel conciliare la politica del PCI in Italia con la linea del movimento comunista internazionale. Sebbene prevedere il futuro del partito con certezza fosse impossibile, Blackmer sosteneva che studiando le diverse prospettive generazionali se ne potesse intravedere qualche tratto, quantomeno alcune delle sfide principali cui il partito sarebbe stato sottoposto di lì a breve <187.
Pochi mesi prima della pubblicazione del volume di Blackmer, la casa editrice dell’Università di Yale, la Yale University Press, pubblicò la tesi di dottorato di un altro giovane studioso, che aveva terminato il suo corso di studi all’Università di Berkeley nel 1965: “Peasant Communism in Southern Italy”, pubblicato nella versione originale nel 1967 e tradotto in italiano per Einaudi nel 1972 <188. La tesi dello studioso era stata diretta dal politologo di Yale David E. Apter, autore del famoso volume “The Politics of Modernization”, pubblicato nel 1965 <189.
[NOTE]
177 Max Millikan e Donald L.M. Blackmer (a cura di), Le nazioni emergenti e la politica degli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, 1962, p. 131. (ed. or. Max Millikan and Donald L.M. Blackmer, The Emerging Nations. Their Growth and United States Policy, Boston, Little, Brown and Company, 1961).
178 Ibidem.
179 Donald L.M. Blackmer Papers (d’ora in poi DLMB Papers), MC 715, Box 5, Italy, Misc. People, Letter from Blackmer to Galli, Sept. 17, 1964, Massachusetts Institute of Technology (d’ora in poi MIT), Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts,
180 DLMB Papers, MC 715, Box 5, Italy, Misc. People, Letter from Griffith to Galli, Oct. 21, 1964, MIT, Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts.
181 Infinite History Project MIT, Interview with Professor Donald L.M. Blackmer, 8 marzo 2016, https://www.youtube.com/watch?v=BVxJDryL-UE (ultimo accesso 24 novembre 2017).
182 Blackmer, Unity in Diversity, cit., viii.
183 DLMB Papers, MC 715, Box 5, LaPalombara, Joseph, 1964-1984, Letter from LaPalombara to Blackmer, May 18, 1964, MIT, Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts.
184 DLMB Papers, MC 715, Box 5, Italian Interview Notes 1964, Interview to Bruno Trentin, July 20, 1964, MIT, Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts.
185 DLMB Papers, MC 715, Box 5, Italian Interview Notes 1964, Conversation with LaPalombara, Spreafico and Onofri, s.d., MIT, Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts; sul rapporto di Onofri con il PCI cfr. Albertina Vittoria, Togliatti e gli intellettuali: storia dell’Istituto Gramsci negli anni Cinquanta e Sessanta, Roma, Editori Riuniti, 1992 e Ajello, Intellettuali e PCI 1944-1958, cit.
186 Blackmer, Unity in Diversity, cit., pp. 375-394.
187 Ivi, p. 412.
188 Sidney G. Tarrow, Peasant Communism in Southern Italy, New Haven and London, Yale University Press, 1967.
189 David E. Apter, The Politics of Modernization, Chicago, Chicago University Press, 1965.
Alice Ciulla, Gli intellettuali statunitensi e la “questione comunista” in Italia, 1964-1980, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2012
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