#Brigaterosse

Fermezza o trattative con le Brigate Rosse nel 1981

Ma non è certo solo il caso Gioia, o, più in generale, un diverso approccio verso il ruolo della commissione inquirente, a dividere il Psi dal Pci. Gli ultimi mesi del 1980 infatti fanno riaprire vecchie ferite che risalgono a oltre due anni prima, ai giorni del rapimento di Aldo Moro e che ancora non si sono rimarginate. Nel mese di ottobre Berlinguer si reca a deporre presso la commissione parlamentare sul caso Moro ed esprime opinioni critiche nei confronti della condotta del Psi, che aveva rotto il “fronte della fermezza” con il suo tentativo umanitario; l’Avanti definisce «sconcertante» la deposizione del segretario comunista <220. A novembre è il turno di Craxi di deporre in commissione ed il leader del Psi parla dei contatti attivati con gli esponenti di Autonomia e, pochi giorni dopo, rilascia un’intervista all’Europeo sull’argomento. Ma il momento di maggior tensione arriva alla fine del mese quando i quattro commissari del Psi, dopo una riunione con Craxi, abbandonano polemicamente la commissione. In un comunicato si spiega la condotta dei socialisti con non meglio precisate «strumentalizzazioni e violazioni di legge» nei lavori della commissione e con la divulgazione intenzionale di documenti e, soprattutto, la «tendenza a trasferire l’obiettivo dell’inchiesta, trasformando i lavori della commissione in un vero e proprio processo politico diretto contro una tesi, una condotta e una forma politica» <221. A generare le ire del Psi sembra essere stata soprattutto la richiesta da parte della procura di una copia delle deposizioni di Craxi, Landolfi, Signorile e Guiso; ire acuite quando sia la Dc che il Pci (che insieme dispongono della maggioranza dei voti) si dimostrano intenzionati ad accogliere la richiesta dei magistrati <222.
I giorni del rapimento di Aldo Moro ritornano prepotentemente alla memoria di tutti quando, nel mese di dicembre, si verifica una nuova emergenza che ripropone il dilemma tra “fermezza” e “trattativa”. Il giorno 12 del mese viene rapito il magistrato Giovanni D’Urso, presidente di sezione della Cassazione e distaccato presso il ministero di Grazia e giustizia con responsabilità sul trasferimento di detenuti. L’azione è subito rivendicata dalle Br, che chiedono per la liberazione che venga chiuso il carcere dell’Asinara in Sardegna. Questa volta, a differenza di quanto era avvenuto nel 1978, lo schieramento tra fautori della fermezza e disponibili alla “trattativa” si definisce molto rapidamente.
Nel governo i socialisti sostengono che la chiusura del carcere non costituisce una violazione di legge <223 e la si può concedere per salvare una vita umana, mentre la maggior parte dei democristiani ed i repubblicani affermano che, sebbene non rappresenti un’illegalità, la chiusura dell’Asinara significa piegarsi al ricatto, e con ciò dare legittimità ai terroristi. I magistrati in generale dimostrano grande solidarietà nei confronti di D’Urso e, coloro che manifestano un’opinione, sebbene nessuno ovviamente proponga di violare la legge, sono a favore di prendere «tutte le misure possibili» per salvare il giudice rapito <224. Il 25 dicembre Craxi rilascia una dichiarazione nella quale dice che il carcere sardo deve essere chiuso subito; si tratta di quello che Gaetano Scamarcio definisce il «blitz di Natale» <225. Due giorni dopo la vecchia prigione viene effettivamente sgombrata <226, ma il 28 vi è una rivolta nel carcere di Trani organizzata dai terroristi, che prendono in ostaggio diversi agenti di custodia. Questa volta la reazione del governo è di notevole determinazione: il giorno seguente le installazioni di Trani vengono prese d’assalto dalle unità speciali dei Carabinieri, che salvano gli agenti sequestrati e ristabiliscono l’ordine senza vittime.
La posizione del Pci è, dall’inizio, critica di ogni linea d’azione che implichi segni di arrendevolezza nei confronti dei terroristi; dopo la chiusura del carcere sardo, nel commentare le esternazioni di Pertini, il quale si dimostra decisamente contrario a trattative, un editoriale dell’Unità afferma che “…è impensabile che chi governa questo paese sia così sprovveduto […] da non capire quello che anche il più ingenuo degli italiani ha capito subito: che l’Asinara era un pretesto, che cedere su quel pretesto significava esporsi a pagare poi, e forse subito, prezzi e rischi sempre più alti, che nessuna proclamazione di “autonomia” nell’atto di cedimento avrebbe liberato il governo dal sospetto di aver accettato il terreno della contrattazione coi terroristi…” <227
Il 31 dicembre viene assassinato a Roma il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile della sicurezza esterna delle carceri e quattro giorni dopo le Br diramano un comunicato in cui dichiarano che D’Urso è stato condannato a morte, ma che lasceranno ai compagni detenuti una valutazione definitiva. In favore della trattativa ci sono, oltre al partito Radicale, i cui deputati vanno nelle carceri a parlare con i terroristi, i vertici dell’Anm e, si direbbe, la maggior parte dei magistrati. Tra di essi però non mancano segnali in senso contrario, ad esempio il discorso d’inaugurazione dell’anno giudiziario del Pg di Roma Pascalino, che invita alla fermezza <228; oppure, qualche giorno dopo, la decisione dei magistrati della sezione civile della pretura, che rigettano l’istanza del fratello del giudice rapito con la quale si chiede di ordinare ai giornali la pubblicazione dei documenti Br per uno «stato di necessità» <229; ma quando Curcio accenna alla liberazione del brigatista Gianfranco Faina, la Corte d’Appello di Firenze ne ordina subito la libertà provvisoria, attirandosi le critiche del Pci <230.
I socialisti, mentre Craxi si trova in Africa in vacanza, tengono una direzione e sembrano orientati ad evitare contatti con i brigatisti in carcere <231; poco dopo, l’8 gennaio, i terroristi detenuti a Trani affermano che daranno il loro benestare alla grazia se giornali e Tv divulgheranno documenti preparati dai brigatisti <232. Mentre diversi giornali proclamano quello che verrà definito il “black-out”, per non favorire il disegno dei terroristi, i magistrati si fanno ancora promotori di una linea meno intransigente e l’Anm promuove un incontro con la federazione della stampa per trattare l’argomento; il segretario dell’associazione, l’esponente di Magistratura democratica Senese, spiega che «la nostra posizione è che nel rispetto della legalità si debba fare tutto per salvare il collega […] La cosa peggiore che si possa fare in questo momento è trasformare il dibattito sulle decisioni da prendere in una discussione teologica sui massimi sistemi» <233.
Intanto Craxi rientra dalle vacanze e impone la linea al partito sconfessando la direzione precedente: il Psi appoggerà la campagna radicale per la pubblicazione. Ad essa aderiscono Lotta Continua, il Manifesto, L’Avanti e, in un secondo momento anche il Secolo XIX ed il Messaggero. Il 14 gennaio l’Avanti ospita una lettera dello stesso D’Urso che, dalla prigionia, chiede la pubblicazione dei documenti; il giorno seguente il magistrato viene liberato.
Dopo il rilascio il Presidente del consiglio si reca immediatamente alla Camera per fare una relazione sull’accaduto ma nel suo discorso, ben accolto da Psi, Psdi e radicali, si sforza di non accusare nessuno e non prendere parte nel dibattito tra fermezza e trattativa. I repubblicani appaiono critici <234, ma lo stesso può dirsi di importanti settori della Dc. Il Popolo cita una dichiarazione di Piccoli in cui spiega che «l’atteggiamento di fermezza è stato determinante per la tenuta contro il ricatto delle Br» e poi, illustrando la posizione dei partiti, spiega che “Il Psi ha esposto la propria posizione «in autonomia»” ricordando la polemica di Balzamo contro il Pci, accusato di «farneticare su un presunto partito del cedimento che non è mai esistito» <235. Ma qualche tempo dopo Piccoli apparirà molto più deciso; in occasione del congresso del suo partito, nei primi giorni di maggio 1982, circa la richiesta di
pubblicare documenti ricorderà che “…affermavo: siamo dinnanzi al più grave ed inaccettabile dei ricatti […] furono molti i giornali, anche di partito, che ritennero di accedere alle richieste delle Br […] Mi limito ad osservare che accedere a quella richiesta consentì alle Br di conseguire un obiettivo essenziale della loro strategia di intossicazione psicologica […] Ciò che avrebbe dovuto suggerire maggior cautela a esponenti socialisti nell’affrontare alcune delle questioni poste dalla liberazione di Ciro Cirillo…” <236
Nel caso D’Urso quindi si riprende il gioco delle parti già sperimentato quasi tre anni prima, ma con qualche differenza: a questo punto l’opinione pubblica sembra essersi assuefatta, in qualche misura, alla tesi circa le possibilità che lo Stato si impegni in qualche tipo di “trattativa” con i terroristi. Di conseguenza l’azione del Psi, accompagnata da quella dei radicali, è assai più decisa ed incisiva. L’altra differenza è che questa volta a sostenere il governo in Parlamento non ci sono più i comunisti, e quindi i democristiani si ritrovano soli ad osservare il movimentismo degli alleati socialisti e lo fanno non senza malumori e risentimento.
[NOTE]
220 “Sconcertante deposizione di Berlinguer su Moro”, Avanti del 11 ottobre 80
221 “Si sono dimessi i commissari Psi”, Avanti del 29 novembre 80
222 “Commissione Moro”, La Stampa del 28 novembre 80
223 Inoltre la dismissione dell’Asinara era già prevista e al momento del sequestro vi rimanevano solo 25 detenuti.
224 Vedi ad esempio “I magistrati contrari a scelte aprioristiche per Giovanni D Urso”, Avanti del 19 dicembre 80, o “I magistrati favorevoli a chiudere l’Asinara”, Avanti del 31 dicembre 1980, contenente un’intervista a Beria d’Argentine; vedi anche P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992 Cit. pag. 858
225 Dichiarazione citata in G. Fiori, Berlinguer Cit. Pag. 412
226 Secondo Fiori, in questa maniera, la chiusura è «data non alle Br per salvare una vita umana, ma a Craxi per salvare il governo», Ibid. Pag. 413
227 “Salvare un governo o la democrazia?”, Unità del 30 dicembre 80
228 “E’ escluso che lo stato possa cedere al terrorismo”, Popolo del 10 gennaio 81
229 “Giornali (con poche eccezioni) prevale la linea della fermezza”, Popolo del 13 gennaio 81
230 “Traspare una torbida trattativa con le BR”, Unità del 9 gennaio 81
231 G. Fiori, Berlinguer. Cit. Pag. 415
232 “33 giorni di prigionia”, La Stampa del 15 gennaio 1981.
233 “Iniziativa dei giudici verso stampa e partiti”, Avanti del 7 gennaio 81
234 “Le BR annunciano: liberiamo d’Urso”, Unità del 15 gennaio 81
235 “La maggioranza unita nella lotta al terrorismo”, Popolo del 15 gennaio 81
236 “Relazione di Piccoli al congresso”, Popolo del 3 maggio 82
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013

#1980 #1981 #1982 #Asinara #Berlinguer #BrigateRosse #carabinieri #carcere #Craxi #DC #EdoardoMFracanzani #EnricoGalvaligi #fermezza #generale #GiovanniDUrso #magistrato #PCI #Piccoli #Pri #PSI #radicali #rapimento #rilascio #trattativa #uccisione

2025-07-27

Aldo Moro, dov’era veramente? La verità di chi ha visto
-
Una ricostruzione inedita del caso Moro attraverso testimonianze oculari dimenticate che svelano il vero percorso seguito dai sequestratori.

#aldomoro #16marzo1978 #viafani #casomoro #brigaterosse #viagradoli

boomerissimo.it/2025/07/27/le-

Le BR si affermarono sulla scena proprio alla Pirelli, a Milano

Per conoscere la genesi delle Brigate Rosse «è indispensabile rivolgere alla facoltà di sociologia di Trento, dove crebbero politicamente e si imposero come quadri dirigenti Margherita Cagol e Renato Curcio, una particolare attenzione. Non solo perché il carattere di questa città può spiegare l’origine della cosiddetta componente cattolica delle BR (troppe volte ricordata, e spesso a sproposito), ma soprattutto perché il Movimento studentesco di Trento per le sue correlazioni con le lotte analoghe in altri paesi europei e per il suo carattere fortemente anticipatorio, rimane esemplare per tutto il movimento studentesco italiano» (Soccorso Rosso 1976, p. 26).
Le lotte studentesche del ’68 «producono come primo effetto il diffondersi in fabbrica di nuove forme di lotta, violente e illegali» (Soccorso Rosso 1976, p. 35). A partire dal ’69, si assiste alla nascita di numerosi gruppi, partiti o collettivi che si pongono il problema dell’organizzazione. Uno di questi è il Collettivo Politico Metropolitano (CPM) nato a Milano e formato dal CUB Pirelli, dai gruppi di studio di Sit-Siemens e IBM, da alcuni collettivi di lavoratori-studenti, da gruppi di lavoratori provenienti dall’Alfa Romeo, dalla Marelli, da militanti del Movimento studentesco e, infine, da militanti senza un organizzazione di riferimento (Soccorso Rosso 1976).
È proprio il CPM che costituirà il nucleo iniziale da cui, attraverso varie trasformazioni, nasceranno e si svilupperanno le Brigate Rosse. L’obiettivo del CPM è l’abbattimento violento del sistema; la rivoluzione. Secondo il Collettivo, il processo rivoluzionario si presenta come «globale, politico e “culturale” insieme» <6 e il terreno della lotta è «essenzialmente urbano». Nel documento si legge: «la città è oggi il cuore del sistema, il centro organizzatore dello sfruttamento economico-politico, la vetrina in cui viene esposto “il punto più alto”, il modello che dovrebbe motivare l’integrazione proletaria. Ma è anche il punto più debole del sistema: dove le contraddizioni appaiono più acute, dove il caos organizzato che caratterizza la società tardo-capitalistica, appare più evidente. È qui, nel suo cuore, che il sistema va colpito. La città deve diventare per l’avversario, per gli uomini che esercitano oggi un potere sempre più ostile ed estraneo all’interesse delle masse, un terreno infido: ogni loro gesto può essere controllato, ogni arbitrio denunciato, ogni collusione tra potere economico e potere politico messa allo scoperto. Il sistema può opporre soltanto il peso della sua oppressione, dei suoi ricatti, della sua corruzione. Con queste armi nessun sistema è mai riuscito a sopravvivere» <7.
La storia della principale organizzazione politica clandestina italiana – scrivono Gian Carlo Caselli e Donatella Della Porta (1990) – «affonda le sue radici nel movimento degli studenti del 1968 e nell’autunno caldo del 1969» e ne ha influenzato la struttura, l’azione e le scelte strategiche. Le Brigate Rosse non nascono da subito come gruppo armato strutturato, ma lo diventano nel corso degli anni e in risposta all’intensificarsi dello scontro con lo stato e le forze dell’ordine. È per tale ragione che, in questa sede, la ricostruzione dei mutamenti e delle evoluzioni strutturali nonché delle strategie d’azione via via adottate, avverrà parallelamente all’analisi del percorso storico dell’organizzazione.
[NOTE]
6 “Il Collettivo”, n. unico, gennaio 1970, documenti del “Collettivo”, Lotta sociale e organizzazione nella metropoli
7 Ibidem
Santina Musolino, Donne e Violenza Politica: il caso delle Brigate Rosse in Italia, Tesi di dottorato, Università degli Studi “Roma Tre”, 2016

Nel novembre del 1969, in una riunione del collettivo a Chiavari, e successivamente con l’incontro a Costaferrata (frazione di Pecorile nei pressi di Reggio Emilia) nell’agosto 1970, si posero le basi per la creazione dell’organizzazione armata delle Brigate Rosse: più che una riunione con intenti programmatici, quello di Pecorile è una assemblea che pone in nuce il passaggio dalle spranghe, dei servizi d’ordine dei nuclei collettivi di fabbrica, alle armi da fuoco di un nucleo ben organizzato, capace di intervenire in varie città, lì dove lo scontro avesse richiesto una presenza dura. <9 Questi nuclei dovevano operare su un piano di semiclandestinità in alcune delle più importanti aziende milanesi come Pirelli, Siemens, Marelli ecc. <10 Si trattava di avanguardie armate in grado di coniugare la politica con la guerra rivoluzionaria, ovvero di preparare e sostenere una guerra politica e civile di lunga durata. <11 Donatella Della Porta sottolinea come le BR si affermarono sulla scena proprio alla Pirelli, a Milano, dove lotte operaie e studentesche agivano a più stretto contatto, sfociando spesso in episodi di violenza. <12 Sarebbe stato proprio questo uso della violenza, quindi, a indirizzare la futura attività delle BR.
La città di Milano giocò poi un ruolo fondamentale nella nascita delle BR, anche in quanto città simbolo del nuovo capitalismo alienante. In questa città, che Margherita Cagol paragonava a un “mostro feroce” <13 e Mario Moretti a un “orribile termitaio” <14, l’individuo, soprattutto se proveniente da diverse realtà italiane, si ritrovava completamente straniato e isolato, perdendo ogni suo punto di riferimento.
Il panorama della violenza terroristica in Italia fu dominato senz’altro dai gruppi di estrema sinistra, e in particolare dalle BR, che fecero la loro comparsa nel 1970 facendo esplodere dei bidoni di benzina contro il box del direttore della Sit Siemens. Precedenti all’azione delle BR furono però alcune organizzazioni di sinistra come il Gruppo XXII Ottobre, il primo gruppo armato genovese, fondato nel 1969 da alcuni militanti di formazione marxista leninista, e i Gruppi di azione partigiana di Feltrinelli (che comparirono nel 1970 e si presentarono come delle specie di avanguardie autonome rispetto ai movimenti di massa internazionali). C’erano poi i NAP (Nuclei Armati Proletari), separatisi da Lotta Continua quando questa rinunciò definitivamente al ricorso alla violenza, e Autop (Autonomia Operaia), un’organizzazione la cui mira era quella di guidare una globale sollevazione della classe operaia. <15
In questo periodo le azioni brigatiste non furono particolarmente violente, ma nel 1972 si giunse, con un’escalation di violenza che porterà dal sequestro e all’omicidio a un definitivo punto di rottura con movimenti sessantottini. Tale rottura coincise con il rapimento del dirigente Sit Siemens Macchiarini, e soprattutto con la decisione di entrare in clandestinità. Questa condizione di illegalità e di forzata segretezza portò i militanti delle Brigate Rosse a estraniarsi sempre più dalla realtà e a perdere ogni possibilità di dialogo e di confronto con quella classe che pretendevano di rappresentare. <16
La “missione” delle Brigate Rosse divenne sempre più un fatto quasi trascendentale, una sorta di vocazione che andava al di là dei singoli individui e dei singoli scontri sociali, e pertanto il fine cominciò tragicamente a giustificare i mezzi. <17 Da notare è però come, per un certo periodo, l’azione punitiva delle BR fu vista quasi con favore da grosse porzioni dell’opinione pubblica, e questo fatto non fece altro che render ancor più legittimo, agli occhi dei brigatisti, il nuovo ruolo che si proponevano di assumere. L’organizzazione brigatista era passata, infatti, a mostrare un volto del tutto differente rispetto agli inizi, spostandosi da una linea difensiva a una aggressivamente offensiva. Le BR non si limitavano più a una semplice reazione nei confronti dello Stato, ma miravano ora a sostituirsi a esso.
E’ l’inizio della lotta armata. E’ l’inizio della “violenza rivoluzionaria” cioè di quella pratica organizzata armata necessaria, sistematica e continua dello scontro di classe. <18 Cominciava l’attacco al cuore dello Stato che durerà oltre 10 anni. <19
“Il movimento operaio, che si sta sviluppando nelle grandi fabbriche, manifesta un bisogno tutto politico di potere: la lotta contro l’organizzazione del lavoro, il cottimo, i ritmi, i “capi”. Per questo si muove al di fuori delle strutture tradizionali del movimento operaio, come sono il PCI e i sindacati. Il bisogno di potere lo porterà inevitabilmente a uno scontro violento con le istituzioni, anche con il PCI e il sindacato. È indispensabile quindi formare una avanguardia interna a questo movimento che possa rappresentare e costruire questa prospettiva di potere. Ma questa avanguardia deve sapere unire la “politica” con la “guerra” perché lo Stato moderno, per affermare il suo potere, usa contemporaneamente la “politica” e la “guerra”. Diventa quindi inattuale e non proponibile la strategia leninista dell’insurrezione che presuppone una fase politica di agitazione e propaganda sostanzialmente pacifica, seguita poi dalla “spallata finale”, dell’“ora X”, cioè dalla fase propriamente militare. Occorre invece preparare la “guerra civile di lunga durata” in cui il “politico” è, da subito, strettamente unito al “militare”. È Milano, la grande metropoli, vetrina dell’impero, centro dei movimenti più maturi, la nostra giungla. Da lì e da ora bisogna partire” <20 Le parole di Renato Curcio evidenziano il pathos di quella visione intima e politica delle BR e la mission del brigatista come artefice di quella trasformazione radicale sociale, di rivolgimento dalle fondamenta che porterà gli uomini ad essere liberi da ogni forma di sofferenza e di infelicità, attraverso una serie di battaglie che si concretizzeranno in una continua lotta armata, in una rivoluzione sociale per costruire una società comunista. <21
A sottolineare questo natura apocalittica dell’azione delle BR sulla società sono le parole della brigatista Barbara Graglia, la quale afferma che la lotta portata avanti dai brigatisti trova giustificazione nel riscatto dell’umanità, in una rivoluzione gnostica che anela un mondo assolutamente perfetto privo di ingiustizie sociali tipiche di quella società borghese e capitalistica <22: “I problemi sono a monte, come si diceva in quegli anni, ed è a monte che bisogna risolverli, l’idea di lottare per una trasformazione della società è per me immediatamente idea di trasformazione radicale, di rivolgimento dalle fondamenta”. <23
Dagli interventi del convegno di Pecorile emergono tre anime: la prima, più movimentista, privilegia lo scontro di massa su larga scala, tutto interno al movimento e senza una guida organizzata; la seconda, sponsorizzata da Curcio, e che risulterà vincente, ipotizza un graduale passaggio alla resistenza armata a partire dalle fabbriche, attraverso nuclei ristretti ma sempre collegati con la massa e le realtà di base; la terza prevede un’ulteriore, immediata militarizzazione dei gruppi che prelude alla clandestinità, anche rompendo i rapporti col movimento. <24
Renato Curcio, Alberto Franceschini, Margherita Cagol, Mario Moretti, Mario Galesi, Nadia Desdemona Lioce, Barbara Graglia e molti altri furono l’anima di questa organizzazione animata da una feroce determinazione ideologica e da una azione politica violenta ed omicida che si basa su un processo socio-psicologico che spoglia la vittima della sua umanità e che trasforma il carnefice in un giustiziere collettivo e che vede nell’azione della lotta armata la liberazione della società schiava di dinamiche neocapitalistiche. Questa azione, oltre a dare alla violenza una dignità ermeneutica, conoscitiva, la legittima sul piano morale in quanto dà un senso a tutta una serie di sofferenze dell’individuo; perché la scelta della lotta armata diventa lo strumento di trasformazione sociale in un processo educativo, pedagogico dell’intolleranza del nemico. <25 Questo gruppo scelse la lotta armata pensando che il sacrificio di vite umane possa servire a salvarne molte altre, inscrivendo le ingiustizie della società ad un sistema che utilizza l’uso della lotta armata continua nella contrattazione politica, venendolo quasi “umanizzato”. La violenza, dunque assume un ruolo centrale da coincidere con la politica stessa.
[NOTE]
9 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario, Rubbettino, Catanzaro (Soveria Mannelli), 2010, n. 26 p.31.
10 CLEMENTI M., Storia delle brigate rosse, Odradek, Roma, 2007, p. 18 ss.
11 Ibidem
12 DELLA PORTA D., Il terrorismo di sinistra, cit. in ROBERT LUMLEY, Dal ’68 agli anni di piombo pag. 268
13 Lettera di Mara Cagol alla madre (cit. in ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse, Rubettino, Catanzaro 2009, pag. 28.
14 MARIO MORETTI, Brigate rosse. Una storia italiana, cit. in ALESSANDRO ORSINI, Anatomia delle Brigate Rosse op. cit., p. 161.
15 CECI G. M., Il terrorismo italiano Carocci, Roma 2013, pp 145 147 e COLARIZI S., Storia politica della Repubblica. Partiti, movimenti e istituzioni. 1943-2006. Ed. Laterza, Roma Bari, 2007, pp. 210-213.
16 MANCONI L., Terroristi italiani. Le brigate rosse e la guerra totale 1970 2008 Rizzoli, Milano, 2008, p. 67.
17 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario, Rubbettino, Catanzaro (Soveria Mannelli), 2010, p.23 e ss.
18 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario op. cit., p.31 e ss.
19 FRITTOLI E., Agosto 1970: l’alba delle Brigate Rosse, Rivista settimanale, Panorama/lifestyle, Milano, 27 agosto 2015.
20 Lo scopo del Convegno appare chiaro fin dall’intervento introduttivo di Renato Curcio in CURCIO R., A viso aperto intervista di Mario Scialoja, Mondatori, Milano, 1993, p. 33 34.
21 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario Rubbettino, Catanzaro (Soveria Mannelli), 2010, p.14.
22 Ibidem p. 13.
23 Ibidem nota 18 p.14.
Camilla Ranieri, Cause che hanno determinato la sconfitta del terrorismo delle Brigate rosse, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2022-2023

#1969 #1970 #1972 #armata #BR #BrigateRosse #CamillaRanieri #clandestinità #CPM #DonatellaDellaPorta #fabbriche #facoltà #lotta #milano #opeari #SantinaMusolino #sociologia #Trento

guerrilla stickers 通信guerrillastickers@mastodon.bida.im
2025-05-22

🚘🥚💥🏴‍☠️ "È lo sponsor, di Renault" / #BrigateRossini in Viale Aldo Moro.

#AldoMoro #Renault #Br #BrigateRossini #BrigateRosse #AnnoneVeneto

Client Info

Server: https://mastodon.social
Version: 2025.07
Repository: https://github.com/cyevgeniy/lmst