#Postmoderno

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2025-10-26

: "Il politicamente corretto è il linguaggio delle élite"

Lo scrittore Valerio Savioli presenta il suo libro "L'uomo Residuo. , , Morte dell'Europa" analizzando gli effetti che questi due fenomeni hanno sulla società occidentale.
youtube.com/watch?v=PhD-dYotAn8

L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionalelombradelleparole.wordpress.com@lombradelleparole.wordpress.com
2025-10-09

Guido Oldani, “Il coperchio”, edito da Palingenia, Venezia (2025) – Il linguaggio poetico oldaniano de-storicizzato e de-psicologizzato. Lettura di Giorgio Linguaglossa

Abstract

Il libro di Guido Oldani, Il coperchio, edito da Palingenia (2025), riprende il testo del suo esordio poetico cambiandone il titolo, da Stilnostro, del 1985, che fu prefato da Giovanni Raboni nell’attuale Il coperchio. Il libro contiene anche un nugolo di versi inediti, come dire, scacciabrighe e scansapensieri intitolato “Quattordicesima ripresa”, che riprende la procedura del realismo terminale della verosimiglianza rovesciata (vedi la prefazione di Oldani al libro). Si tratta di una traccia di un percorso mai interrotto, che va da Stilnostro a metà degli anni ottanta fino ad arrivare al nostro disgraziatissimo e scombiccherato 2025. Un percorso che, volente o nolente e obtorto collo, abbiamo compiuto tutti insieme dalla spensierata epoca della affluent society degli anni ottanta ai matti e disperatissimi anni del mondo post-global. Il tracciato si condensa in quattro tappe, i quattro snodi principali (linguistici/stilistici) posti in corrispondenza con i nodi storici/ontologici che li hanno generati.

E c’è da dire che Guido Oldani (1947) è stato un poeta non-allineato, che ha creato presso i circoli letterari milanesi e non superciliosi distinguo e mottetti di spirito circa i suoi testi che sono stati archiviati dalla poesia accademica nella vasta area della poesia, diciamo così, ludica. Era un tentativo di tacitare in chiave minoritaria una poesia che platealmente usciva fuori dagli schemi collaudati e condivisi dal circolo polare milanese e delle sue adiacenze lombarde.

Il percorso poetico di Guido Oldani si snoda, all’incirca, attraverso quattro tappe. La prima che mette in mostra un già peculiarissimo carattere linguistico: sintassi estremamente scorciata, uso massiccio di participi/gerundi/infiniti; neologismi e grande impiego di parole-valigia; una economia lessicale che trasforma il linguaggio in strumento d’urto verso un «oltre» semantico sempre più dis/locato e imprendibile.

L’esordio poetico si situa nella stagione post-68 e nel decennio della “affluent society” , dove il testo poetico  già percepisce la propria impotenza o la propria inidoneità ad inglobare una realtà che percepisce istintivamente di non essere in sintonia sulla via della rappresentazione poetica. Oldani percepisce, tra i primissimi, quel fenomeno che ho designato di de-psicologizzazione del testo poetico. Ovvero, il non essere, il testo poetico, più in grado di operare per via del realismo mimetico e psicologico fino allora imperante nella prassi poetica italiana (ed europea) e di dover ricorrere, necessariamente, ad un nuovo meccanismo di trasvalutazione del Reale in irrealismo linguistico e stilistico, mi si passi il termine, arcigno.

Ecco alcuni esempi di de-psicologizzazione del testo poetico (da Stilnostro- 1985)):

“In tasca”

Un giardino di ruote
locomosse
e pascoli rettangoli
in città
d’asfalto e caviinfissi.
Collaudato è garanzia
il pagomese
e si rosicchia in pizzeria
e si ridacchia fra
i rialzati baveri
badando lungamente
a un depliant
di un nuovo mondo
in tasca.

Poesia in frammenti che mostrano la congiunzione di immagini con punteggiatura scarna, verbo implicito e raccordi per via metonimica; parole del mondo urbano che condensano l’esperienza dell’epoca che sta per annunciarsi (telefono, pizzerie, asfalto, depliant).

Scrive nella prefazione al volume l’autore: “la raccolta, che Giovanni Raboni definì opera di un esordiente « sui generis », contiene verbi coniugati al participio passato, gerundio e infinito. Ora, come tutti sappiamo, la natura si esprime nel tempo: le stagioni, le maturazioni, l’appassimento… Ciò che invece non è riferito al tempo sono gli oggetti: un tavolo o un carretto restano tali e quali con il passare delle ore o delle stagioni. Ecco le radici del Realismo Terminale: avevo cominciato a trattare la natura coniugando i verbi relativi come se si occupassero di oggetti; avevo avvertito che la natura stava ponendo le basi per artificializzarsi progressivamente, per oggettificarsi come accade ora.”

Restano pur sempre valide le osservazioni di Giovanni Raboni contenute nella prefazione a Stilnostro: “Oldani organizza la sua poesia come se avesse (come se ci fosse) una quantità di cose da dire e pochissimo spazio – intendo proprio spazio fisico, non metaforico – per dirle. Eccolo, allora, il nostro autore, spremere da ciascun aggettivo (mai più di uno per volta, se non sbaglio) il massimo di senso, e assegnargli anche, se possibile, qualche funzione in più: di raccordo o ponte verso un’altra parte del discorso, di suggestione o memoria di un’azione verbale non nominata… Eccolo far ricorso a una sintassi scorciata, allusiva, ricca di ellissi, di ablativi (e participi, e gerundi) assoluti, di infiniti nei quali si contrae ogni tempo narrativo… Eccolo coniare neologismi, parole-valigia nei quali sostantivo e aggettivo, avverbio e verbo si incastrano o giustappongono nella più economica delle positure… Una andatura, dunque, una allure, quella della poesia di Oldani, che non solo ammette ma presuppone il predominio del senso nella misura in cui il senso è posto oltre il testo, è un punto di fuga sempre mirato e sempre da raggiungere. La realtà, dunque, va di continuo interrogata, riconsiderata; e occorre, per questo, descriverla, renderla corpo presente – ma per segni veloci, magri, scompiacenti, petrosi. Dire, insomma, non per l’in sé del dire (né, tanto meno, descrivere per l’in sé dell’oggetto descritto), ma per l’in sé di ciò che il dire sollecita e incalza; dire per capire, per essere. E c’è sempre poco tempo, anzi, non c’è mai abbastanza tempo per farlo”.

Parole quanto mai appropriate. Ne conseguono alla lettura una serie di effetti, un sovraccarico di toni, un linguaggio che sembra affaticato ma invece è attentissimo, una esigenza perlustrativa che cerca di tradurre l’ esperienza profana ancora attingibile in segni minimissimi, evanescenti; la strategia formale coincide con l’urgenza storica di «dire in poco» prima che il mondo si trasformi e ci trasformi anche il linguaggio che stiamo impiegando. Quasi una gara a guardia e ladri tra le parole che vengono dal futuro e quelle che vengono dal passato.

Subentra la seconda tappa, una fase di transizione, ovvero, il soggiornare stabilmente alla periferia dell’esperienza del poetico in un mondo sempre più de-storicizzato e de-psicologizzato. Nel frattempo, dagli anni novanta ai duemila si infittiscono i fenomeni del collasso del grande capitale, del collasso dei linguaggi narrativi e poetici che cedono progressivamente alla auto fiction, del collasso delle grandi città con fenomeni  di un urbanesimo estremo, la impennata dei consumi, fino alla caduta delle Grandi narrazioni. È questo, in poche parole, l’esaurimento del post-moderno, nonché l’invasione progressiva della realtà cibernetica nel mondo del cosiddetto Reale. Le immagini oldaniane diventano sempre più costipate, sfuggenti, non-consolatorie, sono tratte dal quotidiano, ma non quello dei quotidianisti lombardi che si fregiano di un realismo mimetico ancora debitore delle antiche ontologie linguistiche del novecento (caffè, lampioni, strade, in tasca); un lessico che si apre su oggetti e micro-situazioni telluriche quasi scenografiche. Qui si ha il vero nodo gordiano, il nodo storico/ontologico: l’affermarsi della società dei consumi e dell’abitudine ad un mondo sempre più tecnologizzato; il soggetto poetico si scopre così sempre più de-linguisticizzato che abita le eterotopie, con gli spazi urbani anonimi e con oggetti di consumo dove il rito dello shopping sostituisce il sacro.

“Il paradiso si è inverato in un supermercato” “ (da “I prodotti”, sezione di inediti della “Quattordicesima ripresa”), con l’immagine ironico/satirica che traduce il rito religioso in luogo di consumo.

Qui il linguaggio si fa più scenico ma resta pur sempre concretissimo, sintetico; la critica sociale entra per immagini concrete, dall’interno, mai dall’esterno; il linguaggio mantiene la sua carica poetica mentre muta l’oggetto dell’osservazione (dalla natura agli scaffali, dalla memoria ai device).

Terza tappa la si può considerare il progetto di uscita dal novecentismo poetico italiano che procede durante gli anni novanta fino al Realismo terminale del 2010. La nuova prassi poetica rappresenta bene, anche per via indiretta, la avvenuta catastrofe delle ontologie linguistiche del novecento, la loro inutilizzabilità se non come recursus a un serbatoio di rottami, regesti di antichi registri linguistici divelti e de-funzionalizzati.

Specificità linguistica della procedura poetica oldaniana è il ritorno teorico e pratico alla tesi della «similitudine rovesciata», ovvero, alla oggettificazione progressiva del nostro lessico quotidiano, lessico che tratta la natura come oggetto, frasari che ribaltano i registri linguistici tradizionali mediante un mix di registri tecnico, quotidiano, profetico, sacro e laico che si scambiano di posto.

Infine, il nodo storico/ontologico: la crisi ambientale, la pervasività tecnologica e la nascita dell’intelligenza artificiale: la natura si «oggettifica» e il linguaggio non può non rappresentare questa avvenuta inversione di ruoli. È lo stesso Oldani che nella prefazione spiega: “con quella che ho definita una ‘similitudine rovesciata’ … la sfrecciante rondinella a volare come un aeroplano la chiave interpretativa teorica del libro.

“Pioggia d’acido/base” (da “Pioggia”) — immagine che fonde la meteorologia con l’artificio tossico della modernità; la natura come prodotto secondario rispetto ai prodotti dell’artificio.

In questo nuovo contesto ontologico linguistico il linguaggio diventa strumento di mero esserci: non solo descrive, ma registra, come un sismografo attentissimo, la mutazione ontologica e antropologica in corso (ciò che era vivente assume qualità di manufatto, e il verso lo registra con forme ibride, tecniche e immaginifiche).

I versi diventano più diretti, sloganici, le immagini esplicite di rottura (guerra, gelo nucleare, desertificazione semantica) si moltiplicano, il tono diventa spesso satirico, talvolta didascalico, la brevità si fa perentoria. Il nodo storico/ontologico si rivela per accumulo di catastrofi (clima, conflitti, disgregazione sociale, crisi del linguaggio pubblico); è  il poeta che reagisce con pugni verbali, brevi colpi che vogliono spingere al risveglio.

Esempi:

“nel giorno dentro al mese di quest’anno / è scoppiata la guerra nucleare”“ (da “Nucleare”) — frase netta, quasi giornalistica, che sancisce la rottura del paradigma ontologico.

“il paradiso è un supermercato”“ e ““le nubi del tramonto sono rosse / come delle bistecche ancora crude”“ (da “Bistecche”) — immagini dirette, spiazzanti, che giocano sulla quotidianità per denunciare l’assurdo.

Qui la forma poetica diventa messaggio politico/morale; la compressione linguistica si converte in «colpi» rapidi che vogliono lasciare il segno — coerente con la metafora pugilistica che Oldani usa per la “Quattordicesima ripresa”.

“Participi/gerundi/infiniti (Stilnostro) esprimono un tempo sospeso: nella prima fase la sospensione è estetica; oggi essa documenta la sospensione della natura stessa (la stagione che non regge più i suoi cicli riproduttivi).

“Gli oggetti quotidiani (supermercato, lampioni, telefono, in tasca), segnano il passaggio dalla lirica del vissuto alla post-lirica dell’oggetto come indice dell’ordine sociale: l’oggetto diventa rivelatore della condizione storica.

Gli slogan e il tono scanzonato in alcuni testi recenti  rispecchiano la saturazione mediatica e la perdita del respiro simbolico; il verso adotta allora la parlottio pubblico.

Il percorso che va da Stilnostro (1985) a Il coperchio (2025) con la sua appendice “Quattordicesima ripresa” è coerente con una linea di ricerca che mantiene la medesima ossessione formale — economia del dire e capacità di condensare — ma che cambia oggetto e registro seguendo le trasformazioni storiche: dall’urgenza estetica degli anni ’80, alla rappresentazione della vita da consumatori, fino alla diagnosi e alla denuncia dell’epoca dell’artificializzazione e della possibile catastrofe. Oldani teorizza questa transizione come Realismo terminale: la lingua si adatta (o si ribella?) alle metamorfosi ontologiche che la realtà subisce.

 “Labirinto dire” (“Stilnostro”, p. 19)

“Certe volte mi asciugo / di parole, / capitombolando mi slargo / nell’interstizio tessuto / e pocopoi / e doposecolo…”

La poesia d’esordio si apre sull’atto stesso del dire: “mi asciugo / di parole”. La voce si autocensura per eccesso di densità, o di rarefazione linguistica, l’ellissi sarebbe già strategia di sopravvivenza linguistica, ma in questo caso è solo strategia di subsidenza, come quando la placca di un continente si ficca sotto la placca di un altro continente, ma ancora in modo silenzioso, senza fiat o scossoni o rumoresque. L’“interstizio tessuto” diventa traslato del linguaggio umano rivisitato come trama fragile. Già qui si profila il Realismo terminale in nuce: il linguaggio non imita il mondo, ma lo attraversa come residuo, scarto, rifiuto.

 “Stilnostro” (“Stilnostro”, p. 27)

“Volontà (lucciola) appisola / negli incisivi persistenti…”

Una delle immagini più citate: la “volontà” che si riduce a una lucciola tra i denti, simbolo minimo e luminoso di subsidenza esistenziale. La corporeità e la luce fioca sono tratti costanti del primo Oldani post-lirico, il verso sembra scaturire da un lessico espressionista che si impasta con neologismi e paratassi franta, un linguaggio in tensione massima tra simbolo e parola.

“Databile” (“Stilnostro”, p. 34)

“La circostanza sessantotto: / andava il giorno a quella / data e si smisura ora / un secolo.”

Qui entra di sguincio e per vie intermesse e ludiche la Storia con la maiuscola. Il “sessantotto” non è evento ma “circostanza”: un punto di misura che si “smisura”. Il tempo collettivo diventa soggettivo e, quindi, poetabile; il secolo, da cronologia, si fa smarrimento di calendari. È una prefigurazione della successiva frattura tra cronaca e ontologia, la perdita della misura del mondo umano.

“Pioggia” (“Corporale”, p. 57–58)

“Si staglia in accaduto / giorno, meridiana l’ombra… / e in dimensione orizzontale / inerpichiamo finalmente / noi monotematici.”

L’immagine della “pioggia” come meridiana rovesciata, un fenomeno naturale che misura il tempo e lo cancella. L’“orizzontale” di “inerpichiamo” è un ossimoro tipico di Oldani: la realtà viene resa visibile se nominata nel suo rovescio percettivo. Qui si annuncia in essere il principio della “similitudine rovesciata”.

“Apparecchiati” (“Petizione”, p. 70)

“O com’è vertiginante il breve / sconsacrato tempo, appena / ieri figli, già mi tutelate / apparecchiati intanto.”

L’età, la filiazione, la vertigine temporale, la subsidenza post-esistenziale; la “tavola apparecchiata” è il simbolo domestico e quasi sacro della successione, ma qui diventa “sconsacrato tempo”. Il tono è intimo e familiare, ma la struttura ritmica e sintattica conserva la concisione espressionista del primo Oldani.

“Pini” (“Petizione”, p. 75)

“Sempre perenni verdi / stavolta proni proprio / per l’impreveduta neve… / Anche noi (voi) / si è contenuti in un cortile dentro / e non per gioco / per qual ragione ignota non uscendo.”

È una delle più intense liriche “civili”, la natura (i pini piegati dalla neve) diventa specchio della condizione umana mummificata anzitempo, “contenuti in un cortile dentro”. La similitudine tra alberi e uomini anticipa la fusione simbolica del Realismo Terminale: ciò che era naturale diventa umano e viceversa, ma senza salvezza.

“Due pargoli” (“Petizione”, p. 77)

“Bi e Bo fatti nascere / sbuffi i due disegni / scarabocchi… / e quel po’ coraggiosi / noi ignari all’altomare / si agitava il saluto / sbadigliante il terminato secolo.”

È una poesia di bilancio generazionale: i figli (“Bi e Bo”) come segni d’infanzia e di fine annunciata. “Sbadigliante il terminato secolo”, è una chiusura epocale che unisce biografia e storia, il tono è fintamente elegiaco ma mai sentimentale, la forma chiusa, quasi prosastica, riflette la stanchezza delle sillabe storte che annunciano, derisoriamente, il nuovo mondo.

“Bistecche” (“Quattordicesima ripresa”, p. 87)

“Le nubi del tramonto sono rosse / come delle bistecche ancora crude…”

Qui il rovesciamento è esplicito: il naturale si definisce in termini di artificiale, alimentare, consumistico. La “similitudine rovesciata” diventa legge poetica e ontologica. La visione apocalittica del tramonto è ridotta a immagine da macelleria: ironia tragica del nostro tempo.

“I prodotti” (“Quattordicesima ripresa”, p. 88)

“Il paradiso è un supermercato / con gli angeli carrelli della spesa…”

Il Realismo Terminale si toglie la giacca e indossa la vestaglia, sopravvive, nel mare magnum dei linguaggi, come satira anti teologica. Il consumismo sostituisce l’escatologia. L’aldilà si misura in metri di scaffali; la “concorrenza” e le “risse” degli angeli sono caricature del supermatket terreno. Il tono resta piano, quasi da cronaca, la blasfemia viene annunciata in comodato d’uso, si fa ironia disincantata.

“Zero” (“Quattordicesima ripresa”, p. 97)

“La parola, col suono ed il suo segno, / la leggi un po’ dovunque poi la togli… / un dizionario tutto quanto intero / significa sì e no una parola.”

“La rivolta”

“Il papa, che non spara sui bambini, / è un fiammifero acceso dentro al buio… / è tempo d’inventare un nuovo Dante / o ne avremo un destino disgraziato.”

“Parlare”

“Le parole, una volta pronunciate, / cadono a terra come vetri rotti…”

Siamo arrivati alla crisi finale del nostro viaggio e del linguaggio poetico oldaniano: la parola come stuzzicadenti o stoviglia sporca tolta dalla tavola; il dizionario che vale “una parola”, il segno impresso sulla carta hanno perduto ogni residua possibilità di significazione. Questa è forse la più fedele sintesi ontologica (e oncologica) del percorso poetico oldaniano: il linguaggio che si ritira in sé, forse perché ha detto troppo, o troppo poco, e il mondo resta muto nella sua parete bianca.

Oldani conclude con un’istanza etica: “inventare un nuovo Dante”. È la chiamata finale del poeta come testimone e restauratore di senso o, come io penso, come un subsistente post-esistenzialista che tenta di esistere purchessia e in qualche modo? Le “parole rotte” di “Parlare” suggellano il percorso di un linguaggio che ha ormai consumato la propria forza significazionista ma tenta ancora un ultimo micidiale colpo. Ed ecco la “quattordicesima ripresa” del poeta che è diretta contro la parete bianca del mondo.

Nucleare

nel giorno dentro al mese di quest’anno
è scoppiata la guerra nucleare,
guerra che è un tasto con di sopra un dito.
è allora che la stampa e tutti i social
hanno smesso di dire il mezzo vero
e si sono salvati solo i pochi
già finiti intanati chissà dove,
per noi serve neanche un cimitero.

#dePsicologizzazione #eterotopie #giorgioLinguaglossa #giovanniRaboni #GuidoOldani #IlCoperchio #nucleare #Palingenia #postModerno #realismoTerminale #Stilnostro

2025-06-28

2001 o 2025 ?

Antonio Moresco:

“[…] mi sembra che molte consuetudini mentali che hanno dominato la vita culturale degli ultimi decenni si rivelino sempre più insostenibili se non grottesche:

che viviamo nell’epoca della virtualità e dell’irrealtà
che l’unica dimensione possibile è ormai quella della ripetizione del déjà vu
che la storia è finita
che l’attività umana in generale e quella culturale, artistica e spirituale in particolare possono svolgersi ormai solo all’interno di giochi chiusi, terminali, dentro universi culturali chiusi che non contemplano più la possibilità dell’imprevisto
che si può solo riciclare, combinare e rivisitare materiali culturali ormai inerti e codificati in un malinconico gioco di specchi senza fine
che tutto è interscambiabile e depotenziato nell’universo orizzontale della “comunicazione” totale e della rete
che la vita non si richiude e si riapre continuamente attraverso lacerazioni
che non possono esistere più – nel bene come nel male – il conflitto, l’alterità
che abbiamo dominato completamente la natura, il caso, l’ignoto
che non esiste più la tragedia, ma solo la parodia
ecc…
E’ terribilmente triste dover riflettere su queste cose dopo un simile orrore [*]. Ma non si può far finta che non sia successo niente e mi sembra che tutto questo non possa che avere ripercussioni profonde nell’attività umana e in quella culturale di decifrazione, interpretazione, invenzione e riapertura di spazi.
In questo terribile inizio di secolo e di millennio è forse venuto il momento di confrontarci su queste cose, con sincerità , profondità e radicalità .

Milano, settembre 2001
Antonio Moresco”
(https://www.nazioneindiana.com/2003/03/01/scrivere-sul-fronte-occidentale/)

[*] = l’attentato dell’11 settembre che ha colpito le
“Torri Gemelle” a New York e il Pentagono a Washington

 

*

2001 o 2025?
l’11 settembre personalmente quasi non lo vedo, se vedo Gaza. (e domani cosa si vedrà? cosa sarà imposto non solo allo sguardo occidentale ma ai corpi di tutti?)

#AntonioMoresco #attentatoAlleTorriGemelle #DarioVoltolini #Gaza #genocidio #Moresco #NazioneIndiana #orrore #Palestina #parodia #postmoderno #ScrivereSulFronteOccidentale #torriGemelle #tragedia #Voltolini

L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionalelombradelleparole.wordpress.com@lombradelleparole.wordpress.com
2025-02-28

da “Il misuratore delle ombre uscì dalla Cadillac nera”. La Nuova Poesia.0 nell’epoca della Intelligenza Artificiale Generativa

la disperazione è la catastrofe dell’ordine simbolico che è imploso. La privatizzazione è l’ultima ideologia che resiste nel vuoto pneumatico dell’implosione dell’ordine simbolico

GIORGIO LINGUAGLOSSA    

II
Qualcuno mi chiama al citofono.
È arrivato finalmente il misuratore delle ombre.

«No Campari, no Tik Tok», disse il mago Woland varcando la soglia d’ingresso del Pentagono.
A quei tempi il Linguaglossa millantava credito, trattava con il bastone e la carota, ma fu il bastone che ebbe la meglio.
«This is a very reversal!», pronunciò un omino con gli occhiali di tartaruga in fondo alla sala.
Ci fu un battimano.
Qualcuno del pubblico disse:
«Se a un semaforo in Corso Francia incontrate una giraffa, niente paura, si tratta del filosofo Agamben che si sta pulendo gli occhiali»
Subito dopo, al Teatro Tenda di Mosca il soprano gorgheggiò un’aria di Mozart.

Era entrato nella stanza con un metro pieghevole
Il letto era appoggiato contro la parete
Ha preso le misure del letto, del lampadario, dei comodini, dell’appendiabiti con le giacche appese del Signor Linguaglossa.
Il Figuro rivolse la torcia elettrica nell’angolo dietro l’armadio.
I bagagli erano tutti aperti. C’era della biancheria, delle scatole di medicinali, tubetti di dentifricio e un revolver a tamburo con il manico di madreperla.
Il Signor K. si è accomodato sulla sedia a dondolo dipinta in rosso
proprio di fronte al letto.
Si dondolò leggermente con un sorriso a trentadue denti.
«Una overdose di Remdesivir la si può prendere ad Abukir», disse.

«Composizione per pantofole e violino», disse un inquilino.
«O meglio, quartetto per violini ed elicotteri», commentò un terzo inquilino.
Prese la parola il mago Woland.
«Infilate le pallottole nel pallottoliere o, se volete, infilate il pallottoliere nelle pallottole»
«Spruzzate del borotalco»
«B. è un venditore di pentole»
«C. fabbrica marmellate al polonio»

C’era un odore maleodorante disinfettato con del deodorante
«Sa, Linguaglossa, se in un romanzo compare una pistola, occorre che spari».
K. pronunciò queste frasi senza senso una dopo l’altra
« Sì, lo so, è incredibile: il Signor Putoler e il Signor Salvini una volta erano dei bambini»,
replicò il critico senza convinzione.

  

prima di apporre il cartello “Closed” in vetrina

Il sogno in primo piano è un universo in espansione.
Però la porta principale era bloccata.
Allora, con Betty ritornammo al passato per il tramite
di uno specchio retrovisore
recuperando i fotogrammi in bianco e nero della nostra esistenza
prima di apporre il cartello “Closed” alla vetrina.

Una giacca a quadretti adesso è al n. 19 di via Grazhdanskaja,
all’angolo col vicolo Stoljarnyj, tra poco
arriverà al ponte Kokushkin
fino al numero 104 del canale Griboedov.
In tutto 730 passi.

Ci vennero incontro Prufrock ed Eliot, due girondini della rivoluzione francese
e Miss Horkheimer con il revolver nascosto nella borsetta.

«Lei, Signorina, ha buon gusto
senza di noi non esisterebbe neanche il nulla»,
disse il Signor Rossi dopo aver apposto il cartello “Closed” in vetrina.
Ci fu chi domandò: «Chi c’è di là nel metaverso?»
ma la fuliggine salì fino al quinto piano dove abitava il Linguaglossa.

«Fai presto col whatsapp – replicò la mamma –
oggi c’è il torneo di Wimbledon alla TV, non ti scordare di prendere il latte!!… È vero che Emily si è fidanzata con quel bellimbusto con il ciuffo alla Bobby Solo che abita sulla Siegfriedstraße?»
«No, non è vero mummy, chi te l’ha detto?»

«Ma sì, mummy – interloquì Miss Horkheimer –
Emily è andata a vivere con Dorian a Londra, nel quartiere di Bloomsbury…
gira sempre con le scarpe da ginnastica!
Si attacca al passato come il silicone alle finestre,
ma a giudicare le cose da come sono andate
forse è stato meglio così…
yoga a parte Emily ha preso un granchio, tutto qui.
Sarebbe preferibile che la luna se ne stesse in disparte per un po’,
non credi?
Dorian viaggia sempre sugli ologrammi dei ghostbusters!
Tommy invece ha inaugurato l’anno cinese delle candele con la laurea in modalità telematica, poi… nulla più, è scomparso dai radar…»

All’improvviso, si presentificò un gattopardo maculato che rovistava nel cassonetto dei rifiuti di via Pietro Giordani dove abitava il critico Linguaglossa.
«Egregio Linguaglossa, lei è un inguaribile sognatore», disse.


La Nuova Poesia.0 Il 4 dicembre 2024 L’Ombra delle Parole e l’Editore Progetto Cultura di Roma hanno organizzato presso la Fiera del LIbro di Roma Eur un Focus sul tema La nuova poesia nell’epoca della sua riproducibilità digitale. Io proporrei un altro Focus, e precisamente: La Nuova Poesia.0 nell’epoca della Intelligenza Artificiale Generativa. Come è cambiata la nostra Memoria? Come è cambiata la nostra scrittura? Come è cambiata la nostra proiezione verso il futuro? Come è cambiata la percezione della nostra identità?

Nell’epoca del post-moderno la struttura ideologica delle moderne democrazie liberali (o quel che ne resta) tendono a riprodurre le narrazioni privatistiche e tribali (Maurizio Ferraris). Le poesie e i romanzi che si pubblicano oggi sono scritture che la Intelligenza Artificiale Generativa potrebbe riprodurre in miliardi di esemplari, migliorandole, al pari delle medesime narrazioni gestite dall’io privatistico. La privatizzazione è l’ultima ideologia che resiste nel vuoto pneumatico dell’implosione dell’ordine simbolico.

Piuttosto, la disperazione è la catastrofe dell’ordine simbolico che è imploso. La privatizzazione è l’ultima ideologia che resiste nel vuoto pneumatico dell’implosione dell’ordine simbolico. In tale situazione l’io non è più capace di avvertire una reale disperazione, avverte qualcosa sì, ma che non è più disperazione ma una situazione di vuoto derivante dalla implosione di ogni ordine simbolico e di ogni ordine semiotico. «Il principio di realtà – scrive il Baudrillard ne Lo scambio simbolico e la morte – ha coinciso con uno stadio determinato della legge del valore. Al giorno d’oggi, tutto il sistema precipita nell’indeterminazione, tutta la realtà è assorbita dall’iperrealtà del codice e della simulazione, è un principio di simulazione quello che ormai ci governa al posto dell’antico principio di realtà. Le finalità sono scomparse: sono i modelli che ci generano. Non c’è più ideologia, ci sono soltanto dei simulacri».1 

1 Baudrillard, Simulacres et simulation, Parigi 1980, p.181, trad. it. di E. Schirò.

#catastrofe #CrisiDellArte #CrisiDellaPoesia #giorgioLinguaglossa #ideologia #IntelligenzaArtificiale #JeanBaudrillard #maurizioFerraris #postModerno #privatizzazione #SImbolico

2024-04-18

Terzo ed ultimo piccolo frammento video della presentazione di #Scioglietelerime (#CampanottoEditore, 2023) alla libreria @sinesteticaexpo di #Roma di qualche giorno fa con #AnnaMariaCurci e #LetiziaLeone. Il #Postmoderno come liberazione dall'idea di una concezione immanentista del tempo lineare, di un progresso umano continuo, benché questa idea sia ben lungi dall'abbandonare il senso comune... #poesia #poesiaitaliana #poesiaitalianacontemporanea
youtube.com/watch?v=WKIfp4Oc5n

2023-04-24
2022-07-18

Dispensa – Riassunto: Jean-François Lyotard – La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. – 1979
di M. Minetti
Pubblicato in origine il 29-1-2019 su write.as/stts/dispensa-riassun

Introduzione
La condizion

rizomatica.noblogs.org/2020/03

#Rassegna #filosofia #legittimazione #lyotard #postmoderno #sapere

2022-07-01

Uomini e cose…

Andando in biblioteca e poi leggendo qualcosa su Maritain...

Ero andato in biblioteca comunale a comprare dei libri. Il sole era alto nel cielo. Era un epomeriggio afoso. Non c'era un alito di vento. Ho camminato indisturbato  a passo svelto. Ero un poco titubante a immergermi in quel mare di gioventù.  C'erano studenti e studentesse

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#Potereeingiustizie #Beatgeneration #Gide #Houellebecq #Maritain #Postmoderno #Uominiecose

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2022-02-17

#mastolibri #mastoletture
Accantonato #AntonioScurati...

Terzo #mastolibro di quest'anno (ora in lettura):
"Il gioco" di #CarloDAmicis

#romanzo in cui tre persone condividono il loro triangolo sentimentale cercato, ottenuto e vissuto. Una storia a metà fra il #metateatro di Pirandello e la disperata ricerca di un senso nel #postmoderno.

2020-03-15

Dispensa – Riassunto: Jean-François Lyotard – La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. – 1979
Di M. Minetti
Pubblicato in origine il 29-1-2019 su write.as/stts/dispensa-riassun

Introduzione
La cond
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#filosofia #legittimazione #lyotard #postmoderno #sapere
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