#Denaro

Un pugno di banditi di borgata riesce in poco tempo a controllare tutta Roma

La Banda della Magliana
Esattamente cento anni dopo da quanto documentato da Bonfadini e Franchetti nella Capitale stava nascendo la prima organizzazione criminale di stampo mafioso autoctona: la Banda della Magliana. Prima degli anni ’70 la malavita era distribuita in modo inorganico su tutto il territorio romano, non vi era coordinazione tra i gruppi, ognuno di essi gestiva il proprio quartiere e non vi era il dominio di una famiglia, o di un gruppo, sulle altre, la cui economia ruotava intorno a piccoli furti, spaccio, prostituzione, gioco d’azzardo. In questo contesto si inseriscono Albert Bergamelli, Maffeo Bellicini e Jacques Berenguer, i Marsigliesi <17, un cartello criminale francese che operava il traffico di stupefacenti ed il contrabbando di sigarette dalla Turchia; i tre avevano intravisto nella Capitale la possibilità di estendere il loro business. Per comprendere la genesi di questa associazione bisogna tornare alla fine degli anni ’70, a Roma, quando gli elementi più rilevanti della criminalità romana si costituivano in associazione. Prima di allora la malavita romana si occupava di furti, rapine ed estorsioni. Un gruppo di giovani criminali, quasi allo sbaraglio, che desideravano inserirsi nei business, come i sequestri <18, più redditizi soprattutto in quel periodo <19.
“Franco Giuseppucci era un criminale di trent’anni, apparteneva alla vecchia guardia. Faceva il fornaio e per questo era soprannominato er Fornaretto […]. Temuto e stimato, aveva ottimi canali per la ricettazione ed era molto conosciuto nell’ambiente delle corse di cavalli: agli scommettitori clandestini prestava a strozzo i soldi accumulati con le rapine, riuscendo così a riciclare il denaro […].” <20
Nel 1976 escono di scena Bergamelli, Berenguer e Bollicini per l’azione delle forze dell’ordine coordinate dal magistrato Vittorio Occorsio, il quale stava indagando sulla relazione che intercorreva tra la Loggia P2 <21, l’estrema destra, i servizi segreti e la criminalità organizzata, che lo portò ad essere ucciso il 09 luglio 1976 per mano del neofascista Concutelli <22. “Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi…. Sono certo che dietro i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi…Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine e decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri” <23, così diceva il magistrato a Ferdinando Imposimato.
L’unione delle batterie
Tra il 1975 e il 1976 a Nicolino Selis viene l’idea di creare la Banda della Magliana, nella speranza di sfruttare le diverse batterie <24 sparse nei vari quartieri romani, come racconta Abbatino agli inquirenti. Elabora il suo piano a partire dall’idea di Raffaele Cutolo, come sostiene Antonio Mancini <25 “Mentre ero detenuto insieme a Selis a Regina Coeli si parlava del fatto che a Napoli tal Raffaele Cutolo, che allora non era noto come lo sarebbe diventato in seguito, stava mettendo in piedi un’organizzazione criminale allo scopo di escludere dal territorio infiltrazioni di altre organizzazioni di diversa estrazione territoriale. Con Selis si decise di tentare su Roma la stessa operazione che Cutolo stava tentando su Napoli” <26 e ancora “si era innamorato del pensiero di Cutolo che aveva organizzato un gruppo che si opponeva a chi veniva da fuori, ovvero i siciliani che, come la si suol dire, la comandavano a Napoli Cutolo voleva difendere il suo territorio e Selis voleva fare la stessa cosa a Roma”. <27 Selis diventerà segretamente il capozona di Cutolo.
A fare parte del primo nucleo della Banda della Magliana sono: “Franco Giuseppucci, Enrico De Pedis detto Renatino, Raffaele Pernasetti, Ettore Maragnoli e Danilo Abbruciati. […] presto si aggregarono Maurizio Abbatino, Marcello Colafigli, Enzo Mastropietro” <28 due batterie Trastevere/Testaccio e Magliana, che decidono di gestire i traffici illegali su Roma. Rapimenti, estorsioni, rapine, droga, riciclaggio di denaro sporco.
“Era accaduto che Giovanni Tigani, la cui attività era quella di scippatore, si era impossessato di un’auto Vw “maggiolone” cabrio, a bordo nella quale Franco Giuseppucci custodiva un “borsone” di armi appartenenti ad Enrico De Pedis. Il Giuseppucci aveva lasciato l’auto, con le chiavi inserite, davanti al cinema “Vittoria”, mentre consumava qualcosa al bar. Il Tigani, ignaro di chi fosse il proprietario dell’auto e di cosa essa contenesse, se ne era impossessato. Accortosi però delle armi, si era recato al Trullo e, incontrato qui Emilio Castelletti che già conosceva, gliele aveva vendute, mi sembra per un paio di milioni di lire. L’epoca di questo fatto è di poco successiva ad una scarcerazione di Emilio Castelletti in precedenza detenuto. Franco Giuseppucci non perse tempo e si mise immediatamente alla ricerca dell’auto e soprattutto delle armi che vi erano custodite e lo stesso giorno, non so se informato proprio dal Tigani, venne a reclamare le armi stesse. Fu questa l’occasione nella quale conoscemmo Franco Giuseppucci il quale si unì a noi che già conoscevamo Enrico De Pedis cui egli faceva capo, che fece sì che ci si aggregasse con lo stesso. La “batteria” si costituì tra noi quando ci unimmo, nelle circostanze ora riferite, con Franco Giuseppucci. Di qui ci imponemmo gli obblighi di esclusività e di solidarietà” <29 racconta Maurizio Abbatino, nell’interrogatorio del 13 dicembre 1992.
Un pugno di banditi di borgata riesce in poco tempo a controllare tutta Roma, con obblighi di esclusività e solidarietà, ma il desiderio di potere e comando li porta a sbranarsi tra loro. Il 13 settembre 1980 viene assassinato Giuseppucci; due anni dopo, il 13 aprile 1982 muore in uno scontro a fuoco Danilo Abbruciati.
La fine delle batterie
Con la morte di Renatino, il 2 febbraio 1990, in via del Pellegrino a Roma <30, muore definitivamente il nucleo fondatore della Banda della Magliana. <31
Scrive, poco dopo la morte di De Pedis, il sostituto procuratore Franco Ionta “La malavita romana può definirsi mafia dei colletti bianchi per il suo ruolo di riciclaggio di ingenti somme di denaro in immobili, pelliccerie e gioiellerie, ristoranti e locali notturni gestito attraverso un reticolo di società a responsabilità limitata […]. L’organizzazione è in grado di investire negli appalti di grandi opere edilizie in Sudamerica e in Africa grazie al Venerabile Licio Gelli” 32. Dice Izzo “dietro la morte di Mattarella, Concutelli mi disse che c’erano la mafia e gli ambienti imprenditoriali, ma anche esponenti romani della corrente democristiana avversa a Mattarella. Valerio aggiunse che si erano fidati di lui perché aveva garantito la Banda della Magliana” e ancora, il professor Alberto Volo “Mangiameli mi raccontò che l’uccisione del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana era stata decisa a casa di Gelli per via delle aperture al PCI che stavano maturando in Sicilia”. <33
Viene costruita una struttura capillarmente organizzata, a partire da alcune batterie, basata sul rispetto e la fiducia, che gestiva traffici illegali – droga, armi, prostituzione – e con legami forti con altre organizzazioni criminali, poteri forti, politica, terrorismo ed estremismo.
Grazie alle confessioni e al pentimento di Maurizio Abbatini, la Squadra Mobile dà il via all’“Operazione Colosseo” con la quale “quasi seicento uomini di Criminalpol, Digos e Squadra Mobile sono entrati in azione in tutta Roma, dalla zona residenziale di via Archimede ai casermoni del Tufello. Sessantanove gli ordini di cattura firmati, secondo la procedura del vecchio codice, dal giudice istruttore Otello Lupacchini. Solo tredici ricercati sono scampati alle manette, mentre una decina di provvedimenti sono stati consegnati in carcere ad altrettanti detenuti. A San Vitale, nelle stanze della questura romana, fino a tarda mattinata” <34.
Il primo processo ebbe vita il 20 gennaio 1995 <35, sempre grazie alle parole del pentito Abbatini, per il sequestro e l’omicidio Grazioli.
[NOTE]
17 C. Armati, Italia criminale: Personaggi, fatti e avvenimenti di un’Italia violenta, Newton Compton, 2010
18 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
19 Per un confronto sugli eventi degli anni ’70 si consigliano A. Orsini, Anatomia delle Brigate Rosse, Rubettino, 2010; G. Bocca, Gli anni del terrorismo. Storia della violenza politica in Italia dal 1970 ad oggi, Roma, Armando Curcio, 1988; http://espresso.repubblica.it/palazzo/2009/09/22/news/io-bosscercai-di-salvare-moro-1.15744.
20 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
21 Cfr. N. Di Matteo e S. Palazzolo, Collusi. Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia, BUR, 2015; A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, 1992.
22 Per un approfondimento sul terrorismo nero cfr. P. Sidoni, P. Zanetov, Cuori rossi contro cuori neri, Newton Compton Editori; A. Colombo, Storia Nera, Cairo, 2007.
23 S. Manfredi, Il Sistema. Licio Gelli, Giulio Andreotti e i rapporti tra Mafia Politica e Massoneria, Narcissus, 2014.
24 Piccoli gruppi criminali, come spiega C. Armati, Roma Criminale, cap. XVII, Newton Compton Editori 2006
25 G. Flamini, La banda della Magliana, Kaos editore 2002
26 https://www.iltempo.it/cronache/2014/08/17/gallery/rapine-droga-e-scommesse-ascesa-e-fine-diselis-il-sardo-951242/
27 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
28 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
29 A. Giangrande, La mafia in Italia, Indipendently Published, 2018
30 http://www.storia.rai.it/articoli/ucciso-il-boss-della-banda-della-magliana/11973/default.aspx
31 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
32 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
33 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
34 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/17/operazione-colosseo-blitz-all-alba-69.html
35 http://www.radioradicale.it/scheda/71905/71975-processo-per-il-sequestro-e-lomicidio-del-duca-grazioli-abbatino-9
Giulia Dominedò, Corruzione: Un’analisi etica del fenomeno e delle sue accezioni verso la definizione del caso “Mafia Capitale”, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, 2016

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2025-05-07

Kuwait ha ufficialmente dichiarato il mining di criptovalute "illegale e non autorizzato",il consumo energetico nella zona è diminuito del 55% in una sola settimana.
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#kuwait #energy #electricity #MiningNews #mining
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Quante #cuda da utilizzare per la ricerca scientifica, utilizzate invece per il #denaro.
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#foldingathome #boinc #Berkley #scientificresearch

Distesa di GPU Nvidia per il Mining di criptovalute in una abitazione in Kuwait
2025-05-05

È online la seconda puntata del podcast "La Crepa" sul tema della tassa sui ricchi. Un’imposta minima globale del 2% del loro patrimonio è la soluzione individuata da un gruppo di milionari, riuniti nel movimento dei Patriotic Millionaires, per far pagare più tasse agli ultraricchi Puoi ascoltare il podcast su Spotify, ApplePodcasts, AmazonMusic e sul sito del Sole 24 Ore. open.spotify.com/episode/7oEo8
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#ScamCities #truffeonline In palazzoni di cemento concentrati in 390 mila kmq tra #Myanmar, #Thailandia e #Laos opera un esercito di #schiavi. Un obiettivo: trovare vittime #online a cui estorcere #denaro in ogni modo. Una piaga che ha conosciuto un boom nel post #Covid e difficile da arginare.

Scam Cities, come funzionano l...

2025-04-19

Perché l'Europa continua a premiare gli ultra ricchi? Se vuole davvero rilanciarsi ed essere più forte, l'Europa deve cambiare. Si può fare.
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2025-04-16

Sono Angelo Mincuzzi e sono un giornalista. Indago sui paradisi fiscali e sul mondo nascosto dei super ricchi. Segui il mio profilo Instagram se vuoi essere informato su questi argomenti.
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Andrea Lazzarottolazza
2025-04-06

La delle telefonate con notizie di incidenti o arresti, e conseguenti richieste di , sono purtroppo sempre più frequenti.

Per fortuna questa volta è andata a finire bene. Ma bisogna prestare la massima attenzione!

ilgiornaledivicenza.it/territo

Tra individualismo e bisogno di comunità: perché oggi è impraticabile una forma di organizzazione esclusivamente politica.

img generata da IA – dominio pubblico

di M. Civino

Come il mercato plasma le nostre esistenze

Un articolo pubblicato circa dieci anni fa su Vanity Fair riportava questa osservazione interessante:

Le app di incontri sui telefoni cellulari sono diventate di uso comune superando entro il 2012 il dating online tradizionale. Uno studio condotto a febbraio rilevava che quasi 100 milioni di persone – probabilmente 50 milioni solo su Tinder – utilizzavano i loro smartphone come una sorta di club per single portatile e quotidiano, dove trovare un partner sessuale era semplice quanto prenotare un volo low-cost per la Florida. «È come ordinare su Seamless,» spiegava Dan, un banchiere d’investimento, riferendosi al noto servizio di consegna di cibo. «Solo che stai ordinando una persona. […] Le app di incontri rappresentano l’economia di libero mercato applicata al sesso»”. (Sales, 2015)

Questo fenomeno, già in crescita in passato, è oggi sempre più diffuso. Molte persone adottano uno stile di vita relazionale fluido, libero dai vincoli della coppia tradizionale, considerandolo il modo migliore per seguire i propri desideri. Non credo che questa tendenza sia limitata alle grandi metropoli: frequentando luoghi di incontro casuale o di socializzazione, è evidente che questo stile di vita attraversa le generazioni, coinvolgendo anche le fasce d’età più mature.

Tra le pratiche emergono forme anche più estreme come il cosiddetto poliamore e in generale rapporti di coppia “non-monogamici”, comunità BDSM o per il “positive sex”, fino alla “sologamia,” scelta di chi decide di “sposare sé stesso,” riflettendo una visione che attribuisce poco valore ai legami affettivi con altre persone.

Non intendo ovviamente proporre un ritorno a rapporti di coppia tradizionali oramai superati: le lotte per liberare la sessualità dai vincoli patriarcali hanno certamente emancipato le relazioni intime ed affettive, rendendole decisamente più autentiche.  Tuttavia, questa trasformazione solleva diversi dubbi: è possibile applicare il modello dello scambio mercantile, nato in ambito economico e sociale, alle relazioni personali senza comprometterne l’intimità? Non c’è forse il rischio di ridurle a esperienze sessualizzate fini a sé stesse, aumentando l’insicurezza e impoverendole ulteriormente della reciprocità affettiva?

Qualche esempio di natura diversa potrebbe aiutare a chiarire meglio il punto che desidero esprimere. Pensiamo ad una nonna che si offre di accompagnare il nipotino a scuola gratuitamente o ad un amico che ci ospita a pranzo senza aspettarsi nulla in cambio: queste situazioni si inseriscono in un contesto di reciprocità personale.  Diversamente, l’autista di uno scuolabus, che svolge il proprio lavoro come attività esterna e retribuita, accompagna gli scolari in cambio di denaro. Lo stesso vale per l’oste, che presenta il conto al termine di una cena al ristorante, anche se stiamo invitando un amico: in questo caso, la relazione è regolata da uno scambio economico, non da una reciprocità personale.

Marx osservava che, nei rapporti basati sul denaro e sullo scambio mercantile, i legami personali, così come le differenze di sangue, nazionalità, educazione, e altro ancora, sembrano dissolversi, creando l’illusione di relazioni libere e indipendenti. Tuttavia, questa libertà è spesso soltanto apparente, poiché trascura le condizioni materiali e l’assenza di una vera reciprocità personale che regolano tali scambi.

Anche Milton Friedman, uno dei principali teorici del neoliberismo, ha descritto con efficacia il funzionamento del sistema dei prezzi, evidenziando come esso riesca a coordinare migliaia di persone, spesso sconosciute tra loro, per produrre anche beni semplici come una matita. Questo sistema opera senza una direzione centrale o un accordo esplicito tra le persone coinvolte. Gli individui “cooperano” in modo impersonale, senza comunicare né “amarsi”.

È facile comprendere che, sebbene il sistema dei prezzi sia stato efficace in una determinata fase storica per regolare la produzione di beni e servizi materiali, esso risulta inadeguato e contraddittorio quando applicato alle relazioni umane.

Oggi, il predominio del rapporto monetario non solo sfocia in arbitrarietà a livello economico, generando crisi da sovrapproduzione e disoccupazione, ma provoca anche un impoverimento dell’esistenza quando viene esteso ai rapporti umani. Le relazioni umane, infatti, richiedono specificità, contatto diretto e reciprocità personale: elementi che il modello mercantile non è in grado di offrire. Di conseguenza, lo scambio mercantile e le comunità basate sulla reciprocità personale rappresentano due realtà inconciliabili, le cui motivazioni e pratiche sono talmente diverse da rendere incompatibili le loro dinamiche. In ultima analisi, la socializzazione che nasce dallo scambio mercantile, strutturata attorno al rapporto di denaro, si riduce a una forma di “socializzazione narcisistica,” incapace di valorizzare pienamente la dimensione comunitaria e la complessità intrinseca delle relazioni umane.

Individualismo e Narcisismo nell’Era Iper-Moderna

Viviamo in un’epoca in cui ciascuno di noi sembra incarnare un narcisista riflesso in un mondo di abbondanza apparentemente infinita. Crisi economiche, emergenze energetiche, preoccupazioni ecologiche e guerre non hanno fermato il consumismo; al contrario, lo hanno estremizzato. Il narcisista moderno trova specchio di sé in un incessante consumo di beni, informazioni, esperienze, relazioni, musica, viaggi e servizi di ogni genere.

L’iper-modernità, come apice del consumismo, ha esteso questa dinamica anche alla sfera privata, alterando profondamente l’immagine e lo sviluppo dell’ego, costretto a vivere in una condizione di continua insicurezza, tra mobilità e instabilità. La gestione del tempo si trasforma in un consumo incessante di media, intrattenimento, relazioni e pratiche di autorealizzazione, ma tutto ciò genera un vuoto esistenziale. Questo vuoto viene abilmente mascherato da un’apparente sensazione di benessere, alimentata dalla convivialità e dall’ideologia del “bastare a sé stessi,” secondo cui è sufficiente crederci per ottenere qualsiasi risultato.

Illudersi di coincidere pienamente con un’immagine ideale di sé rappresenta una delle forme più sottili e insidiose di follia, una pericolosa idolatria dell’Io. Anche liberandosi dalle ombre della superstizione religiosa, l’Io può trasformarsi in una presenza altrettanto inquietante, un idolo che genera isolamento e un profondo senso di vuoto. Il mito di Narciso ci insegna che nessuno di noi può ridursi a un’entità unica e perfetta senza perdere di vista la complessità e la ricchezza dell’esperienza umana.

Oggi, l’individualismo non si traduce in un completo processo di depoliticizzazione, ma si manifesta piuttosto in una frammentazione e settorializzazione delle relazioni. Questa frammentazione dà origine a una molteplicità di gruppi e associazioni orientati alla mutua assistenza, nei quali i legami tra le persone si costruiscono attorno a bisogni specifici e circoscritti: associazioni di volontariato, gruppi di sostegno per alcolisti, persone affette da bulimia, genitori di figli autistici e molti altri.

L’individualismo narcisista non si oppone a queste reti di solidarietà; anzi, vi si inserisce perfettamente, confermandone la direzione. Le connessioni che si creano all’interno di tali collettivi non riflettono un’autentica dimensione comunitaria, ma piuttosto una forma di relazione che, pur nel mutuo sostegno, rimane in ultima analisi centrata su bisogni settoriali.

Questo “io minimo”, o “io narcisista”, (Lasch, 1984) sempre più privo di significato, si limita a fissare obiettivi ristretti, concentrandosi esclusivamente sulla pura sopravvivenza quotidiana. Oggi, nessuno oserebbe intraprendere progetti ambiziosi, se non per salvaguardare il proprio posto di lavoro o per ottenere vantaggi economici, come ad esempio la riduzione delle tasse. L’orizzonte temporale è ristretto: le preoccupazioni principali riguardano la pensione, l’educazione dei figli e la loro crescita. Tuttavia, questo orizzonte è completamente privato, privo di una visione collettiva o pubblica.

Le tradizioni politiche ci insegnano invece che il senso di comunità è essenziale per la piena realizzazione dell’essere umano. È solo attraverso il riconoscimento di un’appartenenza comune, come vicini o cittadini, che possiamo diventare davvero umani. Senza una vita pubblica condivisa, la nostra individualità tende a ridursi a una sterile esistenza privata.

Nonostante le straordinarie condizioni materiali e produttive di oggi, il benessere sociale appare comunque inaccessibile, generando una contraddizione tra la miseria dell’esistenza e l’abbondanza materiale.

Quali ostacoli alla soddisfazione del bisogno di comunità

Come indicato magistralmente da Marx, nelle società in cui il rapporto di denaro è sviluppato, “l’unico linguaggio comprensibile che parliamo tra noi è quello dei nostri oggetti in relazione tra loro. Un linguaggio «umano», una forma di sollecitazione all’azione fondata su una più profonda consapevolezza e su una più ampia libertà, non lo comprenderemmo; esso rimarrebbe senza effetto. Da una parte, verrebbe infatti inteso e percepito come una preghiera, una supplica, e quindi come un’umiliazione, risultando proferito con vergogna e con un senso di degradazione. Dall’altra parte, sarebbe invece interpretato e respinto come un’impudenza o una follia. Siamo così alienati dalla nostra essenza umana che il linguaggio immediato di questa essenza ci appare come una violazione della dignità, mentre il linguaggio alienato dei valori legati agli oggetti ci sembra incarnare la dignità umana: una dignità giustificata, fiduciosa in sé stessa e capace di riconoscere sé stessa”. (K.Marx, 1844)

Viviamo in una società dominata dal denaro, dove l’individualismo egoistico, basato sull’indifferenza verso gli altri, costituisce il fondamento della socialità. Questo ha portato a forme di disgregazione sociale che solo pochi decenni fa sarebbero sembrate impensabili, come ho cercato di descrivere finora.

Come può essere possibile allora organizzarsi collettivamente in un mondo in cui l’individuo si percepisce sempre più come sovrano di sé stesso? Quali ostacoli impediscono il riconoscimento che l’unica forma matura di organizzazione delle relazioni umane è quella fondata sulla comunità?

In un sistema fondato sull’indifferenza reciproca, gli ideali e i valori pubblici tendono inevitabilmente a declinare, cedendo il passo alla ricerca dell’interesse egoistico, all’illusione di una “liberazione personale” attraverso l’ossessione narcisistica per il proprio io. Questo processo porta a un eccessivo ripiegamento sulla sfera privata e al progressivo abbandono della dimensione pubblica. Il consumismo riflette il progressivo svuotamento della dimensione sociale: quando il “sociale” perde significato, il godimento, la comunicazione, la concorrenza, diventano gli unici valori di riferimento, i grandi sacerdoti del deserto. Questo fenomeno emerge chiaramente, ad esempio, nella crisi di partecipazione alle organizzazioni politiche collettive, caratterizzata da un netto calo degli iscritti e degli elettori.  Come spiegare, allora, l’impegno di partiti, sindacati e mezzi d’informazione che, nonostante tutto, continuano a combattere l’apatia, cercando faticosamente di mobilitare e informare? Perché un sistema basato sull’indifferenza e sull’individualismo si adopera costantemente per promuovere partecipazione, educazione e interesse? Questa apparente contraddizione svela in effetti una realtà paradossale: le stesse organizzazioni che si propongono di contrastare l’apatia di massa finiscono per alimentarla. Più i leader politici si espongono nei programmi televisivi, più aumenta il sentimento anti-politico; più i sindacati distribuiscono volantini davanti alle fabbriche, meno vengono letti; più gli insegnanti invitano alla lettura, meno gli studenti si interessano.

Andare oltre l’organizzazione politica

Nel corso della storia, le società occidentali hanno faticosamente raggiunto la consapevolezza della necessità di un’organizzazione politica e sociale, culminata nella grande conquista del Welfare State del secondo dopoguerra. Questo modello ha garantito un progresso economico e sociale senza precedenti, ma non ha considerato adeguatamente le complessità pratiche che accompagnano un simile progetto.

Le libertà individuali e il benessere sociale, ad esempio, sono spesso ridotti alla semplice rivendicazione politica dei diritti. Tuttavia, questa forma di rivendicazione politica si svolge ancora all’interno di una concezione negativa dello sviluppo e della libertà degli individui, in cui si presuppone che basti eliminare gli ostacoli e gli impedimenti per realizzarli pienamente. Questa visione semplificata trascura le condizioni strutturali più profonde che sono essenziali per una loro effettiva realizzazione in senso positivo.

Attraverso l’organizzazione politica, l’individuo di oggi continua a vivere in una sorta di schizofrenia: da un lato rivendica i propri diritti attraverso lo Stato in qualità di cittadino, dall’altro alimenta l’illusione di essere già completamente libero come individuo. La sua identità di “cittadino” entra in conflitto con l’egoismo personale, da cui, paradossalmente, ha origine la cittadinanza stessa.

Pur riconoscendo la necessità della socialità e appellandosi allo Stato per mitigare gli effetti negativi dell’individualismo dilagante, l’individuo non riesce a superare il proprio egoismo. Continua infatti a praticare un comportamento individualista ogni volta che ne trae un vantaggio personale, evidenziando una contraddizione: il bisogno di comunità si scontra costantemente con la spinta a perseguire interessi privati. Questa contraddizione rende la vita individuale sempre più frammentata, confusa, priva di forma e direzione.

Ripensare il ruolo dell’individuo e della comunità

Il bisogno di comunità dovrebbe innanzitutto partire dalla consapevolezza che la vita di ciascuno di noi ha perso coerenza e direzione nelle forme organizzative fin qui storicamente intervenute.

L’individuo non dovrebbe limitarsi a rifugiarsi nei residui di comunità ereditati dal passato, né accontentarsi di una visione dell’umanità ridotta al mero consumo. Al contrario, è necessario che agisca in modo attivo per conseguire un livello più elevato di realizzazione personale e collettiva, reso possibile dai recenti progressi materiali.

Per garantire che ciascuno riceva in base ai propri bisogni, è fondamentale che ognuno contribuisca in base alle proprie capacità. Questo richiede l’adozione di modelli di produzione più comunitari e il superamento degli antagonismi sociali basati sui rapporti economici fondati sullo scambio di denaro. Sebbene questi ultimi abbiano rappresentato uno dei principali motori del progresso umano, oggi si sono trasformati in vere e proprie catene che limitano lo sviluppo collettivo.

Pensiamo, ad esempio, all’evoluzione delle nostre città, oggi sempre più ridotte a una rete di “non-luoghi”, come li definisce Marc Augé (2005): spazi di transito e consumo – aeroporti, stazioni, centri commerciali, parcheggi – dove milioni di persone si incrociano senza mai instaurare una relazione, spinte esclusivamente dall’urgenza di consumare o spostarsi. Frutto della “surmodernità”, caratterizzata da un eccesso di tempo, spazio e individualismo, questi luoghi standardizzati, privi di radici culturali, non promuovono né l’interazione sociale né un autentico senso di comunità.

Come ipotesi, si potrebbe immaginare la costruzione di “kibbutz urbani”, spazi collettivi nei quartieri dedicati ad attività produttive, artistiche e sociali. Questi luoghi potrebbero fungere da centri di innovazione condivisa e di partecipazione democratica, dove l’agire comunitario, come descritto da Mazzetti (1992), diventa strumento per trasformare il territorio e favorire la sinergia tra generazioni e idee. Tali spazi potrebbero promuovere modelli di coesistenza basati sulla collaborazione e sull’inclusione, contrastando l’isolamento caratteristico delle città moderne. Questa proposta, tuttavia, è da considerarsi una bozza che ambisce più a tracciare una direzione che a fornire una soluzione immediata e realizzabile. I cambiamenti sociali di questa portata richiedono processi complessi e spesso dolorosi, che passano innanzitutto attraverso una trasformazione profonda dell’individualità e delle modalità con cui ci rapportiamo agli altri e al contesto che ci circonda.

Nell’ “era del vuoto”, come la definisce Lipovetsky, (Lipovetsky, 2021) il mercato, quanto più si espande a livello globale, tanto più sottrae valore al tempo dell’essere umano, impoverendolo. Si configura così una questione antropologica inedita, caratterizzata da disagio individuale, disorientamento collettivo, paura del futuro e angoscia del presente. Come sottolinea Mario Tronti, esiste una “battaglia delle idee” (Tronti, 2013), un fronte di lotta che si sviluppa innanzitutto sul piano culturale e che attende di essere riconosciuto e affrontato. Proprio nei momenti di crisi, diventa indispensabile mettere in discussione le forme di vita dominanti, rifiutare e sovvertire i modi consolidati di conoscere, trasmettere, comunicare ed organizzare la società.

 

Bibliografia

M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, 2005.
P. Barcellona, Il declino dello Stato, Dedalo, 1998.
C. Castoriadis, L’enigma del soggetto, Dedalo, 1998.
B. Chul Han, Perchè oggi non è possibile una rivoluzione, Nottetempo, 2022 .
E. Illouz, Cold intimancies, Polity Press, 2007.
E. Illouz, Why Love Hurts, Polity Press, 2012.
E. Illouz, The End Of Love, Polity, 2021.
C. Lasch, The Minimal Self, Norton, 1984.
G. Lipovetsky, L’era del vuoto, Luni, 2021.
K. Marx, Notes on James Mill, 1844.
N. J. Sales, Tinder and the Dawn of the “Dating Apocalypse”, in: Vanity Fair n.9, Condè Nast, 2015.
M. Tronti, Per la critica del presente, Ediesse, 2013.

 

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2025-02-25

Tra individualismo e bisogno di comunità: perché oggi è impraticabile una forma di organizzazione esclusivamente politica.

rizomatica.noblogs.org/2025/02

di M. Civino

Come il mercato plasma le nostre esistenze
Un articolo pubblicato circa dieci anni fa su Vanity Fair riportava questa os

#Economia #Politica #Rizoma #affetti #comunit #DatingApp #denaro #Illuz #individualismo #kibbutz #narcisismo #relazioni #stato

2025-02-09

Vi ricordate di Paul, il concierge che ci aveva raccontato cosa accade dentro le case dei miliardari di Monaco? Lo abbiamo reincontrato quasi un anno dopo il podcast. Ecco cosa ci ha detto.
Il podcast "Montecarlo, i segreti del concierge" si può ascoltare su tutte le piattaforme streaming e sul sito del Sole 24 Ore. podcast.ilsole24ore.com/serie/
#montecarlo #monaco #ricchi #denaro #ricchezza #lusso #paradisifiscali #podcast #concierge

2024-12-28

Sono Angelo Mincuzzi e sono un giornalista. Indago sui paradisi fiscali e sul mondo nascosto dei super ricchi. Segui anche il mio profilo Instagram se vuoi essere informato su questi argomenti.
#soldi #tasse #ricchi #ricchezza #denaro #paradisifiscali

Cristina Del Biaggiocdb_77@mastodon.online
2024-11-25

❝Sulla #montagna liberata dalla guerriglia le #frontiere sono di fatto abolite permettendo ai #curdi e alle curde di ritrovare l'unità spezzata dai #confini statali. Anche in questo sta la centralità delle montagne: non solo rifugio e retrovia tattico per la #guerriglia, ma anche laboratorio di una nuova società, #territorio libero dove sperimentare fin d'ora una vita libera dallo #Stato, dal #denaro, dalle imposizioni del #capitalismo e del #patriarcato.❞

Omaggio a #BeriivanSengal in #Nunatak

Prima pagina dell'articolo "Il monte solitario e la democrazia contro lo Stato. Omaggio a Berîvan Şengal", pubblicato nella rivista Nunatak (n°67)

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