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2025-06-14

Germania / Nuove scoperte in Vestfalia: un pozzo, resti umani e tracce di vita e insediamenti tra l’età romana e la tarda antichità

Elena Percivaldi

A Delbrück-Bentfeld, località del circondario di Paderborn nel cuore della Renania Settentrionale-Vestfalia, un’équipe di archeologi ha portato alla luce un insediamento di eccezionale interesse risalente ai primi secoli dopo Cristo. I lavori, condotti da una ditta specializzata sotto la supervisione dell’ente LWL – Archäologie für Westfalen, sono iniziati nel novembre 2024 e si sono conclusi di recente, aprendo una finestra senza precedenti sulla vita e la morte in epoca romana e nella tarda antichità germanica.

Uno dei reperti riemersi nella fossa di cremazione. Foto: EggensteinExca/S. Knippschild

400 evidenze archeologiche e oltre 750 reperti

Nell’area della Schafbreite, destinata a diventare un nuovo quartiere residenziale, gli archeologi hanno documentato circa 400 evidenze strutturali, tra cui fondazioni di case, pozzi, fosse e due Grubenhäuser, tipiche abitazioni seminterrate molto diffuse in area germanica. In totale sono stati recuperati 750 reperti mobili, 600 dei quali in metallo, conservati sotto uno spesso strato di terreno agricolo (Eschboden). Questo dato rivela un intenso e articolato insediamento, attivo in più fasi tra il II e il V secolo d.C.

Il recupero del legname strutturale dal pozzo. Foto: EggensteinExca/S. Knippschild

Sepoltura con armi

Tra i ritrovamenti più interessanti figura una fossa di cremazione isolata con resti della pira funeraria: carboni, frammenti ossei e oggetti bruciati. Insieme al defunto erano stati deposti una punta di lancia, due fibule, un pettine in osso frantumato, un acciarino e una fibbia decorata con un motivo a testa di animale. Proprio quest’ultima, datata al IV-V secolo, apparteneva a un cingolo militare romano: si tratta del primo ritrovamento del genere nell’intera Ostwestfalen.

Resti della cintura militare romana del IV/V secolo. Foto: EggensteinExca/S. Knippschild

Gli archeologi ipotizzano che l’individuo sepolto potesse essere un uomo di origine germanica arruolato come mercenario nelle truppe romane, una pratica molto diffusa in quel periodo. Il reperto conferma ancora una volta l’interazione tra mondo romano e popolazioni germaniche, ben documentata anche in altri siti regionali a cominciare da quello di Salzkotten-Scharmede.

Il pozzo, un unicum per la Vestfalia

A sorprendere gli archeologi è stato, negli ultimi giorni di scavo, il ritrovamento di un pozzo in legno perfettamente conservato, inizialmente scambiato per una semplice vasca per il bestiame. La struttura, di oltre un metro di diametro, era formata da tronchi cavi e incastri di legno intrecciato e presentava tracce di materiali organici straordinariamente ben conservati: cuoio, insetti e fibre vegetali. Addirittura è stato rinvenuto un frammento di trave con incisioni misteriose, forse simboliche, proveniente da un’abitazione e riutilizzato nel pozzo.

Il condotto del pozzo, composto da tre segmenti di tronco d’albero. Foto: EggensteinExca/S. Knippschild

Sopra la bocca del pozzo è stata trovata una stratigrafia ricca di carbone e piccoli frammenti ossei bruciati, probabilmente residui di cremazioni umane, insieme a vaghi di vetro trasparente, blu e verde, forse parte di corredi funebri. Questo fa supporre che il pozzo stesso possa aver ospitato un luogo di combustione funeraria, oppure che la sua dismissione sia stata simbolicamente legata al rito della cremazione.

Indagini scientifiche in corso

Ora si apre la fase delle analisi scientifiche, fondamentali per comprendere l’evoluzione dell’insediamento. La dendrocronologia e il carbonio-14 potranno datare esattamente i reperti lignei e i carboni; gli studi di antropologia sui resti ossei cercheranno di identificare sesso, età e modalità della cremazione. Infine, l’archeobotanica consentirà, analizzando i sedimenti del pozzo, di ricostruire l’ambiente vegetale della regione 1.600 anni fa.

Gli archeologi continueranno a indagare sul possibile significato di alcune incisioni su una parte di trave successivamente utilizzata per la costruzione del pozzo.
Foto: EggensteinExca/S. Knippschild

Come sottolinea Julia Hallenkamp-Lumpe (LWL, sede di Bielefeld), queste informazioni saranno preziose per individuare cambiamenti climatici, agricoli e insediativi tra la nascita di Cristo e la fine dell’Impero Romano d’Occidente.

Questa perla di vetro molto grande, con un diametro di 3,8 cm e striature di vetro bianco, proviene dalla fascia di carbone nero sopra al pozzo. Foto: LWL Archaeology for Westphalia/A. Madziala

Una scoperta che cambia la storia della Westfalia romana

«La scoperta del pozzo con la sua stratigrafia e i resti funerari associati rappresenta una fonte eccezionale per la storia della regione», afferma Sven Spiong, direttore dell’LWL di Bielefeld. «Luoghi come Bentfeld ci aiutano a capire come vivevano le popolazioni locali nel periodo del contatto e del confronto con Roma, e come questi rapporti abbiano influenzato cultura materiale, insediamenti e rituali».

Ora che gli scavi sono terminati, inizieranno i lavori per il nuovo quartiere. Ma il sindaco Werner Peitz ha voluto sottolineare quanto sia stato importante «documentare in modo professionale un sito di importanza sovraregionale», assicurando la conservazione e la valorizzazione del patrimonio archeologico della comunità.

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2025-05-29

Israele, ecco lo spettacolare mosaico bizantino scoperto nel Negev: 55 medaglioni raccontano la vita quotidiana di 1.600 anni fa [LE FOTO | VIDEO]

Elena Percivaldi

Dopo 35 anni dalla sua scoperta nei pressi del Kibbutz Urim, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, un mosaico bizantino di 1.600 anni è stato finalmente restaurato e reso accessibile al pubblico nel complesso del Consiglio Regionale di Merhavim, nel Negev occidentale. L’opera, tra le più straordinarie mai rinvenute nel sud di Israele, presenta 55 medaglioni riccamente decorati con scene di caccia, animali esotici, personaggi mitologici e frammenti di vita quotidiana.

Il mosaico dopo il restauro (foto Emil Aladjem IAA)

Il mosaico fu scoperto nel 1990 nell’area agricola a sud del Kibbutz Urim, al margine del sito di Khirbat Be’er Shema. A dirigere gli scavi c’erano Dan Gazit e Shaike Lender per l’IAA – Autorità Israeliana per le Antichità. Subito dopo fu ricoperto per conservarne l’integrità. Ora, grazie al progetto “Antiquities Right at Home” del Ministero del Patrimonio di Israele e dell’IAA, il capolavoro è stato restaurato e trasferito in un sito protetto per poterlo esporre in via permanente.

Il mosaico dopo la sua scoperta negli scavi del 1990 condotti dall’IAA (Foto Nachshon Sneh – IAA

Un’opera d’arte e una testimonianza storica unica

Secondo gli archeologi, il mosaico ornava il pavimento di un grande edificio bizantino legato alla produzione vinicola: nei pressi sono stati rinvenuti un grande torchio per l’uva e magazzini con tanto di giare per la conservazione del vino. Il sito si trovava lungo l’antica Via delle Spezie Nabatea-Romana, che collegava la città di Halutza al porto di Gaza, fungendo da punto di sosta sicuro per i viaggiatori.

Il mosaico dopo il restauro (Foto Emil Aladjem IAA)

“L’opera è composta da minuscole tessere in pietra, vetro e ceramica,” ha spiegato Shaike Lender. “È chiaramente frutto del lavoro di un artista esperto, capace di fondere dettagli raffinati con materiali preziosi per ottenere effetti cromatici straordinari.”

Restauro del mosaico (Foto Emil Aladjem IAA)

Il restauro e la valorizzazione del mosaico bizantino

Con il passare del tempo, l’esposizione agli agenti atmosferici aveva danneggiato gravemente la superficie del mosaico. È quindi intervenuto il team di conservazione dell’IAA, guidato da Ami Shahar, che ha reinterrato l’opera trattandola, consolidandola e infine spostandola in un ambiente protetto.

Un particolare del mosaico

“Ora il pubblico può finalmente ammirare una delle più belle opere d’arte bizantine scoperte nel sud di Israele,” ha affermato il direttore dell’IAA Eli Escusido durante la cerimonia d’inaugurazione del 25 maggio.

Un altro particolare del mosaico

Un nuovo polo per il turismo culturale

Il sito sarà integrato in un parco archeologico pubblico, con cartelli esplicativi, aree di sosta e percorsi accessibili. “Il mosaico, testimone di vita e cultura di 1.600 anni fa, diventerà un’attrazione per visitatori, studenti e turisti”, ha dichiarato Shai Hajaj, capo del consiglio regionale . “È un tassello fondamentale nel racconto del nostro territorio, che unisce passato, presente e futuro.”

Ancora, un particolare del mosaico

L’iniziativa rientra in una più ampia strategia di valorizzazione culturale del Negev occidentale.

Guarda il video (con sottotitoli in inglese)

https://youtu.be/2dgHgY7lnk8

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2025-05-24

Padova, dagli scavi di via Campagnola spunta una necropoli protostorica con tombe, ceramiche e la sepoltura di un cavallo

Elena Percivaldi

Ancora grandi scoperte a Padova. La realizzazione del nuovo studentato universitario in via Campagnola, nel cuore del quartiere ex SEEF, ha riservato una sorpresa di eccezionale rilievo archeologico. Proprio sotto le palazzine interessate dalla ristrutturazione, gli scavi hanno riportato alla luce una necropoli protostorica, con tombe databili dal VI-V secolo a.C. fino alla romanizzazione. Il ritrovamento, avvenuto durante i lavori del 2024, si inserisce nel quadro delle indagini avviate già tra il 2022 e il 2023, che avevano evidenziato una necropoli romana composta da oltre 220 sepolture di età imperiale.

Tutte le foto: ©SABAP Padova

Il cantiere, attivato per creare nuovi spazi residenziali e didattici per l’Università di Padova, diventa ora anche un laboratorio di studio sulla continuità insediativa tra epoca protostorica e romana, rafforzando il legame tra sviluppo urbano e tutela del patrimonio culturale.

Dalle tombe romane alle sepolture protostoriche: un viaggio indietro nel tempo

A guidare i lavori archeologici sono le ditte Semper e Malvestio, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Padova, diretta dalla dott.ssa Cinzia Rossignoli. Dopo la scoperta della necropoli romana, risalente all’età augustea e al II secolo d.C., i nuovi scavi hanno portato alla luce dieci tombe protostoriche, tra cui spiccano sepolture “a dolio” – grandi contenitori in terracotta impiegati per raccogliere i resti umani e il corredo funerario – oltre a casse lignee e litiche.

Uno dei ritrovamenti più significativi è una sepoltura equina, raro esempio di rituale simbolico, accanto a una inumazione in nuda terra e a un dolio di dimensioni eccezionali. Quest’ultimo, come altri doli rinvenuti, è stato prelevato interamente per procedere con un micro-scavo in laboratorio, utile ad analizzare con precisione i resti e i reperti associati.

Una tomba d’élite: 36 reperti tra ceramica, bronzo e ferro

Tra le scoperte più rilevanti vi è una grande cassa lignea quadrangolare, contenente un ricco corredo funerario con almeno 36 oggetti, tra cui due vasi ossuari, ceramiche di varie fogge, e oggetti in metallo. Gli elementi in bronzo e ferro suggeriscono un elevato status sociale del defunto, contribuendo a delineare i tratti di una comunità strutturata e articolata già in epoca pre-romana.

Una scoperta che cambia la geografia dell’antica Padova

Secondo Vincenzo Tiné, già soprintendente ABAP, la nuova necropoli “ci consente di accertare che i limiti della città veneta coincidono sostanzialmente con quelli della città romana”, ridefinendo così la dimensione urbana della Padova antica, confermata ora anche a Nord dell’attuale centro storico.

Una visione condivisa anche dalla rettrice dell’Università di Padova, Daniela Mapelli, che sottolinea il valore della sinergia tra ricerca scientifica, sviluppo urbano e tutela del territorio:

«Questa scoperta arricchisce la conoscenza della storia di Padova e dimostra quanto sia preziosa la collaborazione tra istituzioni e mondo accademico. L’Ateneo, attraverso questi interventi, contribuisce alla valorizzazione della memoria storica della città».

Allo scavo hanno preso parte, in occasione del sopralluogo ufficiale, anche la prorettrice alla Cultura, prof.ssa Monica Salvadori, e il dirigente tecnico dell’Ateneo, arch. Giuseppe Olivi, responsabile del progetto edilizio.

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2025-05-24

𝐀𝐑𝐂𝐇𝐄𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 | 𝐏𝐚𝐝𝐨𝐯𝐚, 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐢 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐚 𝐂𝐚𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐨𝐥𝐚 𝐬𝐩𝐮𝐧𝐭𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐧𝐞𝐜𝐫𝐨𝐩𝐨𝐥𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐨𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐭𝐨𝐦𝐛𝐞, 𝐜𝐞𝐫𝐚𝐦𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐩𝐨𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐜𝐚𝐯𝐚𝐥𝐥𝐨

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storiearcheostorie.com/2025/05

2025-05-22

𝐀𝐑𝐂𝐇𝐄𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 | 𝐆𝐞𝐥𝐚, 𝐬𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐞 𝐬𝐞𝐢 𝐭𝐨𝐦𝐛𝐞 𝐚𝐫𝐜𝐚𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐕𝐈-𝐕 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐚.𝐂. 𝐝𝐮𝐫𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐢 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐢 𝐚𝐥𝐥’𝐎𝐫𝐭𝐨 𝐏𝐚𝐬𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞𝐥𝐥𝐨

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storiearcheostorie.com/2025/05

2025-05-19

Eccezionale a Vienna, scoperta una fossa comune con 150 legionari romani caduti in battaglia: nuova luce su Vindobona [FOTO | VIDEO]

Elena Percivaldi

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Scoperta eccezionale a Vienna. Durante i lavori di ristrutturazione dell’impianto sportivo Ostbahn-XI, in Hasenleitengasse 49, nel distretto di Simmering, gli operai si sono imbattuti in una fossa comune romana, la più grande mai ritrovata nell’Europa centrale. Al suo interno, almeno 129 scheletri intatti e altre ossa sparse di ulteriori individui, per un totale stimato di oltre 150 uomini. Il ritrovamento, senza precedenti, fornisce nuovi, decisivi elementi per ricostruire la storia e le origini di Vindobona romana.

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Lo scavo in corso nella fossa comune (Foto: Reiner Riedler, Wien Museum)

L’intervento è stato immediatamente preso in carico dal Servizio archeologico della città di Vienna in collaborazione con Novetus, società specializzata in archeologia. “Dopo 25 anni di ricerca su Vindobona, credevo che niente potesse più sorprendermi. E invece è arrivata questa scoperta”, ha dichiarato entusiasta Michaela Kronberger, del Museo di Vienna.

Sepolti in fretta e furia e alla rinfusa

Gli scheletri appartengono tutti a individui di sesso maschile. Non c’è alcun ordine né orientamento nelle sepolture, nessuna traccia di riti funebri. E’ come se i corpi fossero stati gettati nella fossa frettolosamente e alla rinfusa. Alcuni erano in posizione supina, altri proni, altri ancora girati di lato. Spesso, gli arti di un corpo si erano intrecciati a quelli di un altro, in un groviglio macabro e caotico. Gli archeologi ne sono certi: quella non è una fossa comune legata a un vicino ospedale o a un’epidemia. Ma chi erano quegli uomini? Quando morirono e perché erano stati seppelliti così alla svelta?

Lo scavo (video still © Pavel Cuzuioc)

Le analisi svelano il mistero: “Caddero in battaglia”

A svelare l’arcano sono state le accurate analisi effettuate sugli scheletri dagli esperti di Novetus. Almeno un terzo degli individui sepolti nella fossa erano giovani, di età compresa tra i 20 e i 30 anni, robusti e alti: oltre 1,70 m, sopra la media del tempo. Sulle ossa i segni inequivocabili di una morte violenta: colpi di lancia, pugnale, spada e dardi di ferro. Ciascuno di loro aveva almeno una ferita.

Cranio con ferita da taglio (Foto: © S. Strang / Novetus)Vertebre lombari con trauma da dardo di ferro (Foto: © S. Strang / Novetus)
Osso pelvico con trauma da punta di lancia (Foto: © S. Strang / Novetus)

Data la differenza delle armi impiegate, non poteva trattarsi di un’esecuzione di massa. Inevitabile la conclusione: quei resti sepolti in fretta e furia e alla rinfusa appartengono ai caduti di una battaglia feroce e violenta, conclusasi con una catastrofica disfatta. Ma quando e quale?

Il video della scoperta

https://youtu.be/aRX0uOhvNlE

Una data cruciale: i resti risalgono al I-II secolo

Le analisi al carbonio-14 datano i resti a un periodo compreso tra l’80 e il 230 d.C., all’epoca cioè in cui a Vienna, allora Vindobona, erano presenti le legioni romane. A circoscrivere ancora di più la datazione, assegnandola tra la metà del I e l’inizio del II secolo d.C., sono stati gli oggetti trovati insieme ai corpi. C’era un pugnale simile a un pugnale con ancora alcune parti del fodero, decorato – come hanno rivelato le radiografie – con intarsi in filo d’argento.

Il pugnale romano trovato nella fossa (Foto: L. Hilzensauer, Wien Museum) e, sotto, la radiografia che mostra le decorazioni (foto: TimTom, Wien)

C’erano moltissimi chiodi come quelli che rinforzavano le suole delle caligae, le tipiche calzature militari in cuoio indossate dai legionari.

Chiodi da caligae trovati nella fossa (Foto: L. Hilzensauer, Wien Museum)

C’era anche un paraguancia, tipico di specifiche tipologie di elmi romani di quell’epoca.

Paraguancia di un elmo romano (foto: L. Hilzensauer, Wien Museum)

Tra gli altri reperti, spiccano una punta di lancia e alcune scaglie appartenenti a una corazza (lorica).

Punta di lancia (foto: L. Hilzensauer, Wien Museum)Le scaglie di una lorica (Foto: L. Hilzensauer, Wien Museum)

Non c’erano dubbi: quella fossa comune aveva accolto i corpi dei soldati romani caduti durante una delle tante battaglie combattute, sul Danubio, contro le popolazioni germaniche. Sappiamo infatti dalle fonti scritte che l’imperatore Domiziano (81-96) intraprese una serie di spedizioni militari sul Danubio.

Ubicazione della fossa comune nel Limes romano del Danubio, mappa: Martin Mosser, Stadtarchäologie

Una battaglia decisiva, forse nel 92 a.C.

Nel 92 d.C. alcune tribù varcarono il limes danubiano e annientarono un’intera legione: un evento traumatico che spinse l’imperatore Traiano (98–117) a rafforzare ulteriormente la difesa del confine. Potrebbe essere questa la battaglia in questione?

Stabilirlo con certezza è difficile. Solo ulteriori e più approfonditi studi – tra cui l’analisi del Dna e degli isotopi sui resti, le analisi dei pollini e i rilievi geofisici condotti nell’area intorno alla fossa – potranno, forse, dare una risposta precisa. Se così fosse, il ritrovamento rappresenterebbe una prova concreta dell’evoluzione di Vindobona. Proprio la pesante sconfitta subìta dalle truppe romane, di cui quei morti sono l’eloquente e drammatica testimonianza, potrebbe aver segnato la storia dell’insediamento, avviandone la trasformazione da piccola base militare sul Danubio a grande accampamento legionario, uno dei principali presìdi fortificati a difesa del limes dalle incursioni “barbariche”.

Foto in apertura: Lo scavo in Hasenleitengasse (foto: A. Slonek, Novetus)

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2025-05-17

Ninive, dallo scavo riemerge un inedito bassorilievo assiro con il re Assurbanipal e le divinità Ashur e Ishtar

Elena Percivaldi

Importante scoperta archeologica nella città di Ninive, che sorgeva nei pressi della moderna Mosul, in Iraq. Dallo scavo in corso è riemerso un imponente bassorilievo raffigurante – ed è per la prima volta – le divinità principali del pantheon assiro, scolpite su una lastra di pietra di 5,5 metri di lunghezza, 3 metri di altezza e ben 12 tonnellate di peso.

A rivelarlo è il team dell’Università di Heidelberg, guidato da Aaron Schmitt, che dal 2022 lavora nel cuore del Palazzo Nord di Ninive, costruito dal re Assurbanipal, l’ultimo grande sovrano dell’impero assiro. “Tra le immagini in rilievo ad oggi note nei palazzi assiri non vi sono raffigurazioni di divinità principali. Ecco perché secondo noi la scoperta è straordinaria”, spiega Schmitt.

Una scena sacra scolpita nella pietra

Il bassorilievo, probabilmente collocato in origine davanti all’ingresso principale della sala del trono, rappresenta una scena di forte significato religioso e politico: il re Assurbanipal in posizione centrale, accompagnato da Ashur, il dio supremo degli Assiri, e da Ishtar, dea della guerra e dell’amore, protettrice di Ninive.

Dietro di loro, un genio pesce, figura apotropaica spesso legata alla saggezza e alla protezione, e una figura con le braccia sollevate che potrebbe essere interpretata come un uomo-scorpione, ulteriore elemento mitologico a completare la narrazione sacra. I segni sulla pietra suggeriscono che in origine la composizione fosse sormontata da un grande disco solare alato, simbolo della divinità e del potere regale.

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https://storiearcheostorie.com/2025/03/26/a-udine-la-copia-di-un-bassorilievo-assiro/

Il bassorilievo assiro, un tesoro sepolto da oltre duemila anni

Il rilievo è stato rinvenuto in frammenti all’interno di una fossa colmata di terra, dietro la nicchia dove in origine era collocato. Secondo gli studiosi, fu probabilmente rimosso e interrato durante il periodo ellenistico, nel III o II secolo a.C.

Frammento del rilievo (foto credit: Aaron Schmitt)

Questo spiegherebbe perché gli archeologi britannici, attivi nella zona già nel XIX secolo, non lo avessero mai individuato, nonostante le importanti scoperte fatte in altri ambienti del palazzo e oggi conservate al British Museum.

Un progetto internazionale per la valorizzazione

La scoperta è frutto del progetto “Heidelberg Nineveh”, avviato nel 2018 sotto la direzione di Stefan Maul del Dipartimento di Lingue e Culture del Vicino Oriente dell’Università di Heidelberg. In collaborazione con lo Iraqi State Board of Antiquities and Heritage, l’obiettivo a medio termine è ricollocare il bassorilievo nel suo contesto originario e aprirlo al pubblico, trasformando la scoperta in un punto di riferimento per la valorizzazione del patrimonio mesopotamico.

Verso una nuova interpretazione dell’arte assira?

Nei prossimi mesi, il team tedesco analizzerà nel dettaglio il rilievo e il suo contesto, con l’intento di pubblicare uno studio approfondito su rivista scientifica. Le dimensioni e la qualità dell’opera, unite alla rarità del soggetto, promettono di fornire nuovi, importanti elementi per la comprensione dell’iconografia imperiale assira.

Immagine in apertura: Modello 3D del rilievo: i reperti sono evidenziati in grigio scuro, la parte in grigio chiaro rappresenta una ricostruzione basata sui reperti. Il re Assurbanipal è raffigurato al centro. (credit: Michael Rummel)

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2025-05-17

𝐀𝐑𝐂𝐇𝐄𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 | 𝐒𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐚 𝐍𝐢𝐧𝐢𝐯𝐞, 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐨 𝐫𝐢𝐞𝐦𝐞𝐫𝐠𝐞 𝐮𝐧 𝐢𝐧𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨 𝐛𝐚𝐬𝐬𝐨𝐫𝐢𝐥𝐢𝐞𝐯𝐨 𝐚𝐬𝐬𝐢𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐢𝐥 𝐫𝐞 𝐀𝐬𝐬𝐮𝐫𝐛𝐚𝐧𝐢𝐩𝐚𝐥 𝐞 𝐥𝐞 𝐝𝐢𝐯𝐢𝐧𝐢𝐭à 𝐀𝐬𝐡𝐮𝐫 𝐞 𝐈𝐬𝐡𝐭𝐚𝐫

Un monumentale rilievo in pietra del VII secolo a.C. raffigura il re Assurbanipal insieme agli dei Ashur e Ishtar. @uniheidelberg

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2025-05-15

ARCHEOLOGIA | 𝐒𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐞 𝐧𝐞𝐥 𝐝𝐞𝐬𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐍𝐞𝐠𝐞𝐯 𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐞 𝐩𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐞 𝐬𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐞 𝐚𝐟𝐫𝐢𝐜𝐚𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝟏.𝟓𝟎𝟎 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐟𝐚.
Erano custodite in tombe cristiane e rivelano l'ampiezza dei contatti culturali esistenti nell’antico Israele.

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foto: @antiquities_en

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2025-05-09

Sicilia / Tusa, al via gli scavi del grande teatro ellenistico-romano di Halaesa: "Scoperta archeologica straordinaria"

Due anni di lavori per riportare alla luce uno dei teatri antichi più importanti della Sicilia: potrà accogliere il turismo culturale internazionale.

I dettagli su @storieearcheostorie

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2025-05-02

Castelfranco Veneto (Tv): dagli scavi per la Nuova Radioterapia IOV spunta un villaggio tardoantico con capanne e tombe del IV-VII secolo

Elena Percivaldi

Importante ritrovamento archeologico a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, durante i lavori per la costruzione del nuovo reparto di Radioterapia dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV). Gli scavi, condotti tra giugno 2024 e gennaio 2025 sotto la direzione scientifica della Soprintendenza ABAP per l’Area Metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso, guidata dal funzionario archeologo Alessandro Asta, hanno portato alla luce i resti di un villaggio tardoantico databile tra la fine del IV e il VII secolo d.C. La scoperta, annunciata in una conferenza stampa, non ha compromesso il cronoprogramma del progetto sanitario: il nuovo reparto sarà operativo entro ottobre 2025, con tecnologie all’avanguardia e un investimento di quasi 30 milioni di euro.

Inquadramento dell’area di scavo e sviluppo delle evidenze (Archivio SABAP VE MET)

“Straordinario unicum per la ricerca in Veneto”

L’area di scavo, estesa su circa 4.500 m², ha rivelato un contesto archeologico di rara importanza. Le indagini, coordinate dalla Ditta Diego Malvestio & C. con la direzione tecnica di Simone Colucciello, hanno identificato numerose buche di palo, pozzi-silos, focolari, ceramiche grezze e alcune sepolture ad inumazione. Questi elementi suggeriscono la presenza di un villaggio strutturato, con almeno una ventina di capanne, riconducibili a forme abitative di tradizione protostorica.

“il lungo e complesso intervento di scavo archeologico ha conseguito importantissimi risultati per una delle epoche meno note della storia veneta ed europea in generale. Quella dei “secoli oscuri”, che vedono la definitiva dissoluzione dell’Impero Romano e la discesa in Italia delle prime orde barbariche. Pochi e rarefatti sono i rinvenimenti archeologici che illuminano altrove questa oscurità”, ha dichiarato il Soprintendente Vincenzo Tiné. L’ampia “finestra stratigrafica” offerta dagli scavi di Castelfranco sulle modalità abitative e funerarie di queste genti, in quello che sembra essere un caratteristico villaggio di capanne di tradizione protostorica e tombe sparse, rappresenta uno straordinario unicum della ricerca recente nella nostra regione con ampie ricadute di interesse storico e scientifico”, ha concluso il Soprintendente.

Le prime evidenze erano emerse già nel 2021, durante le verifiche preliminari di interesse archeologico, che avevano segnalato tracce di frequentazione romana e tardo-romana. Tuttavia, la natura frammentaria di quei ritrovamenti, probabilmente alterati da attività agricole, non aveva permesso di comprenderne l’estensione. Solo con l’apertura del cantiere nel 2024, l’indagine sistematica ha restituito un quadro stratigrafico coerente, grazie al lavoro di squadre di archeologi professionisti che hanno bilanciato l’urgenza dei lavori pubblici con la necessità di preservare il patrimonio.

Sepolture ad inumazione (Archivio SABAP VE MET)

Un investimento per la salute e la storia

Nonostante un breve rallentamento per consentire gli scavi, il progetto della nuova Radioterapia IOV procede secondo i tempi previsti. La finanziato con 29,6 milioni di euro da fondi aziendali IOV, il progetto prevede una struttura di 3.150 m² con un volume di 15.280 m³. La struttura includerà quattro bunker, di cui due operativi, ciascuno di 93 m², equipaggiati con un acceleratore lineare Linac-RM e un ulteriore acceleratore. Saranno presenti anche una risonanza magnetica da 1,5 tesla, una sala TC, ambulatori e aree dedicate a radioterapisti, fisici, tecnici e infermieri. La costruzione sarà completata entro luglio 2025, con l’installazione delle attrezzature entro ottobre, garantendo l’apertura del reparto entro la fine dell’anno.

Da sinistra, Buca di palo e fornace (Archivio SABAP VE MET)

“Castelfranco si conferma un crocevia tra storia e futuro”, ha dichiarato il sindaco Stefano Marcon. “Questi ritrovamenti arricchiscono il nostro patrimonio, mentre il nuovo reparto porterà servizi sanitari d’eccellenza.” Maria Giuseppina Bonavina, direttrice generale IOV, ha sottolineato l’importanza dell’integrazione tra le sedi di Padova, Schiavonia e Castelfranco, con apparecchiature di ultima generazione che miglioreranno la complessità dei trattamenti per oltre 3.000 pazienti annui.

Reperti ceramici in corso di scavo e fondo di ciotola in ceramica grezza con marchio (Archivio SABAP VE MET)

Un ponte tra passato e futuro

Questa scoperta archeologica segna dunque un contributo alla storia del Veneto e costituisce un ulteriore esempio di come sviluppo e tutela del patrimonio possano coesistere. Le metodologie archeologiche impiegate, come l’analisi stratigrafica e lo studio dei reperti, proseguiranno per approfondire la conoscenza del villaggio tardoantico. Nel frattempo, Castelfranco Veneto pensa a inaugurare una struttura sanitaria all’avanguardia, rafforzando il suo ruolo nella rete regionale della salute pubblica.

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scavo Castelfranco Venetoscavo Castelfranco Veneto
2025-04-29

#archeologia | 𝐀𝐜𝐞𝐫𝐫𝐚 (𝐍𝐚𝐩𝐨𝐥𝐢), 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐝𝐚𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐚𝐦𝐩𝐚𝐧𝐢𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐚: 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐄𝐭𝐫𝐮𝐬𝐜𝐡𝐢 𝐬𝐩𝐮𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐮𝐞 𝐭𝐨𝐦𝐛𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐈𝐕-𝐈𝐈𝐈 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐚.𝐂.

Durante i lavori per la realizzazione di un nuovo collettore fognario sono emerse due sepolture a cassa di tufo, una delle due completa di corredo funerario.
@soprintendenzadinapoli_areamet

#campania #scavi #scoperte

storiearcheostorie.com/2025/04

2025-04-22

Scoperta a Scandicci: dagli scavi di Badia di Settimo emerge una capanna altomedievale

Elena Percivaldi

Importante scoperta a Scandicci (Firenze), dove gli scavi in corso presso la Badia di Settimo, da poco conclusi, hanno riportato in luce i resti di una capanna di epoca altomedievale.

Il ritrovamento è stato effettuato dagli archeologi della Soprintendenza ABAP di Firenze nel corso delle indagini che accompagnano i restauri della Badia, portati avanti dalla Fondazione Opera della Badia di Settimo. Seppur ostacolata varie volte dai ripetuti allagamenti, l’indagine ha già portato a numerose scoperte, che forniscono nuovi dati e dettagli sulla storia del complesso monastico, intitolato a San Salvatore e San Lorenzo. In questo caso, però, ad essere illuminate sono le vicende anteriori alla sua fondazione, avvenuta intorno all’anno Mille.

L’Abbazia dei Santi Salvatore e Lorenzo a Settimo (Wikimedia Commons / Sailko – CC BY 3.0)

I resti di una Grubenhaus sotto il chiostro

Nel corso degli scavi per la sistemazione del trecentesco Chiostro dei Melaranci gli archeologi hanno infatti trovato per la prima volta resti di strutture precedenti alla Badia di Settimo, risalenti all’epoca altomedievale. Una di queste, a pianta circolare, si trova a una profondità di circa due metri rispetto all’attuale piano del chiostro. L’ipotesi è che si tratti di una “Grubenhaus”, una capanna seminterrata, con il fondo scavato direttamente nel terreno.

I resti della Grubenhaus, trovati sotto il chiostro

Strutture del genere, sorrette da pali e caratterizzate da semplici pareti in legno e terra e da una copertura vegetale, sono comuni nell’alto Medioevo in Europa centrale e orientale. In Italia appaiono più rare ma sono in ogni caso ben documentate archeologicamente: citiamo ad esempio i casi di Collegno (TO), Frascaro (AL) e soprattutto quello, molto noto, di Siena1.

Ricostruzione di una Grubenhaus, simile a quella trovata a Scandicci

Datazione tra l’VIII ed IX secolo d.C.

I materiali ceramici trovati in corrispondenza della capanna, ossia recipienti per la cucina – olle, testi, teglie – e per la tavola – boccali e recipienti per liquidi – e un manico in osso decorato, suggeriscono secondo gli archeologi una datazione tra l’VIII ed IX secolo d.C. Un rinvenimento molto significativo “perché attesta lo stanziamento, in questo punto della pianura di Settimo, di una piccola comunità o nucleo rurale già diversi secoli prima della fondazione dell’abbazia”.

Un manico in osso decorato, databile all’VIII-IX secolo d.C.

Informazioni più approfondite arriveranno, naturalmente, dal sistematico studio dei materiali, che avverrà nelle prossime settimane via via che i dati emersi dallo scavo saranno riordinati e catalogati.

  1. Marco Valenti, I villaggi altomedievali in Italia [A stampa in The archaeology of early medieval villages in Europe, a cura di Juan Antonio Quirós Castillo, Bilbao 2009 (Documentos de Arqueología e Historia), pp. 29-55 © dell’autore – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”, http://www.retimedievali.it]. ↩︎

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Badia di Settimo
2025-04-22

ARCHEOLOGIA | 𝐒𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐚 𝐒𝐜𝐚𝐧𝐝𝐢𝐜𝐜𝐢: 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐢 𝐝𝐢 𝐁𝐚𝐝𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐒𝐞𝐭𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐞𝐦𝐞𝐫𝐠𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐧𝐧𝐚 𝐚𝐥𝐭𝐨𝐦𝐞𝐝𝐢𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞

I materiali la datano tra l’VIII ed IX secolo d.C. testimoniando la presenza di una comunità (o un nucleo rurale) precedente l'abbazia, fondata intorno all'anno Mille.

Scopri i dettagli su @storieearcheostorie

@comunediscandicci

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2025-04-18

Pompei, al via le visite guidate al cantiere dell'Insula Meridionalis

Dal 22 aprile partono le visite guidate al cantiere dell’Insula Meridionalis. Un'occasione unica per vedere scavi e restauri in corso.

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2025-04-17

Scavi / Allenare il corpo, ma anche la mente: ad Agrigento sta emergendo un “gymnasium” unico nel Mediterraneo

Elena Percivaldi

Importante (e raro) ritrovamento archeologico ad Agrigento. Nel marzo scorso un team internazionale guidato da Monika Trümper e Thomas Lappi della Freie Universität Berlin ha riportato alla luce l’auditorium all’interno del gymnasium della città, struttura ritenuta la più grande e rilevante del Mediterraneo occidentale per dimensioni e cronologia. Insieme a due iscrizioni in lingua greca, la scoperta regala uno spaccato sull’educazione e sulla vita sociale delle colonie greche, rivelando la grande importanza attribuita alla formazione intellettuale oltre che alla benessere fisico, creando un binomio inscindibile.

L’auditorium del gymnasium di Agrigento

L’auditorium riemerso nel gymnasium di Agrigento è una struttura non grande, che ricorda quella di un piccolo teatro coperto, con otto file di sedili semicircolari capaci di ospitare circa 200 persone. Datato al II secolo a.C., è un unicum senza confronti con altri ginnasi dell’epoca: solo dopo qualche secolo a Pergamo, in Turchia, sarebbe stata costruita una struttura simile. Lo spazio si apriva su una sala rettangolare di 11×23 metri, anch’essa dedicata ad attività ludico-didattiche quali lezioni, competizioni oratorie o spettacoli. Il ritrovamento dimostra la grande considerazione in cui, anche nelle colonie greche, era tenuta la formazione culturale, considerata imprescindibile e complementare, insieme alla preparazione fisica, per condurre uno stile di vita “ideale”.

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Che cos’è un gymnasium?

Ma cos’era esattamente un gymnasium? Era un edificio tipico della cultura ellenistica, un elemento essenziale delle poleis greche ma molto raro in ambito romano. Il grande architetto Vitruvio lo descrive come un edificio diviso in due parti. Quella principale era la palestra, dove ci si allenava nella lotta e nel combattimento ma anche dove ci si riuniva per discutere, fare discorsi e parlare di filosofia. La seconda parte invece era costituita dalle piste per la corsa (drômoi). L’insieme delle due componenti costituiva, appunto, il gymnasium.

Orchestra dell’aula magna con blocchi di iscrizione, da sud (Rolf Sporleder. FU Berlin, Istituto di Archeologia Classica)

Un gymnasium nel cuore dell’antica Agrigento

Fondata intorno al 580 a.C., Akragas (l’antica Agrigento) era una delle più floride colonie greche della Sicilia. Il suo gymnasium, famoso per la pista da corsa lunga 200 metri e per la grande piscina, era il centro dove i giovani si preparavano a diventare “cittadini” nel senso più completo del termine. Oltre ad allenare il fisico, la palestra li preparava intellettualmente alla vita attraverso lo studio della filosofia, della retorica e della poesia. La scoperta dell’auditorium conferma che la società agrigentina del tempo riteneva imprescindibile l’equilibrio tra corpo e mente, riprendendo un ideale che rispecchiava pienamente i valori della Grecia classica.

Foto ripresa da un drone della palestra scoperta durante gli scavi di Agrigento. Image Credit: Thomas Lappi – Monika Trümper, © Freie Universität Berlin, Institute of Classical Archaeology

Le iscrizioni greche: voci dal passato

Dopo una prima campagna di prospezione geofisica, tra il 2022 e il 2024 sono state effettuate tre campagne di scavo che avevano documentato l’esistenza di una palestra monumentale grazie anche alla presenza di cinque tegole su cui compare un bollo con le lettere “ΓΥΜ (per ΓΥΜΝΑΣΙΟΥ, ginnasio)”.

Ora nel pavimento dell’auditorium, il team ha rinvenuto due blocchi calcarei con un’iscrizione greca che riporta “(Τ)ΟΥ ΑΠΟΔΥΤΗ(ΡΙΟΥ) (dell’apodyterion)”, con lettere evidenziate in rosso su un intonaco bianco. Risalenti al I secolo a.C., menzionano un gymnasiarca – il responsabile del gymnasium – e un cittadino che finanziò la riparazione del tetto dell’apodyterium (spogliatoio) dedicandolo a Hermes ed Eracle, le divinità dei ginnasi greci. Si trovavano in crollo all’interno dell’orchestra semicircolare dell’auditorium, dove un tempo insegnanti e studenti si esibivano davanti a un pubblico, collegato appunto con la grande sala. 

Una delle iscrizioni riemerse

La ragione del loro interesse risiede anche nella persistenza dell’utilizzo della lingua greca in un periodo in cui Agrigento era già da tempo sotto il controllo di Roma. Le due epigrafi, tra le poche sopravvissute ad Agrigento, testimoniano dunque la continuità delle tradizioni greche anche sotto il dominio romano. E la sopravvivenza del gymnasium, tipologia di edificio che non ebbe successo nel mondo romano, conferma il radicamento di un’identità culturale forte, in grado di resistere alle influenze esterne.

Una struttura unica nel Mediterraneo

La struttura emersa ad Agrigento anticiperebbe di almeno due secoli strutture simili come quella di Pergamo in Asia Minore. Innovativa e avanzata, dunque, dato che il gymnasium fu costruito nel II secolo a.C. e successivamente ristrutturato in epoca augustea (31 a.C. – 14 d.C.).

Visione d’insieme dello scavo

La pista da corsa e la piscina, già conosciute dagli studiosi, erano strutture molto grandi, rare per l’epoca. L’aggiunta dell’auditorium rivela che il complesso era stato concepito come un progetto ambizioso, pensato per praticare attività fisiche e intellettuali in un unico luogo. Nessun altro gymnasium del Mediterraneo occidentale, da Cartagine a Siracusa, presenta una simile combinazione. Rispetto ai ginnasi di Atene o Delfi, quello di Agrigento appare anche più innovativo: la presenza dell’auditorium anticipa soluzioni architettoniche che diventeranno comuni solo in età ellenistica avanzata. Ciò conferma che Akragas era un centro culturale di prim’ordine in grado di competere con le grandi città della Grecia continentale. Per tutte queste ragioni Agrigento rappresenta, secondo gli archeologi berlinesi, un “caso di studio” unico ed eccezionale.

Gli scavi continuano (e anche gli studi)

L’area era già stata oggetto di scavi tra il 1960 e il 2005 e le attività di ricerca sono ripartite nel 2020 in collaborazione tra la Freie Universität di Berlino, il Politecnico di Bari e il Parco Archeologico Valle dei Templi. L’equipe è diretta da Monika Trümper, Thomas Lappi e Antonello Fino ed è coordinata, per il Parco da Maria Concetta Parello. Il team prevede di continuare gli scavi nel 2026.

L’obiettivo è indagare le aree a nord dell’auditorium, dove potrebbero emergere altri spazi riservati allo sport o all’insegnamento. Le iscrizioni finora riemerse saranno presto studiate utilizzando metodi innovativi quali la scansione 3D, che permetterà di rilevare tutti i dettagli, anche quelli poco leggibili.

La struttura vista dall’alto

Ma la speranza è anche quella di trovare nuove epigrafi che possano rivelare nomi di persona o dettagli sulle competizioni organizzate nel gymnasium, fornendo altri particolari sulla vita quotidiana di Akragas e di chi vi abitava duemila anni fa. Contribuendo così a riscoprirne la storia.

«La ricerca archeologica rappresenta una priorità per la Regione, sia in un’ottica di valorizzazione che di tutela del nostro patrimonio culturale e monumentale – dice l’assessore dei Beni culturali e identità siciliana Francesco Paolo Scarpinato – . Queste nuove scoperte confermano quale ruolo avesse la città nell’antichità e quanto vi sia ancora da portare alla luce, perché sia un patrimonio condiviso con le future generazioni». 

Per saperne di più:

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2025-04-15

Ostriche per ricchi ospiti nella villa romana di Lio Piccolo: il sensazionale “ostriarium” in mostra a Venezia [VIDEO]

Elena Percivaldi

A Lio Piccolo (Cavallino-Treporti), nel cuore della laguna di Venezia, le acque basse hanno custodito per quasi due millenni un tesoro segreto: un vivarium romano del I secolo d.C. Anzi, per la precisione un ostriarium, una vasca destinata alla conservazione di ostriche vive prima del loro consumo. Scoperto nel 2021 grazie a indagini stratigrafiche subacquee condotte dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, rappresenta una testimonianza unica in Italia, con un solo confronto noto nella laguna di Narbonne, in Francia. La struttura, composta da mattoni e tavole lignee e contenente circa 300 gusci di ostriche (Ostrea edulis), offre un’inedita prospettiva sulla vita e sull’economia della laguna in epoca imperiale romana, molto prima della nascita di Venezia come la conosciamo oggi.

La scoperta è avvenuta in un luogo di straordinario interesse naturalistico (Photo Nico Covre)

Dal 16 aprile al 2 novembre 2025, il Museo di Storia Naturale di Venezia Giancarlo Ligabue ospiterà un’esposizione dedicata a questa scoperta. In mostra reperti, immagini, video delle operazioni di scavo e un modello tridimensionale del sito, con un approccio interdisciplinare che ha coinvolto archeologi, geologi, biologi e naturalisti. Regalando una preziosa occasione per riflettere sul rapporto millenario tra l’uomo e la laguna, oggi più che mai in equilibrio fragile.

Gli archeologi al lavoro

Un occhio al contesto: la laguna prima di Venezia

Rispetto a oggi, la laguna di Venezia in epoca romana era un paesaggio ben diverso: un mosaico di isole, canali e saline, punteggiato da insediamenti legati alla città di Altino, un importante centro commerciale e portuale dell’Alto Adriatico. L’area di Lio Piccolo, lungo la riva meridionale del Canale Rigà, era strategicamente posizionata vicino al litorale antico, ideale per attività produttive come la pesca, la salagione e l’itticoltura. Qui, nel I secolo d.C., i Romani costruirono strutture sofisticate per sfruttare le risorse marine, come appunto l’ostriarium recentemente portato alla luce.

Il luogo del ritrovamento

Il sito era già noto agli studiosi grazie alle intuizioni dell’archeologo autodidatta Ernesto Canal, che nel 1988 ipotizzò la presenza di una villa romana. Le campagne di scavo avviate da Ca’ Foscari a partire dal 2021 hanno confermato e ampliato questa ipotesi, rivelando non solo la vasca per ostriche, ma anche fondazioni in mattoni sostenute da pali di quercia, frammenti di affreschi, tessere di mosaico e una gemma preziosa. Questi reperti suggeriscono che l’ostriarium fosse parte di un complesso più ampio, probabilmente una villa marittima di lusso, simile a quelle descritte dal poeta Marziale nei lidi di Altino alla fine del I secolo d.C.

Frammenti di decorazioni trovati sul sito di scavo (foto: Ca’ Foscari)

L’ostiarium: tecnologia e vita quotidiana

La vasca scoperta a Lio Piccolo misura circa 2 metri di larghezza per 8 di lunghezza ed è situata a oltre 3 metri sotto il livello del mare attuale. Costruita con mattoni sesquipedali e tavole di legno, si è conservata in maniera straordinaria grazie alle condizioni anossiche del fondale lagunare. La struttura era suddivisa in due ambienti da paratie lignee, probabilmente per separare le ostriche da altri bivalvi come i canestrelli, rinvenuti in minor quantità. Le analisi dendrocronologiche e al radiocarbonio datano la costruzione alla seconda metà del I secolo d.C., ossia nel pieno dell’età imperiale.

Uno dei ritrovamenti (foto: Ca’ Foscari)

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Ostriche e lusso

Nel mondo romano, le ostriche erano un alimento di prestigio, apprezzato nelle mense delle élite e allevato in strutture specializzate chiamate vivaria o ostriaria. Fonti antiche, a cominciare dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, parlano dell’itticoltura romana come di un’arte raffinata, con vasche progettate per mantenere i molluschi in condizioni ottimali. L’ostriarium di Lio Piccolo, con i suoi 300 gusci di Ostrea edulis – una specie scomparsa dalla laguna nell’Ottocento – ne rappresenta l’eloquente testimonianza, dimostrando l’alto livello di conoscenze raggiunto dai romani nel gestire ambienti acquatici complessi. La presenza di una saracinesca in legno, o gargame, suggerisce un sistema di controllo dell’acqua, simile a quello delle peschiere costiere descritte da autori come Columella.

La gemma incisa con una figura mitologica trovata a Lio Piccolo (foto: ©Ca’ Foscari)

Accanto alla vasca, le fondazioni in mattoni e pali di quercia indicano un edificio di notevoli dimensioni e pregio. Centinaia di frammenti di affreschi, tessere di mosaico e lastre di marmo pregiato rafforzano l’ipotesi che ci troviamo sui resti di una villa di lusso, forse una villa marittima frequentata da ricchi proprietari terrieri o mercanti altinati. Tra i reperti spicca una gemma di agata incisa con una figura mitologica, probabilmente parte di un anello, appartenuta presumibilmente a un individuo di alto rango sociale. Questi dettagli dipingono un quadro vivido: una dimora elegante affacciata sulla laguna, dove le ostriche fresche erano un simbolo di status e raffinatezza.

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Archeologia, scienza e ambiente

La scoperta di Lio Piccolo è il risultato di un approccio interdisciplinare che ha unito competenze diverse per ricostruire il passato della laguna. Il progetto, diretto dal professor Carlo Beltrame e dalla ricercatrice Elisa Costa, ha coinvolto il Dipartimento di Studi Umanistici di Ca’ Foscari, il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze. Finanziato dall’ateneo veneziano, dal Comune di Cavallino-Treporti, dal progetto PNRR CHANGES e da un progetto PRIN PNRR, lo scavo è stato condotto sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e la Laguna.

(foto: ©Ca’ Foscari)

Gli archeologi hanno utilizzato tecniche avanzate, come la fotogrammetria subacquea, per creare modelli 3D del sito, essenziali per documentare strutture sommerse in acque a bassa visibilità. I geologi, guidati dal professor Paolo Mozzi, hanno analizzato i sedimenti per ricostruire l’antico paesaggio lagunare, mentre i biologi, come Irene Guarnieri del CNR-ISMAR, hanno studiato i gusci di ostriche per comprendere la biodiversità dell’epoca. Le analisi al radiocarbonio, condotte in collaborazione con il Weizmann Institute of Science di Rehovot, hanno permesso di datare con precisione i materiali lignei, confermando la cronologia del I secolo d.C.

Questo approccio integrato non solo ha arricchito la conoscenza del sito, ma ha anche evidenziato il delicato equilibrio tra uomo e ambiente nella laguna romana. La presenza di un ostriarium suggerisce una gestione sostenibile delle risorse marine, con vasche progettate per mantenere i molluschi senza alterare l’ecosistema circostante. Questi dati offrono spunti preziosi per comprendere come le società antiche si adattassero a contesti ambientali complessi: una lezione attuale in un’epoca di cambiamenti climatici e innalzamento dei mari.

Modello 3D dell’ostriarium (foto: ©Ca’ Foscari)

La villa di Lio Piccolo: un microcosmo romano

L’ostriarium però, come detto, non era un elemento isolato, ma parte di un complesso più ampio che riflette la ricchezza e la complessità della società romana nella laguna. Le fondazioni scoperte accanto alla vasca, sostenute da una “selva” di pali in quercia, indicano un edificio di notevoli dimensioni, probabilmente una villa affacciata sul Canale Rigà. I frammenti di affreschi, con colori vivaci e motivi decorativi, e le tessere di mosaico suggeriscono interni raffinati, mentre le lastre di marmo importato evocano contatti commerciali con altre regioni del Mediterraneo.

Dalla scoperta alla condivisione: il ruolo del Museo

Il Museo di Storia Naturale di Venezia, con le sue collezioni storiche e il suo impegno nella ricerca lagunare, è il luogo ideale per raccontare la scoperta e il mondo che rappresenta. L’esposizione, intitolata Un Ostiarium romano in laguna di Venezia, presenterà al pubblico i primi risultati del progetto, con un focus sulla vita degli abitanti della laguna in epoca romana. I visitatori potranno ammirare gusci di ostriche, frammenti di affreschi e marmi, oltre a video degli scavi e un modello 3D del sito, che permetterà di “immergersi” virtualmente nel paesaggio antico.

Laguna di Venezia (drone ph. Leonardo Mizar Vianello)

Oltre a esporre i reperti tornati alla luce, l’allestimento è concepito per riflettere sull’importanza della laguna come crocevia di culture, commerci e innovazioni. Attraverso conferenze e incontri estivi, inoltre, il museo mira a coinvolgere un pubblico ampio, dai ricercatori agli appassionati, dai residenti ai turisti.

Le immagini dell’allestimento

Nuove prospettive per l’archeologia lagunare

Ma c’è di più. La scoperta di Lio Piccolo apre anche nuove prospettive per l’archeologia lagunare. Gli studi in corso sui gusci di ostriche, condotti da esperti come Davide Tagliapietra del CNR-ISMAR, potrebbero rivelare dettagli sulla salinità dell’acqua, sulla dieta marina e sui cambiamenti ambientali dell’epoca. Allo stesso modo, l’analisi dei sedimenti e dei macroresti vegetali contribuirà a ricostruire il paesaggio antico, chiarendo il ruolo dei canali e delle saline nella vita quotidiana del tempo.

Pollini trovati sul sito (foto: ©Ca’ Foscari)

La gemma incisa, ritrovata tra i sedimenti, è un reperto particolarmente evocativo. Realizzata in agata e decorata con una figura mitologica, potrebbe essere appartenuta a un proprietario della villa o a un ospite di riguardo. Oggetti simili, comuni tra le élite romane, erano simboli di prestigio e cultura, spesso legati a miti classici o divinità marine, un richiamo appropriato per un sito lagunare. Sono tutti dettagli che dimostrano che la villa di Lio Piccolo fosse un luogo di otium e convivialità, dove le ostriche fresche, servite durante banchetti, incarnavano il lusso e ribadivano il legame con il mare.

(foto: ©Ca’ Foscari)

Il riferimento di Marziale alle ville marittime di Altino, datato alla fine del I secolo d.C., sembra dunque trovare un’eco concreta in questo sito. Le ville altinate, costruite lungo il litorale, erano residenze estive per ricchi Romani, che combinavano attività produttive, come l’itticoltura, con il piacere di paesaggi naturali. L’ostriarium di Lio Piccolo si inserisce perfettamente in questo contesto, a riprova del dinamismo e della vivacità dell’economia lagunare, perfettamente integrata nelle reti commerciali dell’Impero.

Guarda i video

https://youtu.be/JhiEBI7ZREM

https://www.youtube.com/watch?v=oZGSiwgbsPE

UN OSTRIARIUM ROMANO NELLA LAGUNA DI VENEZIA
Venezia, Museo di Storia Naturale, piano terra
16 aprile – 2 novembre 2025
a cura di Carlo Beltrame ed Elisa Costa

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2025-04-14

𝐀𝐑𝐂𝐇𝐄𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐀 | 𝐕𝐢𝐭𝐞𝐫𝐛𝐨, 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐚𝐳𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐥𝐞𝐛𝐢𝐬𝐜𝐢𝐭𝐨 𝐫𝐢𝐞𝐦𝐞𝐫𝐠𝐞 𝐥'𝐚𝐧𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐜𝐢𝐦𝐢𝐭𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐚 𝐝𝐢 𝐒𝐚𝐧𝐭'𝐀𝐧𝐠𝐞𝐥𝐨 𝐢𝐧 𝐒𝐩𝐚𝐭𝐡𝐚

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